Da Crispi a Gelli

Da Crispi a Gelli LA MASSONERIA E I POLITICI Da Crispi a Gelli All'indomani della libaa-|i < 111 IIIUUIIKHII •aj\>lléft llYJ^ktX' .zionc, il termine «massoneria» faticava a riprendere diritto di cittadinanza nella vita italiana, ili blasone della soppressione anche violenta' della loggia a opera delle squadre fasciste, in 'assoluto parallelismo di tempi e di modi con i partiti politici, non bastò a riscattare la, massoneria da una certa aura -di sospetto verso le indulgenze o tolleranze filofasciste delle origini. Si ebbe quasi l'impressione che l'azione di svalutazione e ' denigrazione sistematica degli ideali massonici — che pur si ricollegavano agli ideali umanitari e di tolleranza — avesse fatto breccia nella coscienza pubblica delle nuove generazioni assai più di quanto la volgarità dei temi usati dal regime potesse consentire di prevedere. La cultura antifascista laica, di ceppo per tanta parte crociano, anche nel versante marxista, non aveva mai superato il complesso di ripugnanza o di insofferenza verso il rituale dei «liberi muratori» che aveva caratterizzato il pensiero di Croce: avverso alia Weltanshauung massonica col rigore di un uomo della vecchia Destra. La massoneria sciolta e perseguitata finì per ricostituirsi, ma in un clima di timidezza o di discrezione confinante col timore. Chi aveva vent'anni nel 1945 o '46 ricorda lo stupore di certi annunci mortuari di dignitari massonici, sui quotidiani appena rinati dopo la liberazione, caratterizzati da astrusi segni quasi del rutto indecifrabili per un profano: solo alleggeriti da richiami storici, come Mazzini o Garibaldi o (nel clima fiorentino) Giuseppe Dolfi, il gran fornaio del '59, che suscitavano tante domande, che risvegliavano tanti perché. Mancò alla massoneria italiana, che aveva conosciuto momenti di grandezza e fasi di decadenza, il coraggio di un proccsso_di autoaitica^n^ro^ litici italiani (Pannella ce lo consentirà) il partito più direttamente legato all'esperienza e all'influenza massonica, cioè il partito radicale, nato dal patto di Roma del 1890 e convissuto con Giolitti in atteggiamenti che erano stati dialettici, di collaborazione e anche di opposizione. Quanto all'espeticnza più originale della sinistra repubblicana italiana, che riassorbiva anche molti nuclei del vecchio e glorioso ori, cioè il partito d'azione, i filoni non massonici o antimassonici (per influenze culturali crociane o postcrociane) prevalevano sulle tiepide fedeltà di ceppo massonico, conservate in scrinici pecloris piuttosto che ostentate nel vivo dell'azione politica. La timidezza delle forze politiche, nella rivendicazione di quei legami o di quei simboli massonici, si rifletteva direttamente nella timidezza della storiografìa. Pochissimi storici avevano il coraggio, che aveva, per esempio, a Firenze un, Carlo Morandi, interprete in termini politici di quella democrazia del lavoro che si richiamava più di ogni altro partito del Cln all'ispirazione radical-massonica, di sottolineare il contributo che la massoneria aveva dato alla modernizzazione del Paese: anche a costo di polemizzare con Gramsci, di cui nessuno aveva dimenticato' il giudizio del 1925, essere il Grande Oriente «il vero, ami, l'unico partilo della borghesia italiana». Ma era poi fondata l'osservazione di Gramsci? La verità è che il cosiddetto «partito massonico» — volendo usare anche noi il termine gramsciano — fu tutt'altro che un partito univoco almeno nel periodo che coincide con l'adolescenza contrastata e decisiva della nazione, fra la fine degli Anni 80 del vecchio secolo e l'inizio degli Anni 10 del nuovo. La massoneria tocca il culmine della sua influenza e della sua potenza con Francesco Crispi, presidente del Consiglio e grande militante della