II futuro ungherese visto dagli Anni 30

II futuro ungherese visto dagli Anni 30 Bereményi alla Settimana della critica II futuro ungherese visto dagli Anni 30 VENEZIA — L'Ungheria può coltivare seriamente delle utopie o ha già provato tutto? Se da noi, per esempio, c'è ancora un buon deposito di utopia di sinistra non consumato, che sarà dell'Ungheria che ha sperimentato quasi tutto, fascismo, stalinismo, socialismo reale e realismo kadartano? Risposte e riflessioni, esplicite e indirette, sono nel film A Tanltvanyok, i discepoli, presentato dal regista ungherese Géza Bereményi in apertura della Settimana della critica. Il regista, 39 anni, un ottimo trascorso di scrittore e sceneggiatore, ha fatto una specie di pamphlet contro la futurologia tecnocratica e ogni programmazione troppo centralistica. C'era in Ungheria negli Anni Trenta un Centro di ricerche die supponeva di far la rivoluzione in Unglierta con la semplice e asettica applicazione di tecniche amministrative (per loro l'occupazione nazista fu una triste tentazione). Ma c'erano anche intellettuali di matrice contadina che postulavano prima del Piano l'esigenza di un Partito. Dice Bereményi: il futuro di cui signavano siamo noi. Com'è andata? Tra flou della memoria e acredini mitteleuropee non sempre bene governate, ma pieni di ammicchi stilistici e politici ad uso soprattutto interno, seguiamo il protagonista, contadino inurbato per studiare urbanistica e futurologia, dagli Anni Trenta ad oggi, dall'età della polemica alla maturità indecorosa e alla fine. Resta un figlio di lui, insofferente del passato e poco amante del presente. Mezzo secolo è trascorso dall'Ungheria quasi feudale dei nobili e del latifondo, con una- guerra in mezzo e tutto il resto. Siamo all'analisi delle ingenuità, nel post kadaijrismo di chi ha visto-tutto, troppo. * v £, r.

Luoghi citati: Tanltvanyok, Ungheria, Venezia