Le manovre d'estate di Arrigo Levi

Le manovre d'estate Scudo spaziale e il resto tra Usa e Urss Le manovre d'estate Le manovre estive delle grandi potenze, in vista dell'appuntamento di novembre a Ginevra tra Rcagan e Gorbaciov, si sviluppano secondo strategie complesse, non sempre facili da interpretare. Le ultime mosse, e cioè la visita a Mosca del ministro americano dell'Agricoltura John Block e la visita a Roma e all'Aia del generale James Abrahamson, direttore dell'Sdi (il progetto di ricerche sullo «scudo spaziale»), sono molto significative, ma non cancellano l'atmosfera di incertezza che circonda ancora il vertice: il primo di Reagan con un leader sovietico, e uno dei più aperti che si siano mai svolti. Che sia cosi è confermato dal carattere tattico e difensivo di molte delle mosse finora compiute. Ciò vale per la proposta sovietica di moratoria degli esperimenti nucleari sotterranei (che voleva mettere in difficoltà Reagan e preparare una piattaforma propagandistica sovietica in caso di fallimento), come per le risposte «dure» americane: il rifiuto della moratoria, l'annunciato test del missile antisatellite e il discorso del consigliere di Rcagan McFarlane che indicava l'Afghanistan, il terrorismo internazionale e i diritti umani tra i temi principali di Ginevra. Questi passi avvertivano Mosca che anche Reagan è pronto a giuocare alla propaganda e a coprirsi da un eventuale fallimento battendo sui temi più cari al suo elettorato. Tutta questa è ancora semplice ((pretattica» per un vertice carico di incognite. Ma perché e come è stato deciso questo vertice? L'iniziativa è stata americana, e Gorbaciov ha finito per doverlo accettare perché i suoi ripetuti no agli inviti di Reagan lo facevano passare per guastafeste di fronte a un'opinione mondiale tutta protesa verso il sogno di una nuova distensione. Ma perché Rcagan ha voluto il vertice? Soltanto per poter proseguire, sotto la copertura di una falsa distensione, i suoi sforzi per ridare all'America la superiorità strategica? Questo è il timore dei russi. Ma forse è il caso di prendere più sul serio le ragioni che Reagan stesso ha indicato pochi giorni fa per il suo incontro con Gorbaciov, in una dichiarazione molto importante, che modifi ca la sua tradizionale visione dell'Urss e del comunismo. Spiegando gli obiettivi del %'crtice, Reagan ha confermato la sua convinzione che l'Urss abbia un «programma espansionista» e che i capi comunisti «credano in uno Stato mondiale comunista, nel mondo della ri voìuzione» (questa è del resto la visione tradizionale che tutto l'Occidente ha dell'Urss, che non ha mai nascosto di voler fare scomparire il «capitalismo» dalla faccia della Terra). Ma, ha poi continuato Rcagan, ci si deve anche chic dere se l'espansionismo dei so¬ vietici sia stimolato «dai loro timori e sospetti che tutti noi altri al mondo gli vogliamo male». E ha concluso: «lo credo che noi possiamo portare a Ginevra delle prove per dimostrare che non abbiamo simili intenzioni», in modo da eliminare fra noi «le ostilità e i sospetti». Siamo ben lontani dalla sbrigativa definizione dell'Urss come «l'impero del male». Con un «impero del male» è immorale e sbagliato trattare (e cosi la pensano ancora i più radicali tra i «reaganauti»); con una potenza espansionistica, ma che forse è tale anche perché teme l'ostilità altrui, si può e si deve invece negoziare, per convincerla che non è circondata da nemici e addirittura per cercare di progettare insieme un'«agenda per il futuro», che è l'obiettivo massimo di Reagan per il vertice di novembre. Al quinto anno della sua presidenza Ronald Reagan è insomma arrivato a una visione molto più articolata e meno radicale del mondo sovietico. Ma di che cosa vuole discutere con l'Urss? Anche di collaborazione per lo sviluppo, come indica il viaggio di Block a Mosca: i piani di riforma economica di Gorbaciov potrebbero molto giovarsene. Ma l'America vuole soprattutto convincere l'Urss che non ha fini ostili nemmeno quando fa ricerche sullo «scudo spaziale» e contemporaneamente invita Mosca a negoziarlo: a discutere cioè insieme i tempi di una sua eventuale progettazione e adozione e a realizzare insieme (come ha detto Abrahamson a Luigi Caligaris) una «transizione più stabile» dall'attuale equilibrio strategico, fondato soltanto sulle armi offensive, ad un sistema prima «misto» e un giorno, si spera, puramente difensivo. E' questa utopia? Forse. Ma è chiaro che, sullo scudo spaziale, l'America andrà avanti comunque, e che potrà contare sulla collaborazione tecnica e anche politica degli europei: questo il senso della visita di Abrahamson a Roma. Se Gorbaciov vuole, a sua volta, «condizionare» i piani americani, potrà farlo solo trattando: non cercando di bloccare l'America con manovre tattiche fallite in partenza. Ma Gorbaciov non ha ancora deciso di fare il gran passo verso questo negoziato. Anche per questo non ha mandato i suoi scienziati nucleari ad Erice: preferisce inviare agli europei «messaggi di pace», abbastanza inutili, sulla moratoria. Così il vertice di novembre è ancora una grande incognita. Arrigo Levi