Filippine valzer di crisi di Aldo Rizzo

Filippine, valzer di crisi Povertà, corruzione, dispotismo: eppure Marcos, a due anni dal delitto Aquino, strappa ancora l'appoggio Usa Filippine, valzer di crisi Il presidente (a novembre, 20 anni di potere) è riuscito a evitare l'impeachment per i 766 milioni di dollari che il suo clan ha investito negli Stati Uniti - Ora contrattacca, sfruttando un'opposizione divisa e la paura americana di perdere le basi - L'incognita delle due guerriglie ed il rafforzamento sovietico nel Pacifico Mercoledì scorso, 40 mila persone sono scese In piazza a Manila, chiedendo le dimissioni del presidente delle Filippine, Ferdinand Marcos. Il 21 agosto si compivano due anni dall'assassinio di Benigno Aquino, il leader dell'opposizione democratica, che ■ rientrava in patria dall'esilio e fu fulminato da una raffica di mitra appena sceso dalla scaletta dell'aereo (un caso ancora Insoluto). La gente, per le strade di Manila, chiedeva giustizia e, invocando le dimissioni di Marcos, mostrava chiaramente di considerarlo 11 mandante del delitto. La manifestazione si è svolta senza incidenti, perché 11 regime aveva mobilitato un imponente servizio di polizia, mettendo in stato di allerta le stesse forze armate. Invece in altri luoghi, come a Naga, a 250 chilometri a Sud-Est di Manila, la furia della folla ha fatto una vittima fra i poliziotti, i quali hanno ferito, a loro volta, numerose persone. Approssimandosi l'anniversario della morte di Aquino, si erano rifatti vivi, o meglio avevano intensificato la loro azione, 1 guerriglieri del Nuovo esercito del popolo («New People's Army»), che operano nel Sud del paese. Tra domenica e lunedi, nei pressi della città di Oodod, sei soldati erano stati uccisi; nello scontro, erano morti anche quattro guerriglieri. Le Filippine sono un caso emergente, anzi sempre più grave, nella geografia delle crisi del Terzo Mondo. E sono anche un caso di coscienza, sempre più acuto, per gli Stati Uniti d'America, della cui protezione i governi filippini hanno goduto sin dalla fine della seconda guerra mon diale e della conseguente indipendenza del Paese. Un caso di coscienza, ma pure un dilemma politico. Sbarazzarsi di Marcos, aiutare i filippini a sbarazzarsene, per una ra glone di coerenza con gli ideali democratici? E se poi alla caduta di Marcos seguis se una fase d'ingovernabilità di un Paese che ha una posi zlone cruciale nel Pacifico? Magari con una presa finale del potere da parte del comunisti. Lo stesso dilemma che gli americani affrontano in altre situazioni drammatl che, come il Cile e il Sud Africa. A novembre, Ferdinand Marcos compie vent'anni come Presidente delle Filippine. Il suo è un regime difficile da definire. Non è una pura dittatura, perché l'opposizione è formalmente riconosciuta e le elezioni non sono del tutto fittizie (nelle ultime, svoltesi nel maggio 1984, l'opposizione ha ottenuto un terzo del voto complessivo). E' un regime autoritario, dispotico, nel senso che l'arbitrio, appunto, del despota, può in qualunque momento limitare o annullare le libertà istituzionali. Il tutto è aggravato da una corruzione senza limiti, che riguarda la stessa famiglia presidenziale come la burocrazia governativa e militare, a tutti i livelli. Negli ultimi tempi, anche a causa della crescente condanna internazionale del regime, l'opposizione ha preso un po' più di coraggio e, traendo spunto dalle rivelazioni di un quotidiano della California, è arrivata a proporre al Batasan (come si chiama l'Assemblea nazionale, cioè 11 Parlamento) l'.fmpeachment» del Presidente. E' andata cosi. Il giornale Mercury News è andato dietro ad alcune voci su investi-' menti fatti da Marcos e dal suo clan negli Stati Uniti e In Europa, ha svolto un'inchiesta e ha appurato che effettivamente il Presidente e i suol familiari ed amici avevano investito 766 milioni di dollari in beni immobili. La notizia è rimbalzata nelle Filippine (dove anche la stampa cerca spazi di autonomia, per altro pagandoli a caro prezzo: dall'inizio dell'anno 11 giornali sti sono stati uccisi In circostanze misteriose). Di qui la proposta di • impeachment» subito passata per competei! za alla commissione «per la Giustizia, i diritti umani e il buon governo». Ma, nella commissione come nell'insieme del Batasan, gli uomini di Marcos sono la netta maggioranza, e cosi la proposta è stata subito respinta. Homobono Adaza, il deputato dell'opposizione che più l'aveva perorata, ha concluso 11 suo Intervento (cito dal settimanale americano Time) dicendo: fin ultima analisi, non è il Batasan che deve rendere giustizia. E' al