Michnik: la mia Polonia ribelle

Michnik: in mia Polonia ribelle Solidarnosc, Jaruzelski, Chiesa e società nel memoriale dal carcere di un dissidente che non ammaina la speranza Michnik: in mia Polonia ribelle La lunga marcia verso Solidarietà: l'appello dei 59, poi, nel giugno '76, gli scioperi a Ursus e Radom da cui nacque il Kor -11 Paese non sembra credere d'essere stato sconfitto - Un dilemma: compromesso col regime o indipendenza integrale? - La normalizzazione di Kadar e Husak fece tèrra bruciata, ma Varsavia ha mostrato di saper resistere Adam Mlchnik, uno dei più noti leader dell'opposizione in Polonia, è stato condannato dal tribunale di Danzica, il 14 giugno scorso, a due anni e mezzo .di prigione. Con lui sono stati condannati altri due capi di Solidarnosc, Bogdan Lis e Wladyslaw Frasyniuk. I tre erano in carcere dal febbraio scorso, quando furono arrestati (insieme con Lech Walesa, poi liberato) durante una riunione clandestina del sindacato libero che doveva decidere uno sciopero generale contro l'aumento del pressi. Quelle che pubblichiamo, oggi e domani, sono due tra le parti piti significative di un lungo memoriale che Michnik ha scritto nelle prigioni di Danzi- '' ca In attesa del processo. Il «miracolo dclln Vistola» è un evento di 65 anni fa: il giovane esercito polacco, organizzato nei primi giorni della riconquistata indipendenza, difese con successo il territorio nazionale, e con esso la democrazia in Europa, contro l'offensiva della rivoluzione bolscevica. L'immagine della battaglia, come è presentata oggi dalla propaganda sovietica, descrive una Polonia feudal borghese che tentò di strangolare il primo Stato degli operai c dei contadini. Non ci vuole una immaginazione eccezionale per capire quali sarebbero state le conseguenze di una disfatta polacca. Se l'Armata Rossa di Budiennij fosse riuscita ad abbeverare i suoi cavalli nella Senna, non sarebbe rimasto merito della democrazia europea... La Polonia era guidata in quei giorni da Józef Pilsudskj, uno dei più grandi e complessi personaggi della storia moderna, lo stesso che ha lasciato una memorabile sentenza: «In Polonia la prigione è un compagno costante del pensiero umano. Fa parte della coscienza, della calittra politica, della vita d'ogni giorno». Si devono ricordare queste parole del costruttore dell'indipendenza polacca per capire la Polonia contemporanea, con tutte le sue speranze,.Js.£pjo- spettive e i rischi. Gli osservatori stranieri, anche quando sono amici, spesso non conoscono il contesto concettuale per capire l'inconsueto destino dalla Polonia. Salvo rare eccezioni, la Polonia appare loro come un Paese dalle reazioni incomprensibili e dai conflitti inestricabili. Non sorprende: dopo tutto gli osservatori polacchi capiscono poco . delle questioni irlandesi o cilene. Eppure io penso che questa mancata comprensione possa avere pesanti conseguenze, e non soltanto per i polacchi. Secondo gli osservatori occidentali il «miracolo polacco» cominciò nell'agosto dell'80 e fini, con l'imposizione della legge marziale, il 13 dicembre 1981. Non sono d'accordo: l'inizio secondo me è anteriore, e ritengo che l'esperienza polacca abbia acquisito una vera dimensione universale soltanto ■ dopo il 13 dicembre. Tra poco saranno dieci anni da quando 59 intellettuali firmarono una petizione che chiedeva la libertà in Polonia. La petizione parlava anche del diritto dei lavoratori a sindacati liberi. La lettera dei 59 diventò una messa in guardia. «Non potete governare in questo modo per molto tempo ancora», era il messàggio, all'allora leader del Paese Gierek. La sola risposta delle autorità furono misure di rappresaglia nei confronti dei firmatari della lettefa. ' - ■ v; Qualche mese dopo la Polonia fu- scossa da un altro segnale di crisi, incomparabilmente più ' drammatico. Nel giugno del '76 gli operai di Radom e di Ursus si misero in sciopero, manifestando nelle strade contro l'enorme aumento dei prezzi. La reazione del governo fu tipica: l'aumento dei prezzi fu revocato e coloro che avevano partecipato alla protesta furono costretti a marciare tra due ali di poliziotti che roteavano i manganelli. Furono picchiati, calunniati, fatti oggetto di una propaganda odiosa. Tra gli intellettuali enjerse un movimento spontaneo per aiutare questi operai: nacquero cosi il «Comitato per la difesa dei lavoratori» (Kor) e il movimento ' d'opposizione democratica, i primi anelli nella lunga catena di un nuovo «miracolo della Vistola». Gli eventi che seguirono possono essere descritti come .un incontro di pugilato tra il potere totalitario e la società alla ricerca d'una strada per raggiungere l'autonomia. Il periodo tra agosto 1980 e. dicembre 1981 fu soltanto una fase di. questa lotta. Essa fini con un arretramento per la società indipendente e con un disastro per lo Stato totalitario. Disastro è la definizione appropriata per una situazione in cui i lavoratori sono affrontati con i carri armati invece che con un dibattito. Quali erano le fonti della forza, gli obiettivi, là consistenza numerica, la pazienza, e la perseveranza di questo movimento? Alcuni