Pinochet in trincea con l'esercito di Aldo Rizzo

Pinochet in trincea con l'esercito Dodici anni fa il colpo di Stato che rovesciò Allende e gettò il Cile in una fosca dittatura militare Pinochet in trincea con l'esercito Appoggiato (o tollerato) a lungo dalle forze che si batterono contro «Unidad Popular», il dittatore ha perso negli ultimi due anni i «tradizionali» alleati: le classi abbienti e gli Usa - Nei giorni scorsi una svolta forse decisiva: la Chiesa si è schierata con l'opposizione ed è nato il «Patto democratico» sottoscritto da undici partiti moderati Resta l'ultima grande incognita politica: il ruolo che vorrà e potrà giocare il partito comunista di Luis Corvalan Da dodici anni la data dell'I I settembre ritorna come un incubo pel" l'Occidente democratico. Oggi, appunto, è la dodicesima volta. L'11 settembre 1973 è il giorno del colpo di Stato militare in Cile, l'inizio della dittatura di Augusto Pinochet. Ma è anche il giorno' in cui cadde definitivamente il governo di «Unidad Popular>>,. vittima, prima ancora che della violenza militare, di una serie di errori, contraddizioni ed eccessi politici. Cosi la data dell'I I settembre è anche un incubo per la sinistra, per tutti coloro che awvano sostenuto il modello cileno di «passaggio ut socialismo». Il golpe scattò alle prime ore del giorno; erano appena le sci quando il presidente Salvador Allende fu informato, nella sua residenza di Tomas Moro, che truppe corazzate erano in movimento da San Felipc verso Santiago. Poi apprese che anche la Marina si era sollevata, a Valparaiso. Fece in tempo a tornare al palazzo presidenziale della Moneda, per subire l'attacco decisivo dell'Aviazione. Alle 14, Allende era morto, accanto al suo cadavere c'era il fucile automatico AK, che gli era stato regalato da Fidcl Castro. I militari lo seppellirono in una tomba senza lapide, nel piccolo cimitero di Vifta del Mar. Il grande coraggio personale e la morte eroica non gli ri sparmiarono le critiche politi che. E non solo da parie dei «moderati», di coloro che era' no comunque contrari alla «ri voluzionr». Il primo ministro cinese Ciu En-lai raccontò a Henry Kissinger «di avere del lo ad Allende di andarci più piano, di essere meno dottrinario», di «non fare tutto insieme, meglio un passo alla volta...». E, in Italia, il leader del più grande partito comunista d'Occidcnic, Enrico Berlinguer, rilevò come fosse stalo un grave errore pensare a tra sformazioni radicali della società, disponendo di una csi gua maggioranza di governo In realtà, Allende non aveva mai disposto di alcuna mag- gioranza. Aveva riscosso il 36,2 per cento dei voti, contro il 34,9 per il candidato della destra, Alessandri, e il 27,8 del democristiano Tomic. Erano stati i democristiani, nel ballottaggio parlamentare, a rendere possibile la sua elezione; ma poi gli avevano progressivamente ritirato l'appoggio. Allende pensava a una nuova Costituzione, ma intanto la sua politica economica di ridistribuzione del reddito, mentre calava la produzione, aveva scatenato un'inflazione incontrollabile (c'entrava anche il boicottaggio internazionale, orchestrato dagli Stati Uniti di Nixon). E le attese popolari più radicali venivano eccitate dall'ala sinistra del suo stesso partito, il socialista, oltre che dalle formazioni erratiche dell'ultrasinistra. Contro tutto questo s'in-' franse il suo personale e sincero disegno, la sua personale illusione, di una transizione democratica al socialismo, che avesse «la stessa importanza della Rivoluzione russa», nel contesto delle moderne società occidentali. La de appoggiò apertamente il colpo di Stato militare, in virtù di un'opposta illusione: che i generali, dopo avere «fermato il caos», si sarebbero ritirati in buon ordine. Per dicci anni, dal 1973 al 1983, Pinochet ha governato con mano dura un Cile rassegnato; ma non gli è mancato un certo «consenso». Era quello della destra economica, dei detentori della grande ricchez- za, che avevano trasferito i capitali all'estero già al preannuncio dell'elezione di Allende; ma anche quello dei ceti medi, che vedevano il proprio reddito polverizzato dall'inflazione. E in ogni caso c'era lo «strumento tecnico» rappresentato dall'esercito.,. Questo ambiguo, perverso, ma solido, sistema di potere è entrato in crisi giusto due anni fa, con l'approssimarsi del decimo anniversario del golpe. Motivo primo, il fallimento del proposito di Pinochet di restituire stabilità e slancio all'economia cilena. E' fallita