Le partiture d'annate amano il monumentale di Giorgio Pestelli

Le partiture d'annate amano il monumentale Biennale Musica; incalzano opere nuovissime Le partiture d'annate amano il monumentale VENEZIA — Incalzano a ' getto continuo partiture nuove, nuovissime e d'annata; fra gli Anni Cinquan-, ta e gli Ottanta; il Festival di Musica Contemporanea rimescola le carte, propone Impliciti confronti e, in perfetta aderenza al suo statu- [ to culturale, delinca 11 profilo della situazione attuale: una situazione, almeno sul plano della quantità e dei propositi, quasi florida, baldanzosa. Rt&ppare un impulso alla monumentalità, alla costruzione ambiziosa con dovizia di mezzi: Gerard Orlsey, ' francese quarantenne, ha {concluso con Eptlogue e 'Transltolres 11 ciclo Les espaces acoustlques (concerto della Bbc Symphony Orchestra diretta da Peter Eótvos), I suol problemi sono occupazionali: occupare lo spazio acùstico, moltipllcare le risonanze armoniche, dilatare il tempo per, consentire le micromutazioni del suono. In sala, all'ascolto, di tutta quest'ansia di ricerca arriva una scenografia retorica fatta di fastidiosi pedali (che sembrano dire «era in principio»). Insistenti ripetizioni di frammenti in sé non peregrini. Dimensioni opulente, tanto tempo a disposizione si prende anche Philippe Manoury: ìnAleph (1985), presentato dal Complesso Carme diretto da Luca Pfaff (con la collaborazione della «Montedlson cultura» e del Festival di Strasburgo), anche qui lun¬ ghi pedali pieni di promesse («adesso succede qualcosa dì grosso»), enfatici rintocchi e fissità orientali (si stacca per vivacità l'episodio con 1 quattro solisti vo-l cali). ! Accanto 'al giovane Ma-, noury, è singolare che 11 Concerto per pianoforte e orchestra di Cage (1957-8), celebre Incunabolo dell'alea, suonasse come cosa misurata, con la trovata del tempo riempito di fatti quotidiani accanto alle avventure del pianoforte (solista d'eccezione John Tilbury). Fra le partiture gigantesche solo lo straordinario Ruf di Nunes mi è parso vincere la scommessa con la grande durata; per 11 resto, trovo più vicine opere dal tratto più definito e limitato: l'opera prima di Sylvano Bussottl,. Et due voci, in una nuova versione senza Martenot, mantiene Intatta la carica anticonformistica con cui si impose negli anni del serialismo più compatto. Anche Jeux Vénitiens (1960) di Lutoslawskl riesce a dire molto con poco, la gesticolazione riesce a trovare una cifra concreta. Anche nei prodotti ancora freschi d'inchiostro la memoria trattiene qualche profilo: nel concerto del Gruppo di musica contemporanea della Rat di Torino diretto da Gianpiero Taverna (Scuola di San Rocco), una fluida, simpatica novità di Fabio Vacchi (L'Usgnol In vatta a un fll) e la scoperta di un giovanissimo, Àt first light dell'inglese George Benjamin; anche lui impiega manierismi, ma la mano che il adopera è fresca, sicurissima nel cambiare i punti di vista; parte da un quadro di Turner, mà il tono contemplativo sa trasformarsi in registri incisivi e anche violenti, con un accorto impiego solistico di tromba e oboe. Gli «anziani», nello stesso programma, si sposavano particolarmente bene con i giovani: Dallaplccola con 1 Cinque Canti (1956), non cosi abbaglianti come le Liriche greche del '42, ma sempre robusti nell'arco formale, il poetico Primo Concerto per oboe di Bruno Maderna (bravissimo il solista Piero Borgonovo), Oiseaux exotlques di Messiaen. Mano sicura e sprezzatura tecnica hanno distinto il Trio per archi di Gilberto Cappelli (alle Sale Apollinee, con gli elementi del Quartetto Ardlttl): un rigoroso intrico di strappate, trilli, suoni armonici, che organizzano una sintassi personale e senza cedimenti a figure tematiche. Giorgio Pestelli

Luoghi citati: Strasburgo, Torino, Venezia