Melina Mercouri signora nostalgia di Lietta Tornabuoni

Melina Mercouri signora nostalgia PERSONE di Lietta Tornabuoni Melina Mercouri signora nostalgia DAL NOSTRO INVIATO VENEZIA — «Che nostalgia: dal mestiere non si guarisce mai. Quando vedo un bel personaggio femminile sono gelosa, nei miei sogni la notte continuo ad essere attrice. Fortuna che in politica mi occupo delle cose che ho sempre adorato». Il ministro della Cultura di Grecia con una gonna di cotone rosa, giacca e scarpe verdi, una canottiera di seta a fiorellini rosaverdi, un grande anello prezioso rosso rubino e ver-, de smeraldo: Melina Mercouri a 63 anni è una donna bella, occhi splendenti, modi seducenti, voce da sirena. La responsabilità politica del suo ministero comprende oltra la cultura lo sport, l'emigrazione, la gioventù, l'istruzione non universitaria; esercitarla non è troppo difficile, dice: «Con gli uomini politici bisogna fare come con i bambini: parlargli molto seriamente, da persone adulte». Essere una donna era una difficoltà maggiore prima: «Niente è più terribile che essere una giovane attrice. Ho pagato nell'anima e nel corpo il prezzo del mio sesso, pago anche ora: ma vale la pena». Anni di pietra, il film greco in concorso alla Mostra che lei è venuta a festeggiare, è prodotto al 45 per cento con fondi pubblici, come i film francesi presenti sono finanziati dal ministero della Cultura di Francia: «£* molto bello, Voulgaris è un eccellente regista, siamo fieri di lui. Sono fiera del fatto che, nel mio triennio ministeriale, il cinema greco abbia già preso due grandi premi. Bisogna far andare avanti il cinema europeo, dargli nei Festival il massimo spazio: undici film americani qui sono troppi, non dobbiamo lasciarci sommergere dal cinema degli Stati Uniti». Da quando lei è ministro, dice, i rapporti con gli artisti sono «più amichevoli, più socialisti», sono nati dieci teatri nuovi, i finanziamenti statali al cinema sono più alti. Insomma, bene. E può approfittare dell'occasione per dire una cosa? Come no. «Ecco, vorrei ringraziare il presidente Craxi, i ministri Gultotti e And reotti, per tutte le cose archeologiche che sono state restituite alla Grecia. E vorrei ringraziare Luca Ronconi, che al Teatro di Epidauro ha messo in scéna un Plauto meraviglioso». Gerard Dépardieu di Police è molto simpatico, cosi vestito male, troppo euforico, con i mocassini consunti e le mèches bionde nei capelli, con un tatuaggio sul braccio: coltello, serpente e la parola Chatpoule, «è un uccellino che vola, non vuol dire niente». Dimagrito, un po' sbronzo, racconta che non frequenta più lo psicanalista: dopo essere stata come lui in analisi per anni, sua mo¬ glie è diventata analista e basta lei. Dice che il suo regista Pialat è come De Sica, 'che il poliziotto del suo film è più Dostoevski che il tenente Colombo, che la sua partner Sophie Marceau ha problemi d'amore, «per forza, ha 18 anni». Ce l'ha con gli italiani che mandarono al rogo Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci: «Hanno mutilato il loro figlio migliore». Dice che il cinema è meraviglioso, splendido, è tutto, gu ci vorrebbero sale immense («non è in crisi il cinema; in crisi è la gente»), che aver mancato il suo debutto di regista con Tartufo è stato un peccato: «Dal punto di vista tecnico non ci so fare. Doveva essere un film sensuale che mostrasse gli attori nella loro nudità, ma non ci sono riuscito. Pazienza». Paolo e Vittorio Taviani parlano di Paolo Valmarana, produttore per la tv del loro La notte di San Lorenzo (e di Albero degli zoccoli e Cammina cammina di Olmi, di E la nave va di Fellini, di Colpire al cuore di Amelio e Sogni d'oro di Moretti): «Tornare a Venezia e non trovarlo qui, pensare che da quasi un anno se n'è andato... Molto brutto, strano. Per noi il rapporto con lui è stato fondamentale, nel lavoro e nell'esistenza. Per tutti era importante la sua politica culturale, gettare un ponte tra cinema e televisione, costruire una collaborazione oltre la concorrenza». Jerzy Skolimowski, il regista polacco, ha girato il suo primo film a Hollywood, The Lightship: «Esperienza sorprendentemente armoniosa». Con l'America è andata benissimo, col suo interprete Klaus Maria Brandauer è andata malissimo: «Tutto Freud in un ometto. Autogol continui. Narciso, matto, rissoso, non professionale, uno che sgomita i colleghi fuori dell'inquadratura. Insopportabile. Come attore è pari alla Lollobrigida, come essere umano è assai peggiore. Brandauer qui a Venezia? Ne .sarei davvero sorpreso. Non oserebbe incontrarmi». Melina Mercouri

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