Economisti «a rotoli» di Luigi Firpo

Economisti «a rotoli» Castellino risponde a Firpo Economisti «a rotoli» Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa risposta del professor Castellino all'articolo di Luigi Firpo pubblicato domenica scorsa nella rubrica «Cattivi pensieri». Poveri economisti! Non hanno mai goduto di buona stampa. Qualcuno li ha liquidati con due parole, affermando che coltivano una scienza triste. Altri li dipingono come noiosi seccatori: in una novella di Mèriméc, un giovanotto si vorrebbe intratlcnere con una bella signora, ma «dovette lasciarla e soffrire che gli presentassero un giovane molto venuto in economia politica, il quale desiderava avere qualche ragguaglio statistico sull'impero ottomano». Gli stessi membri della confraternita sono spesso ieroccmente critici verso se stessi. Un collega sociologo, entrando qualche tempo fa nel mio studio, si è stupito di trovarvi sciorinati questi titoli, tutti firmati da illustri economisti: Perché l'economia non è ancora una scienza, L'irrilevanza dell'economia convenzionale, L'economia allo sbando. Nei «Cattivi pensieri» di domenica 29 settembre, Luigi Firpo aggiunge il peso della sua autorità a questo Cahier de doléances. Dopo avere assistito a un colloquio fra cinque economisti, tutti di chiara fama, in tema di legge finanziaria e di debito pubblico, Firpo conclude che «quei luminari... non avevano verità da sostenere, ma semplicemente dei colleghi da contraddire, e che si poteva con grande eleganza intellettuale sostenere tutto e il contrario di tutto». Cerchiamo di immaginare la scena. Galvanizzati, ma anche imbarazzati, dalla presenza di un maitre à penser della statura di Firpo, i cinque economisti si saranno innanzitutto preoccupati di rifuggire dalle banalità consuete, quali quella consistente nel ricordare che il debito pubblico italiano è oggi pari a circa 600.000 miliardi di lire, che corrispondono a circa 30 milioni per ogni capo famiglia. Saranno invece ricorsi ai molti paradossi che, sull'argomento, abbondano nella letteratura economica. Antonio de Viti de Marco elaborò la teoria dell'ammortamento del debito pubblico. Se questo è prevalentemente detenuto da soggetti nazionali (tale è oggi il caso dell'Italia), ogni famiglia porta mediamente sul proprio capo, è ben vero, 30 milioni di debito, ma, sempre in media, detiene direttamente o attraverso intermediari titoli di Stato per 30 milioni. Il debito di cui tanto si parla e si discute è dunque — sempre nella media — compensato, ammortizzato, annullato. Un altro brillante teorema è dovuto all'americano Robert Barro (che, pur senza citarlo, si è ispirato a Davide Ricardo). Barro parte dalla constatazione che ogni membro della generazione attuale — parliamo sempre dell'individuo medio — intende lasciare una qualche eredità ai propri figli o nipoti. Rinuncia dunque volontariamente ad aumentare i propri consumi, come potrebbe fare se soltanto intaccasse il patrimonio destinato agli credi. Supponiamo ora che lo Stato aumenti le spese o riduca le imposte a favore della generazione attuale, finanziandosi con l'emissione di debiti che graveranno, per gli interessi e il rimborso, sulla generazione futura. Ma se i membri della generazione attuale avessero voluto questo risultato (maggiore benessere per se, minore benessere per gli eredi), lo avrebbero potuto ottenere, come si è appena detto, riducendo le eredità. Dunque non lo volevano: e coerentemente neutralizzeranno gli effetti dell'intervento statale aumentando il valore delle eredità. Irt particolare, acquisteranno i nuovi titoli del debito pubblico per lasciarli ai suecssori. Siamo dunque tornati, per altra via, alla conclusione di de Viti de Marco: il cittadino medio ammortizza il debito pubblico acquistando la quota gravante su di si e sui propri eredi. Queste sono le grandi teorie, gli eleganti paradossi che si sfoderano per vincere le cattedre o per brillare nei salotti. Su di essi il dissenso è sempre possibile, anzi è d'obbligo, e da questi dissensi ben può discendere l'impressione che si sostenga tutto e il contrario di tutto. Se, invece, si fossero limitati ai problemi più quotidiani, i cinque economisti non avrebbero destato il sospetto di «non avere verità da sostenere», e si sarebbero sicuramente trovati concordi su alcuni punti fondamentali che non sono soltanto quelli individuati da Firpo, perché il debito pubblico £ faccenda lievemente più complessa di quanto possa emergere dalla semplicistica analogia con un bilancio familiare. Il debito pubblico, pur se idealmente compensato e ammortizzato in capo al cittadino medio che ne è al tempo slesso creditore e debitore, concorre a mantenere elevata la struttura generale dei tassi di interesse, ostacolando (e in parte «spiazzando») gli investimenti privati. Se invece il Tesoro e la Banca d'Italia seguissero una politica di bassi tassi di interesse, ne discenderebbe il rischio che, alla scadenza, i privati si rifiutino di rinnovare i titoli del debito pubblico, destinando le somme corrispondenti all'acquisto di beni reali o di attività sull'estero, e così generando inflazione e/o disavanzi della bilancia dei pagamenti. Questa è (pur se esposta in forma incompleta) la «saggezza convenzionale» in materia di debito pubblico. Saggezza forse amara, e anche banale. I cinque economisti se ne saranno tenuti lontani nella tema che l'illustre ospite ripetesse fra sé e sé il commento suggerito al protagonista de La coscienza di Zeno dalle nozioni che gli impartiva il suocero: «Mi diede qualche seccatura con la sua scienza economica e la teoria della domanda e dell'offerta che a me pareva più evidente di quanto egli non volesse ammettere». Onorato Castellino Ordinarlo In Economia politica nell'Università di Torino

Persone citate: Castellino, Davide Ricardo, Firpo, Luigi Firpo, Onorato Castellino, Robert Barro

Luoghi citati: Italia, Torino