Boccadoro nell'Eden di Carlo Carena

Boccadoro nell'Eden AVVENTURA DI UN FILOSOFO Boccadoro nell'Eden Ha un bel dire Wordsworth che non in qualche isola segreta, Iddio sa dove, ma qui, nel mondo vero è il luogo ove dovremmo trovare la nostra felicità. Dalle lonta-' ne voci della Bibbia e di Omero, come a dire dalle prime voci dell'uomo, la nostalgia o il sogno di un eden accompagna e conforta il cammino «nel mondo vero». Quando Ulisse naufrago viene sospinto dall'onda furiosa del mare nel regno beato di Alcinoo, rischiara col suo racconto gli occhi rattristati della nostra mente; interpreta un desiderio che prende non solo il poeta, «l'uomo delle utopie» secondo Hugo, ma persino il politico, l'uomo della prassi, e l'uomo comune nell'assai più piccolo quadro della condizione in aii il destino lo ha fissato. Perché tutte queste, di Omero come di Dcfoc, sono allegorie dei naufragi e delle nostalgie della vita. Quando Defoe, sulla scia dell'enorme successo e di alcune critiche, aggiunse alle avventure del suo eroe le Riflessioni serie di Robinson Crusoe, dichiarò esplicitamente: «L'intera vita mi sembra essere o dover essere un atto universale di solitudine. Noi amiamo, odiamo, desideriamo, godiamo, tutto nell'isolamento e nella solitudine»; cosi cerchiamo di realizzare il nostro trionfo sulla società, di evitarne i fastidi, e costruiamo il nostro proprio mondo, rifacciamo il mondo da capo. Da Omero a Defoe — e più in giù, dagli illuministi ai romantici e fino a Malamud e al dottor Colin del suo Dio mìo, grazie — questo disagio e il suo sbocco liberatorio sono come un flusso istintivo che agisce sulle coscienze e sulle fantasie: le parodie e i capovolgimenti dei cinici o all'opposto le invenzioni degli elegiaci fra i mandriani arcadi o fra le braccia di una donna inesistente; la novella dei pa stori innocenti Dafne e Cloe o le fughe dalla terra di Luciano* ««bagordi e le Isole beate dei medievali... In. pieno impero.romano, poco prima di Luciano, fra primo e secondo secolo dopo Qisto, si colgono tracce di questi motivi anche nei discorsi di un retore asiatico sta bilito a Roma con alterna fortuna: Dione Cocceiano detto Boccadoro. li' il discorso che s'intitola // cacciatore e che 'proprio per questo conserva un non piccolo interesse anche e forse più per le alienazioni di diciannove secoli dopo; tan to da aver ispirato ora la tra duzione di Elisa Avezzù in un libretto delle edizioni Marsilio. Davanti alla folla dei suoi ascoltatori avvezzi a godere dalla sua aurea bocca una disquisizione letteraria o un ciò gio del pappagallo e della mo sca, Dione quel giorno raccontò, con una prima ed ennesima finzione, un'avventura da lui stesso vissuta, certe cose che, da bravo giramondo, aveva egli stesso viste e non sen titc narrare da altri, sopra un'isola abbandonata. 11 retore si era imbarcato ; Chio su un battello di pesca tori, come il piantatore Crusoe salirà a bordo del brigantino che dal Brasile avrebbe dovuto portarlo in Guinea, «in un'ora infausta del primo settembre 1659». Anche per Dione era la fine dell'estate, e comunque anche la sua imbarcazione fu sospinta da uno dei fortissimi fortunali che imperversano al volgere delle stagioni su un tratto impervio dell'isola Eubca. Mentre i suoi compagni, si associano facilmente ad altri pescatori incontrati in una baia vicina, il protagonista, insofferente di quella desolata solitudine, percorre la riva sperando di avvistare presto qualche nave di passaggio: ma nulla, né navi né anima viva. A un tratto, sulla spiaggia scorge il corpo di un cervo precipitato dalle rupi sovrastanti; poco dopo ode un abbaiare di cani, e sopraggiunge il cacciatore. Non e Nausicaa che attende l'eroe omerico con le sue candide braccia; ma ben abbronzato e tutt'altro che ispido all'aspetto, anche il cacciatore invita lo straniero a riposare e ad attendere nella propria capanna l'occasione propizia per il ritorno 1 due risalgono verso l'interno, e durante il tragitto l'ospite racconta la propria storia. Bgli e un suo amico, assieme al quale ora vive, sposati Tuno con la sorella dell'altro, ccdcugrg cran figli di onesti mezzadri coinvolti nella rovina del padrone e rimasti da allora sui campi, rescissi dal mondo, in una gola profonda e ombreggiata, percorsa da un quieto ruscello, allietata da brezze leggere e attorniata da prati ameni, da alberi radi e ombrosi, ricca di selvaggina da inseguire sulla marcita d'autunno o sulla neve soffice d'inverno. Solo una volta il cacciatore è sceso in città, per risolvere una faccenda includibile di tasse e affrontare una burocrazia capillare e beffarda. Per il resto, sempre a caccia in concordia con quei soli vicini, a banchettare con ortaglia e selvaggina su lettucci di frasche : di pelli. Come avviene ora n onore dello straniero: «E io intanto, confessa, quel/a gente la (pittavo felice e pensavo che, fra quanti avevo conosciuto, costoro vivessero la vita piti beata». L'uomo civilizzato, il frequentatore dei palazzi e dei teatri, si sofferma a riflettere sulla felice frugalità e sulla generosità genuina di quei poveri fuori dal suo mondo; le paragona alle tristezze, ai rancori, ai traffici abietti delle plebi inurbate, alle loro attività dannose per la salute e per la mo rale o alla loro miseria corrot ta e corruttrice: fra quelle pie bi si vive costruendo bellezze artificiose e labili mediante le i estetiche o assecondando il lusso pacchiano dei ricchi; si solletica il riso e l'istinto primordiale facendo il ballerino e il cantante; ci si abbassa ai servigi del delatore, agli adescamenti del seduttore, allo sfruttamento del ruffiano... La metropoli dilaga ormai incontrastata con le sue periferie brulicanti e con i suoi problemi assillanti già nelle parole di Dione. A volte fatuo, altre volte contraddittorio, sempre ispirato chiaramente dalla preoccupazione dell'ordine costituito e di un contentamento generale impossibile lungo quella scala sociale ed etica, il discorso del retore che si definisce «dottore dell'anima» registra puntualmente i contrasti interni in cui si dibatte la grande civiltà imperiale romana, l'immensa estensione della pace universale in cui si rigira, irrisolta, l'inquietudine dell'individuo. Come oggi, il bisogno dell'utopia e il desiderio della corsa solitaria nell'avventura della vita urtavano contro le forme e le necessità della vita associata giunta a dimensioni planetarie, e richiedevano un coraggio e una tenacia ancora più grandi di quelli dell'antico Ulisse che, una volta giunto finalmente al villaggio e alla casa, non trovava di meglio che rimettersi in mare, in cerca apparentemente di nulla. Carlo Carena

Luoghi citati: Brasile, Guinea, Roma