loggia. In quel momento è Gran Maestro Adriano Lemmi, che è tornato in questi anni a risvegliare interessi, anche venati di devozione (come nella biografia che gli ha dedicato, con animo di deferente rispetto, Aldo Alessandro Mola per i tipi di Erasmo). La sconfitta di Adua, cioè la liquidazione di Crispi, implica un passaggio ,di mi ttetir guWa^hr'Tnsss^nerix^ «eS JfetSz rfaUzzatd:; iti ' massimo momento di splendore in quella specie di triade che unisce Crispi, Carducci e Lemmi. Il nuovo Gran Maestro a metà del 1896, Ernesto Nathan, simbolo di un integro retaggio mazziniano, è l'uomo che corregge la rotta crispina del Grande Oriente, evitando l'espulsione dell'ex presidente del Consiglio coinvolto nel complesso di scandali alimentati dai suoi errori e dalla stessa regia del rivale Giolitti. Sennonché la fortuna di Nathan come Gran Maestro si scontra nell'ostacolo di un altro scandalo, tutto intriso di risvolti massonici, che è lo scandalo Murri: il grande medico bolognese, protagonista, senza volerlo, di una delle vicende che più domineranno la cronaca nera dell'Italia nei primi anni del secolo, con l'assassinio del marito da parte della figlia Linda. Al periodo Nathan segue il periodo di Ettore Ferrari, un Gran Maestro che è espressione del filone più puro e schietto delia massoneria, quello repubblicano: non a caso promotore di quella fase dei blocchi popolari che porterà appunto Ernesto Nathan — che è un assoluto galantuomo e un amministratore intcgerrismo — alla guida del Comune di Roma negli anni fra il 1907 e il 1913, nell'indiretta ma aspra polemica con Papa Sarto (e col fronte dcrico-moderato che intorno a Papa Sarto si consolida). E' questo il periodo dei blocchi popolari, cioè dell'alleanza fra socialisti e repubblicani e radicali,'che sta al centro del libro di uri giovane ed agguerrito studioso, Ferdinando Cordova, Massoneria t politica 1892-1908 (Laterza), che per la prima volta — nella storiografìa neghittosa o indifferente — affronta i temi della evoluzione e delle lotte interne della massoneria con animo, storico, da storico, e non da militante né elegiaco né giustiziere. Cordova ha il merito di mettere in luce anche la base sociale della massoneria nei primi anni del secolo: che è una base sociale sostanzialmente oligarchica ed elitaria. Agli inizi del '900, cento lire di tassa di ingresso, c nove lire per ogni trimestre. Somme non da operai. E prevalenza, nelle file delle logge, di magistrati, di ufficiali dell'e- scrcito c della marina, di prò-fessori, di professionisti alti medi. E poi, punto di rottura: le alleanze amministrative coi cattolici. Due giolittiani e massoni (Giolitti non era massone ma non disdegnava amici nella loggia, anche per controllarla e magari dividerla all'intano), cioè Edoardo Daneo e Tommaso Villa, sono espulsi dal Grande Oriente per il «reato», consumato a Torino nel 1906, di un cartello d'ordine coi clericali. L'ordine prevaleva su tutto! Ma sono tempi che durano abbastanza poco. Due anni dopo una scissióne sarà fatale al Grande Oriente. Un nucleo moderato sarà contrapposto al nucleo intransigente, filosocialista e filorepubblicano, e sarà guidato da un uomo il cui nome riaffiorerà nella storia del fascismo: Saverio Fera. Da quel momento la storia della massoneria si confonde con la storia delle contraddizioni della società italiana. E le rispecchia intere fino alle ultime vicende, che hanno cosi degradato il nome della massoneria nella coscienza pubblica, e hanno infangato testate, come la P2, legate, alle loro origini, alla memoria di Francesco Crispi. Da Crispi a Gelli: malinconia dei simbó- Giovanni Spadolini Ernesto Nathan, eletto Gran Maestro nel 1896 e sindaco di Roma 1907-1913

Luoghi citati: Comune Di Roma, Firenze, Italia, Roma, Torino