Casablanca, vertice-no (e parata di sconfitti) di Mimmo Candito

Casablanca, vertice-no (e parata di sconfitti) OSSERVATORIO Casablanca, vertice-no (e parata di sconfitti) Ogni vertice che la diplomazia riesce a metter su ha obblighi inderogabili, c primo tra tutti quello di mantenere uh livello di risultati politici adeguato alla «nobiltà» propria dei vertici. Non si mobilitano Capi di Stalo e leader di prestigio internazionale se poi non si riesce a fargli firmare un documento che la storia possa accogliere nei propri archivi. Noblesse oblìge sempre; o forse obbliga quasi sempre, perché stavolta a Casablanca l'eccezione c'é stata; e tanto grossa che molti ora si rifiutano persino di ammettere tra i vertici l'ultimo deludente incontro dei capi arabi. Quando re Hassan di Marocco riuscì a convocarlo, dopo lunghe incertezze e ripetuti tentennamenti, gli obicttivi fondamentali del viaggio a Casablanca parvero tre: I) statuire che le decisioni della Lega Araba non debbano più esser prese all'unanimità, ma sia sufficiente la maggioranza; 2j dare il viatico della Lega all'accordo giordano-palestinese dell'11 febbraio; 3) riportare l'Egitto nella Lega come membro a pieno diritto. Dei tre obicttivi non e stato raggiunto nemmeno uno. Non si è deciso che la maggioranza debba prevalere, Arafat e Hussein non hanno ricevuto alcun avallo ufficiale, c l'Egitto resta fuori dalla porla. Peggio di cosi era difficile che potesse andare. Data per scontata l'assenza in Marocco del fronte radicale, contro il quale in fondo il vertice era stato convocato, l'assenza che più ha pesato sui destini di quest'incontro é stata quella di re Faliad. Che aveva lasciato a lungo incerta la partecipazione dell'Arabia Saudita, e alla fine, pur accettando l'inizia| tiva del collega Hassan II, ha preferito^ farsi rappresentare — dal principe ereditario Abdallah: scelta che aveva un significato politico inequivocabile, appoggio ai moderati che volevano il vertice ma rifiuto della rottura verso la quale il vertice si stava caratterizzando. Quando in politica c'è un confronto, il confronto si chiude con una parte che vince e una che perde. Forse a Casablanca di vincitori non ce n'è, ma certo ci sono gli sconfitti: Hussein a Arafat anzitutto, e a loro si può aggiungere la lista di tutti i Paesi moderati, Egitto in testa. Lo scontro era di non poco rilievo: dietro l'obiettivo di autorizzare le decisioni a maggioranza c'era il disegno di uno sganciamento del mondo arabo dal lungo retaggio delle guerre israeliane. Non è detto che questo significasse la svolta finale della crisi in Medio Oriente, ma comportava comunque una riscrittura delle strategie regionali, con un'attenuazione del ruolo egemone dell'Arabia Saudita e la sua sostituzione con l'asse Cairo-Am- ■lUi-ì-' .' ■ -iV'n man-Baghdad. Dal. vertice il ruolo di Riad esce invece ribadito; non si può dire che esca rafforzato perché re Fahad ha dovuto tener conto del veto siriano, però alla fine ha mostrato che senza il suo assenso non è ancora possibile alcuna decisione di rilievo. Gran finanziere per tutti i guai arabi; l'Arabia Saudita ria'anche un ruolo politico che ripaga la sua cauta diplomazia, attenta a evitare ogni traccia di rottura nell'unità (sia pur di facciata) del mondo arabo. Questa volta poi, consapevole della posta in gioco sul tavolo di Casablanca, la sua cautela è stata ancor più accentuata, con una concessione di fatto ad Assad per la quale re Fahad pretenderà la contropartita. Ma in termini più generali il non-risultato del vertice cancella alcune prospettive politiche che parevano interessanti: la confederazione giordano-palestinese nei limiti accettati dall'accordo di Amman resta una scelta della quale Arafat (e Hussein) debbono continuare ad assumersi la responsabilità isolatamente, e la instabilità della regione resta dipendente dai vecchi fattori endogeni e esogeni. Chi ci guadagna maggior mente e forse la Siria di As sad, che mostra di poter sommare questo potere negativo, di veto, a tutti gli esercizi di potere in positivo del quale ha dato dimostrazione nell'ultimo anno. Le incertezze e i fallimenti americani in Medio Oriente vengono ora alla resa dei conti, mcn tre i segni contraddittori che arrivano da Mosca non aggiungono ancora clementi di chiarificazione all'incertezza della crisi. Da Casablanca, as lime goes fy, tutto è peggio di prima. Mimmo Candito Re Fahad d'Arabia

Persone citate: Abdallah, Arafat, Assad, Fahad D'arabia