Angola: fratelli russi, basta di Igor Man

Angola: fratelli russi, basta A UNA SVOLTA IL PAESE AFRICANO «PROTETTO» DALL'URSS? Angola: fratelli russi, basta A Luanda, poco lontano da ville e grattacieli, donne scarne e bambini cercano cibo nelle immondizie -1 sovietici si-fanno pagare cari i loro «aiuti» - «Grazie a loro, gli angolani non si riconoscono più nel partito» - Il governo popolare cerca di correggere la rotta - Il presidente Dos Santos è pronto a riprendere i rapporti diplomatici con Washington «anche stasera» - Comincia una rischiosa partita DAL NOSTRO INVIATO LUANDA — Si chiama Luanda dal nome degli antichi abitanti do Cab», gli axlluahda ovvero lanciatori di reti. Tanto tempo prima che sgorgasse il petrolio, quando il caffè non era ancora stato piantato e coi diamanti forse ci giocavano i bombirti, Luanda era un grande villaggio di pescatori, un angolo felice del vasto reame del Kongo. Ma nel 1556, al tempo della guerra fra il Kongo e un altro regno, quello di Ndongo il cui sovrano portava il titolo di n'gola, a Luanda c'erano già i portoghesi. Non cercavano il pesce ma l'uomo; erano cacciatori di schiavi. Le popolazioni locali diedero sempre filo da torcere al portoghesi. Con commovente orgoglio i giovani dirigenti della Repubblica popolare d'Angola ti dicono d'avere «la resistenza nel sangue». In fatto in quel territorio, grande quattro volte l'Italia, i portoghesi stentarono a imporsi. La loro 'Conquista-, frutto dell'Atto di Berlino del 26 febbraio 1885, quando coloro che ancora oggi gli africani chiamano «gli Europei» si spartirono il Continente Nero, l'effettiva presa di possesso dell'Angola da parte del portoghesi ha luogo nel 1920. Ogni focolaio di rivolta è soffocato nel sangue, vengono rispolverati i «regolamenti» del 1878 e del 1899 che istituiscono i lavori forzati per i «vagabondi» o per coloro «non in grado di provvedere alla propria sussistenza»; in pratica schiavi. E' solo quarant'anni dopo, con l'assalto alla prigione di Luanda (4 febbraio 1961), che ricomincia la resistenza. Il 4 febbraio 1975 il leader del MPLA, Agostinho Neto, entra in trionfo a Luanda evacuata precipitosamente dal portoghesi: .tartan,toro.' JH^ esodo in massa precipitoso, che trova riscóntro''ètoF^- solo nella fuga da Saigon degli americani. La proclamazione dell'indipendentsa viene fissata per J'il novembre ma, in settembre, gli uomini di Roberto Holden (FNLA) dal Nord e i sudafricani dal Sud invadono l'Angola, con la benedizione degli Stati Uniti. Si vuole impedire l'avvento di uno Stato marxista in una delle zone più nevralgiche del mondo, l'Africa australe. Agostinho Neto, comwiista da sempre, riceve subito armi e «consiglieri» dall'Urss. A ruota seguono truppe d'elite cubane. L'aggressione viene così contenuta e i piovani rivoluzionari ebbri di felicità gridano che Luanda è diventata la Hanoi deli l'Aftita. •£•..!'•. Dall'alto .dei torrioni delnmilca Fórtaleza oe Suo Mi¬ guel, oggi straordinario museo delle forze armate, documentazione enfatica della lotta del popolo angolano contro invasori diversi, gli occhi si riempiono di un paesaggio fra i plii belli del mondo. La baia che corre a mezzaluna, dal porto all'iso- e i o n 1 a à, el n a i è. a e e di e la del pescatori, esalta sotto il sole australe sfumato da una leggera, struggente foschia il più azzurro del mari. E lungo la passeggiata, l'antica Marginale con le mattonelle a mosaico, grattacieli si alternano a perdita d'occhio con saporose ville dal patio esterno coperto da tegole di coccio, la facciata istoriata secondo i moduli dell'architettura coloniale lusitana. La lontananza incanta, la vicinanza sgomenta. La Hanoi dell'Africa invece d'essere il trampolino della sfida rivoluzionaria alla leadership bianca del Sud Africa è una città simbolo d'una nazione sconvolta dal caos e dall'intervento straniero. In vista del conpresso del non allineati, durante due mesi, lavorando a spezzaschiena, tedeschi dell'Est, ungheresi, bulgari, cubani e anche italiani hanno asfaltato il lungomare e le principali strade del centro, hanno ridipinto le facciate antiche con i colori pastello dell'epoca, hanno piantato lampioni al neon e ristrutturato quattro grandi alberghi. Un lavoro immane costato duecento milioni di dollari. Ma, svoltato l'angolo, trovi colline di immondizie dove, in lotta col topi, frugano donne scarne e bambini col ventre gonfio come I loro coetanei