spiegano tutto riferendosi alla tradizione di lotta per l'indipendenza nazionale, altri citano l'influenza della Chiesa cattolica, altri ancora premiano la maturità della strategia polacca per la libertà, concepita dai leaders della clandestinità. Hanno ra gione tutti. Ma la ragione principale può essere trovata nella reale essenza del sistema totalitario che da molto tempo è diventato un fattore bloccante nello sviluppo di forze creative, provocando sterilità, di» struggendo la creatività e lo spirito della società. Il sistema esiste soltanto per proteggere gli interessi e il potere della nomenklatttra che governa (alti funzionari del partito e dello Stato nominati dalla dirigenza suprema, o comunque col suo assenso). Poiché l'Unione Sovietica guarda al ruolo della nomenklatitra come a una garanzia della sua presenza ideologica e politica in Polonia, la lotta de: polacchi per l'autonomia mi naccia non soltanto il poteje dei generali, ma anche gli interessi sovietici. E' possibile cambiare questa particolare definizione degli interessi sovietici in Polonia? Il futuro dell'indipendenza polacca di pende dalla risposta a questa domanda. La realtà politica polacca è tale- che quaranta mesi dopo l'imposizione della legge marziale esiste un ampio movi mento di opposizione e un fronte sempre più ampio di ri fiuto alla collaborazione con i generali. Nello slesso tempo Solidarnosc non è ricorsa al terróre, all'assassinio, o ai sequestri di persona. Questi me lodi appartengono esclusivamente al repertorio delle autorità. Come possiamo spiegare questa peculiare contraddizione, che i propagandisti ufficiali chiamano «normalizzazione»''. Come possiamo definire questa situazione inconsueta in cui la repressione, le provocazioni, il semplice esaurimento delle forze (il miglior alleato di ogni dittatura) non sono riu- sciti ad annichilire Solidarnosc, la principale organizzazione del movimento di disobbedienza civile, o a spingerla nella cieca logica del terrorismo? Come ha potuto la nostra nazione trascendere il dilemma cosi tipico delle società sconfitte, la scelta senza speranza tra servilismo e disperazione? Sembra che la nazione polacca non creda di essere stata sconfitta. La risposta alla domanda che ci siamo posti può essere trovata in un vecchio adagio di Lenin, ben noto ai comunisti: il regime non può più governare secondo la vecchia linea, ma non sa come cambiarla; il popolo non vuole vivere secondo la vecchia linea e non ha più paura di tentarne una nuova. Che cosa significa che la gente «non vuole più vivere secondo la vecchia linea»'! Significa che il popolo non vuole essere trattato come un ogget to, non accetta silenziosamente la schiavitù: rifiuta la condizione di sudditi, vuole essere padrone del proprio destino. E non ha paura di esserlo. Ma che cosa significa «go vernare secondo la vecchia linea»! Significa sperare che la società sia, o diventi a breve scadenza, completamente assoggettata col terrore allo Sta to. Cambiare questo modo di governare vuol dire accetta/* l'autonomia della società non come un incidente passeggero ma come parte integrale della realtà sociale. Questa è la strada per il dialogo e il compromesso. E' un'ipotesi realistica? E' possibile un compromesso tra il persecutore e la sua vittima? Hanno ragione i nostri elementi radicali nel sostenere che l'evoluzione democratica è impossibile senza la preventiva, totale distruzione del sistema comunista e che pertanto l'unico sensato programma d'azione dev'essere quello che respinge le speranze di un futuro compromesso con il regime al potere e sceglie invece l'idea integrale dell'indipendenza, della totale indipendenza dall'Unione Sovietica e la cacciata dei comunisti dal potere? Questo è il dilemma centrale del movimento d'opposizione polacco. Accantoniamo per il momento questo argomento, notando soltanto che l'idea di normalizzazione del nostro generale differisce sostanzialmente dalle «normalizzazioni» di Kadar o di Husak, che essenzialmente significano la totale distruzione di tutte le istituzioni indipendenti. Quaranta mesi dopo l'invasione sovietica l'Ungheria sembrava un cimi tero politico; quaranta mesi di normalizzazione trasformarono la Cecoslovacchia, secondo l'appropriata definizione di Aragon, «nel Biafra culturale d'Europa». Ma in Polonia, anche dopo la liquidazione ufficiale delle pubbliche istituzioni indipen denti (sindacati, associazioni di artisti, organizzazioni giova nili, direzioni di vari giornali ecc.), dopo quaranta mesi di repressione e di provocazioni la società civile indipendente benché spinta fuori della sfera ufficiale, non è annichilita. Per un sistema totalitario è un fenomeno senza precedenti. Più che a un sistema comunista dopo una pacificazione vittoriosa, la situazione assomiglia a quella di una democrazia dopo un colpo di Stato milita re. I polacchi hanno compiuto un lungo cammino nel loro viaggio dal totalitarismo alla democrazia. Adam Michnik Copyright «Tlie New York Review ot 3ooks», c per l'Italia ci -a Stampa» ■ Cracovia, giugno '83. Una manifestazione di Solidarnosc durante la visita di Giovanni Paolo II