popolo che spetta il giudizio finale». La minaccia non è stata sottovalutata da Marcos, che però ha pensato, col suo in dubbio senso della tattica, se non della strategia, di volger' la a suo favore. Intanto ha subito Interpretato il voto forzoso della commissione parlamentare come un rinnovo di fiducia nei suoi confronti, poi ha detto che, se si tratta di interpellare 11 popolo, lui è d'accordo. In che senso? Nel senso che si potrebbero indire al più presto (magari a novembre, per 11 ventennale della sua presidenza) nuove elezioni generali, benché, come dicevo, siano passati solo diciassette mesi dalle ultime. Ma va da sé che Marcos non conta su un genuino consenso popolare al voto della commissione per V'impeachment». Fa invece affidamento sulle divisioni esistenti nelle file dell'opposizione. Infatti, come succede spesso o quasi sempre in questi casi, gli avversari di Marcos, se concordano sulla necessità di abbatterlo, sono in disaccordo fra loro su come sostituirlo. Gli stessi familiari ed eredi politici di Aquino, la vedova Corazon e il fratello Agapito, militano in due formazioni politiche diverse | (più a sinistra 11 secondo). L'oppositore più autorevole appare ora Salvador Laurei, capo della 'United National Democratic Organisation», che però tanto unita non è neanch'essa. E poi ci sono le formazioni di sinistra estrema, comuniste o guerrlgliere, e quelle della minoranza musulmana. L'altra e più importante carta che Marcos ritiene di avere in mano riguarda gli stessi Stati Uniti. Si tratta delle due grandi basi militari americane, quella aerea di Clark Field e quella navale di Subic Bay. Recentemente, nella scia delle notizie di brogli, affari illeciti e delitti che si consumano frequentemente nell'arcipelago, la Camera del Rappresentanti di Washington ha decurtato di due terzi la proposta della Casa Bianca di fornire a Marcos, contro la guerriglia comunista, 100 milioni di dollari In aluti militari. L'autocrate di Manila ha subito risposto minacciando di mettere in discussione gli accordi sulle due basi americane. E' finita che la cifra è stata portata a 75 milioni. Nel commentare tutto questo, il New York Times ha osservato che la strategia amiguerriglia, in un Paese come le Filippine, non può essere basata sugli aiuti militari, ma su una più complessa azione di risanamento politico e sociale. Le Filippine, che avevano conosciuto un boom economico negli Anni 70, sono ora, con 1 loro 52 milioni di abitanti, 11 quarantesimo Paese del mondo per 11 prodotto nazionale lordo e il settimo dell'Asia, dopo Giappone, Cina, India, Indonesia, Corea del Sud e Taiwan; ma sono il centotrentuneslmo del mondo per 11 reddito procapite, con un drammatico squilibrio tra un'esigua minoranza, inseritasi nei meccanismi di un capitalismo incontrollato e corrotto, e il resto della popolazione. Il New York Times osservava anche che, per non cedere al ricatto di Marcos sulle basi | militari, gli Stati Uniti dovrebbero cominciare a pensare a delle alternative, nella stessa area. Anzi questo sarebbe il modo principale di 'Sottrarsi al disperato abbraccio del dittatore». Ma, per dire quanto complesso sia il caso, YEconomist di Londra faceva notare una settimana fa, in un editoriale dedicato appunto alla montante questione filippina, che nessuna alternativa per le basi sarebbe altrettanto valida, dal punto di vista strategico, o anche solo logistico, tenendo conto che a Clark Field e a Sublc Bay c'è un'infrastruttura di 39 mila filippini, che parlano inglese, sono integrati con quel tipo di lavoro e ne hanno bisogno. Più generalmente, c'è una situazione asiatica dominata da una crescente presenza militare dell'Urss (2220 aerei, 825 navi, la più grande delle flotte sovietiche, con due portaerei e 65 sottomarini a propulsione nucleare, e le grandi basi di Danang e Cam Rahn Bay nel Vietnam sovietizzato, a parte gli oltre 100 SS-20 dislocati In Siberia e le 40 divisioni che fronteggiano la Cina). Anche se la Cina non è certo indifesa, e lo stesso Giappone accenna a «reinterpretare» le proprie limitazioni militari, nessuno può sottovalutare l'importanza dell'attuale presenza americana nelle Filippine. ■ Diceva ancora VEconomist: per gli americani, 11 sessantottenne Marcos è «un diavolo che conoscono». Possono ancora provare a esorcizzarlo, a influenzarlo, o a controllarne la successione. Ma più passa il tempo e più è difficile, come in Cile o in Sud Africa. Aldo Rizzo Manila. Gorazon Aquino davanti alla statua del marito durame la manifestazione di mercoledì scorso

Persone citate: Benigno Aquino, Clark Field, Ferdinand Marcos, Naga, Rahn