di Calcutta. I negozi sono cimiteri del consumismo; in una città che ospita due milioni di abitanti funzionano soltanto quelli che distribuiscono gli scarsi viveri di prima necessità, tutti razionati. In una farmacia, sugli scaffali polverosi troneggia solitaria una bottiglia di shampoo, a simboleggiare il collasso di un'economia che prima si volle socialista e, ora, si vorrebbe mista. Non si vedono vecchi in giro: solo il quattro per cento del sessantenni sopravvive alla malaria, alla tubercolosi, alla fame. Oggi l'Angola è un Paese gravemente ferito che lotta per sopravvtvere, un posto nel mondo dove non c'è nulla da comperare e spesso mancano i soldi per acquistare codesto nulla. Un Paese dove gli impieghi, il lavoro sono meschini e l'assenteismo una regola. E' l'Angola, a vederlo, caotico e guasto cosi come I portoglieli e I loro bianchi protettori, americani e sudafricani, avevano previsto sarebbe diventato se lasciato in mano al nativi. Sempre guardando le cose in superficie, vien fatto di pensare come si sia avverato quel che a suo tempo predisse Kisslnger. Furgoni carichi di cubani vanno avanti e indietro, 124 scure, fabbricate in Polonia, viaggiano con le tendine abbassate per celare alla vista del volgo gli 007 della Germania dell'Est. I bulgari intrallazzano col dollari; gli unici a far qualcosa di concreto pare siano gli ungheresi e certamente gli jugoslavi. E tuttavia l'Angola è un fenomeno storico molto più complesso di quanto le proiezioni di cui abbiamo detto avevano indicato. A dispetto del visibili segni del disastro, un nuovo approccio pragmatico alla realtà angolana è in corso da parte di un governo -popolare- che all'autocritica cerca di far seguire effettive correzioni di rotta. Mi dice un diplomatico occidentale che «l'Angola assiste a una rischiosa partita il cui esito determinerà il futuro del nazionalismo africano e il ruolo dei bianchi in questa regione. Il fatto nuovo è che il governo, specie dopo la conferenza dei non allineati, sta acquistando tanta fiducia in se stesso da pensare di affrontare la partita». In termini politici, beninteso. Gli angolani stanno cambiando, aggiunge un dotto prelato qui da anni in veste di osservatore diremo diplomatico. La guerra che le formazioni di destra' (cioè V UNITA di Savimbi, foraggiata da Usa e Sud Africa) e gli stessi sudafricani conducono da anni nel Sud,, net'Nord e persino a ridosso di Luanda, sia i sovietici che gli ameri¬ cani han cercato di trasformarla in un terreno di scontro ideologico. «Ora i primi e 1 secondi assistono agli sforzi dell'Angola di prendere le distanze dall'ideologia». Qui di seguito riferisco il succo di una lunghissima conversazione notturna con un giovane militante angolano. Lenin sapeva perfettamente che esiste spesso una tensione tra l'individuo e il partito, fra il giudizio e la fedeltà. Pensava, tuttavia, che tale conflitto, Ì7npossibile da ignorare, fosse superato dalla vita dell'Individuo nel partito, nel suo partito. Se' l'individuo dà credito al partito contro la propria opinione vuol dire che il partito ha dato prova del suo valore, è veicolo d'una missione storica e rappresenta il proletariato. Ebbene, «grazie al sovietici», che hanno voluto un comitato centrale del partito dove su 37 membri solo due sanno leggere e scrivere, «grazie ai sovietici» che hanno creato una burocrazia di sicofanti persino peggiori dei coloni portoghesi, «grazie ai sovietici» che stanno distruggendo la fauna marina pescando selvaggiamente, la maggior parte degli angolani non si riconoscono più nel Partito. Soprattutto i giovani. Il trapianto culturale effettuato da Agostinho Neto in un organismo africano denuncia, e non da oggi, la sindrome del rigetto del nutrxi, smo. Al suo successore, il giovine José Eduardo Dos Santos che afferma d'esser pronto a riprendere i rapporti diplomatici con Washington «anche stasera», tocca il compito tremendo di ricomporre l'identità culturale dell'Angola. Un Paese strangolato economicamente dall'Urss (gli aiuti di Mosca si pagano cash e in valuta) e che riesce a sopravvivere solo in forza dei contratti con la .lobby petrolifera degli Stati Uniti d'America. Igor Man Luanda. Il giovane presidente José Eduardo Dos Santos (al centro). A lui tocca il compilo di ricomporre l'identità culturale dell'Angola

Persone citate: José Eduardo, José Eduardo Dos Santos, Lenin, Ndongo, Neto, Roberto Holden