la cura libcrislica sia contro l'inflazione che contro la recessione, e nel dissesto economico, simbolizzato da un debito estero pari al 40 per cento del prodotto nazionale lordo, è venuto meno anche il «consenso» politico. E' invece emersa in tutta la sua crudezza la .realtà di una repressione fine a se stessa. E tuttavia Pinochet ha superato anche le manifestazioni di protesta, il pericolo potenzialmente grande di una saldatura dei celi medi con i poveri e i miserabili delle «poblaciones», dei quartieri e dei villaggi più emarginati. C'è riuscito con la forza della repressione, sempre garantita dall'esercito, nonostante le serpeggianti inquietudini nelle altre Armi; ma anche perché la protesta sociale e popolare non ha trovato una credibile espressione «politica''. Dispersi e discordi i partiti dell'opposizione, Pinochet ha potuto continuare a dire che non c'erano alternative all'ordine dei militari, al quale aveva dato una vaga parvenza legalitaria con una nuova Costituzione, che gli garantisce il potere sino al 1989, salvo che non sia rieletto, o non sia eletto un suo docile successore. Cosi e passato, dopo il decimo, anche l'undicesimo anniversario. Poi, avvicinandosi il dodicesimo, quello che ricorre oggi, e successo qualcosa di nuovo. La Chiesa cilena, che aveva progressivamente preso le distanze dal regime, si è decisa a schierarsi apertamente per il ritorno della democrazia. Il cardinal Fresno, arcivescovo di Santiago, si è fatto promotore c mediatore di un «cartello» delle opposizioni democratiche, cioè di tutte le forze an- tiregime, salvo i comunisti, la sinistra socialista e le formazioni «ultra». Di questo cartello fanno parte anche i parliti di destra, che avevano finora appoggiato, o non contrastalo, Pinochet. Il programma del «Patto democratico» è deciso, ma elastico: non pone condizioni ultimative di tempo, ma è molto chiaro sull'obiettivo della transizione, che non può essere altro che un recupero pieno della democrazia. Come diceva ieri il presidente della de, Gabriel Valdes, in un'intervista alla radio italiana, Pinochet non può più so¬ stenere che dietro di lui c'è il disordine politico e sociale: gli undici partiti del «Patto democratico» hanno un programma complessivo per la transizione, ma anche per la prima fase della rinata democrazia. Inoltre essi potranno contare sull'appoggio degli Stati Uniti, che finalmente accennano a uscire da una lunga ambiguità, che Pinochet ha potuto sbandierare come un sostegno. Potrà dunque accadere nel dodicesimo anniversario, o nella sua scia, ciò che non è accaduto nel decimo e nell'undicesimo? Questa è ora la grande speranza del Cile. Ma le incognite non sono poche. La più importante riguarda il partito comunista. Il pc cileno (che è potenzialmente il secondo dell'Occidente, dopo quello italiano, essendo accreditato di un 25 per cento del consenso nazionale) svolse un ruolo relativamente moderalo nel governo di Allende, almeno rispetto ad altre componenti. Ora la sua posizione è più dura, nell'ambito del «Movimento democratico popolare», che raggruppa la sinistra estrema c ha anche un «braccio armato» nel «Fronte patriottico Manuel Rodrigucz». Il leader del pc, Luis Corvalan, è a Mosca, e da li guida la strategia dei suoi compagni cileni. Ci si domanda se egli non si sia condannato a un ruolo come quello del portoghese Cunhal, che viveva a Praga, aspettando la «rivoluzione» a Lisbona, e se invece il Cile non abbia bisogno di un Carrillo, il leader comunista spagnolo che, col suo realismo, favorì non poco il ritorno della democrazia nel dopo-Franco. Sta di fatto che il pc cileno, escluso dal «Patto democratico» per il suo appoggio alla lotta armata, se n'é lamentato, esprimendo interesse per la strategia dei «gradualisti». Ma non ha rinuncialo all'«opzione» della lotta armata, e ha dato un forte impulso alle manifestazioni di piazza della siiti mana scorsa (che gli uomini di Pinochet hanno represso facendo undici morti). Ci si domanda, anche, se non possa servire un «gioco delle parti», tra una pressione della piazza, ancorché tanto costosa, c una disponibilità «moderata». E non c'è una risposta sicura. Ma l'ipotesi cruciale, a questo punto, è se i comunisti, coagulando l'area della sinistra estrema, magari solo per un calcolo di «leadership», non finiscano per chiudere la breccia potenziale nel muro della dittatura, che fu innalzato dodici anni fa, come oggi. In quel caso, l'incubo continuerà, per tutti. Aldo Rizzo