C'era una volta l'Italia del cabaret

C'era una volta l'Italia del cabaret Il teatro «minore» a Roma: il regista Ruggero Miti sulle tracce di night e piano-bar C'era una volta l'Italia del cabaret L'umorismo di 20 anni fa oggi suona patetico - La bella prova di Sandro Massimini e di Pier Francesco Poggi J*>uH v0akMostno.mv.*to.4'/l ROMA 04+ HiTjecondoi pan-i nello del dittico che il Teatro di Roma ha dedicato, in apertura di cartellone, al teatro cosiddetto «minore», si intitola Addio Cabaret: è andato In scena in anteprima per la critica al teatro Fiatano, per la regia di Ruggero Miti. Se in Varietà tornava in scena il café chantant e l'avanspettacolo, napoletano e romano, tra gli Anni Venti e i Quaranta, qui c'è stato riproposto quel delizioso teatro notturno da camera, tra night club e piano-bar, che ebbe negli Anni Sessanta in Milano la sua capitale e nell'orma! leggendario Derby Club di Franco Nebbia e compagni il suo piccolo tempio. Raccolti e scelti con garbo da Roberto Mazzucco, collegati da un affabile copione -cerniera di Enrico Vaime, i testi più rappresentativi del più celebri autóri di quella breve, fortunata stagione ci sono, nello spettacolo di Miti, tutti o quasi: ma, per usare uno spicciativo termine di gergo teatrale, non •passano* più, non fanno più ridere, solo sorridere, e con una punta di mestizia. Porse nuoce loro l'essere stati estrapolati da quel grembo caldo e buio ch'era la saletta da night, gli spettatori a ridosso dell'attore, quan¬ do non «appollaiati attorno al pianoforte* (come ricorda un testimone, che è il protagonista dello spettacolo, Sandro Massimini). Ma soprattutto, a far da pesante zavorra, c'è 11 ventennio trascorso, 11 mutamento radicale di una società che s'è terribilmente Incattivita, che se allora ci pareva gretta ora sappiamo essere crudele, cinica, violenta. L'Industriale Tarzotto che organizza lui lo sciopero per gli operai troppo timidi per osarlo è ormai uno sfarinato calco archeologico; 1 poliziotti che disquisiscono sulla miglior arma da fuoco, alla maniera di filosofi socratici,' dopo 1 fatti di Reggio nel '60. non sono neppur lontani parenti di quelli che oggi muoiono senza disquisire, anzi senza riuscire a sillabare 11 nome del mandante. Sandro Massimini, doppiamente Impegnato nella cornice di una finta «diretta» televisiva e come interprete di singoli brani, è di un'lmpe-, tuosa vitalità, caldo e accatti-: vante: canta magnificamene te, da divo dell'operetta triestina; è di un mordente mimetismo gergale e dialettale:, ma lotta contro una quarta parete che lo separa, fredda, scostante, dal pubblico. Dei sette giovani che lo contornano, ragazzi e ragazze freschi e ginnicamente attrezza¬ ti, sptccano.tl già maturoJflpt ro Francesco Poggi, un viso attonito e tenero sotto folta chioma ricciuta, e la beffarda' Silvia Nebbia, figlia di tanto padre. I tre, e non è affatto un caso, danno 11 meglio di sé nelle canzoni, e non solo per le proprie doti canore: perché la canzone, nel suo rapido condensarsi in immagini, travalica il tempo e ce ne restituisce al tempo stesso la patina: la malinconia dell'amore freddo, fatto tanto per fare («Quella cosa in Lombardia» di Fortini-Carpi), 11 dispetto dell'abbandono traditore («Dimenticata» di Flaiano-Carpl) sino all'assurdo del «Seguendo la flotta» (di Arbaslno-Carpi, per Laura Betti) o al grottesco puro del «Crauti» di Mario Pogilotti: «Io non capisco la gente-che non ci piacciono i crauti v Unico, irte parso, del protagonisti d'allora, Fiorenzo Carpi se ne stava buono buono nella seconda fila di platea. Quando, come flnallno, Massimini e i suol hanno attaccato la celeberrima sua e di Darlo Fo «I saltimbanchi. (•Cosa aspettate a batterci le mani...*) lui educatamente ha sorriso, ma come straniato, autore d'una canzone non più sua: scusate, di un tempo non più nostro. Guido Davico Bonino Sandro Massimini magnifico protagonista di «Addio cabaret»

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