Il passaporto per Mosca
Il passaporto per Mosca Il passaporto per Mosca paolo garimberti 1 sovietici hanno negato il visto a Nicole Zand, responsabile del settore letteratura straniera a Le Monde: doveva recarsi a Mosca per la fiera del libro. Al solito, non hanno dato spiegazioni plausibili. Al solito, hanno condito il rifiuto con la beffa: hanno garantito che il visto era pronto, hanno invitato la giornalista a recarsi all'aeroporto e lì hanno inventato che all'ultimo momento il documento non era arrivato da Mosca. . Le «colpe» di Nicole Zand sono quelle di tanti altri giornalisti sgraditi ai sovietici: aver vissuto a lungo a Mosca (sei anni con il marito Jacques Amalric, corrispondente di Ije Monde), conoscere abbastanza la lingua da comunicare con gli indigeni senza il filtro di interpreti ficcanaso, aver frequentato wn'intelligencija moscovita non sempre ossequiosa al regime e talvolta apertamente dissidente, aver coltivato rapporti con l'emigrazione russa a Parigi. In una situazione analoga si trovò, più di una volta, Michel Tatù negli Anni Sessanta: alle solite «colpe» aggiungeva quella, gravissima, di avet sposato una sovietica. A me toccò tre volte, l'ultima nel 1977. Dovevo seguire la visita di Berlinguer a Mosca per il sessantesimo anniversario della Rivoluzione d'ottobre. Dissero che non c'era posto in albergo. Anni Sessanta, Anni Settanta, Anni Ottanta: come e immutabile il mondo ufficiale sovietico con i suoi collaudati ingtanaggi orwclliani. Così immutabile da dare quasi un senso di tranquilla certezza. Eppure l'Occidente è ansioso di vedere la Russia che cambia e basta un minimo, talvolta malinteso, segnale che si scatenano le più fantasiose interpretazioni: Gorbaciov che invoca Dio nell'intervista a Time, ignorando che le citazioni di Dio non sono mai sparite dal linguaggio parlato del popolo sovietico, ma neppure dei suoi capi, come Frane Barbieri ha riccamente dimostrato su questo giornale. Allora alcuni si eccitano al punto da concludere, senza essere sfiorati dal dubbio, che l'orso sovietico è già diventato gazzella. Andiamoci piano. Certamente Gorba-' ciov sta tentando di cambiare qualcosa, come del resto tentarono Kruscev e lo stesso Breznev nei suoi primi anni (chi ricorda la «riforma Kossighin», che oggi il . Cremlino riscopre, ufficialmente ignorandola?). Ma, a dieci anni dagli accordi di Helsinki, l'Urss continua a vietare la circolazione sul suo territorio della letteratura e della stampa «sovversiva», cioè tutta la stampa libera;' continua a rifiutate o a espellere i giornalisti sgraditi, allineandosi con il Sud Africa di Botha che ha appena espulso il corrispondente di Newsweek; continua a processare e a far morire in carcere i dissidenti. Nei giorni scorsi, nel lager di Perm è deceduto il poeta ucraino Vasyl Stus: era stato uno dei primi a protestare per l'arresto degli scrittori Sinjavskij e Daniel nella seconda settimana di settembre del 1965. Esattamente vent'anni fa: Breznev era succeduto a Kruscev da undici mesi. Potrebbe bastare un po' di questa contabilità per renderci tutti più riflessivi: deve scorrerne di acqua sotto i ponti della Moscova prima che l'orso diventi davvero gazzella. Per ora, è più saggio dire che l'orso perde il pelo, ma non il vizio.
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