La mia vittoria olimpica significò tante illusioni

La mia vittoria olimpica significò tante illusioni ROMA '60 Livio Berruti venticinque anni dopo La mia vittoria olimpica significò tante illusioni ' Sembra ieri e invece è passato esattamente un quarto di secolo da quel famoso 3 settembre I960, quando salii sul gradino più alto del podio olimpico dei 200 metri. Riandando con la memoria a quel giorni, la cosa che mi balza prepotentemente in mente è l'atmosfera romana, con quel calore travolgente e spontaneo, quella partecipazione genuina e piena di trepidante attesa di tutti gli sportivi, e non solo di loro, per quel grosso avvenimento che avrebbe catalizzato per 20 giorni l'attenzione di tutta la nazione con la complicità della giovane televisione che proprio in quell'occasione dimostrò le sue enormi potenzialità. E quell'atmosfera suggestionava anche noi atleti, tutti tesi a far sentire la nostra voce senza paure o timidezze per affermare in maniera pulita la dignità di sentirci alla pari con tutte le nazioni del mondo. A livello personale posso dire che le Olimpiadi romane hanno rappresentato la sorpresa non tanto della vittoria, che non mi aspettavo anche se, avendo fatto il record del mondo in semifinale, ero automaticamente diventato il favorito, quanto soprattutto per il salto di qualità che l'alloro olimpico mi ha fatto compiere, dandomi la popolarità di un campione del calcio. E' stata l'esperienza senz'altro piti interessante, e traumatizzante, perché mi ha permesso di rendermi conto di quanto il successo pesi sulla propria libertà e indipendenza: dovunque andassi ero controllato, qualsiasi cosa facessi c'era chi ti criticava per quell'inconscio senso di rivalsa che molti di noi hanno nel confronti di chi è reputato più fortunato. Insomma, diventando uomo pubblico; avevo perso la privacy, ma, in compenso, avevo conquistato il diritto di dialogare alla pari con chiunque, da quelli collocati più in alto a quelli situati più in basso della scala sociale e culturale (e non sempre i< migliori erano i primi!). Lo sport italiano ebbe una grossa sferzata dalla mia vittoria, forse perché era la più inattesa. Per un certo periodo di tempo tutta la gioventù rimase contagiata dallo spirito olimpico, nacque l'illusione di essere riusciti a far fare un salto di qualità alla società come era successo nel settore industriale. Purtroppo la cosa durò poco, il mondo politico, come quello intellettuale e artistico, rimase inerte, la grossa resistenza del mondo della scuola e dell'economia pubblica vanificò nel giro di pochi mesi tutte quelle speranze di far diventare sportivi attivi, e non più passivi, la massa di giovani che con tanto entusiasmo si era avvicinata allo sport. Vinse purtroppo la mentalità di quel ragazzino che poco dopo le Olimpiadi mi chiese: 'Ma quanto guadagni a fare lo sportivo?», dimenticandosi che allora il dilettantismo era veramente applicato e rispettato. Forse, se avessimo avuto più fortuna, avremmo ridotto certe tensioni e certe violenze che caratterizzano lo sport d'oggi, o no? Roma, 3 settembre 1960: è il momento storico nel quale un velocista europeo interrompe la supremazia degli sprinters americani sempre vincitori del titolo olimpico dei 200. Livio Berruti, che già in semifinale aveva eguagliato il primato del mondo correndo in 20"5. si ripete ed entra nella storia dell'Olimpiade. Nell'immagine il magnifico istante nel quale l'adora ventunenne torinese (è nato il 19 maggio 1939) taglia vittorioso il traguardo

Persone citate: Livio Berruti

Luoghi citati: Roma