Shevardnadze atteso sulla scena di Frane Barbieri

Shevardnaclxe atteso sulla scena Il successore di Gromyko è in carica da venti giorni, ma finora non pronuncia discorsi, non traccia disegni strategici Shevardnaclxe atteso sulla scena Da quello che si sa del suo passato non traspare il diplomatico a respiro mondiale, ma si delineano i tratti dell'uomo politico a dimensioni sovietiche - In Georgia, come segretario del partito, si è distinto per consolidare i legami di fedeltà, per non dire di sudditanza, della regione al potere centrale moscovita - Ha persino riconosciuto una funzione positiva dello zarismo nell'unione della sua patria, con la sua cultura, alla Madre Russia - Poi è stato il grande epuratore della «mafia georgiana» Scopriamo in Gorbaciov anche un abile regista: ci ha messi tulli, gli osservatori del mondo intero, in platea ad aspettare il suo Godot. Eduard Shcvardnadze è stato nominato ministro degli Esteri della potenza Urss da venti giorni ormai, però tuttora non si presenta sulla scena, non pronuncia discorsi, non fa dichiarazioni, non comunica le sue intenzioni né traccia i suoi disegni strategici. Aspettando il nuovo Godot del Cremlino non si poteva fare di meglio che provare ad intuire il personaggio in base a quanto finora aveva detto e fatto. Non traspare da queste tracce il diplomatico a respiro mondiale, ma si delincano i tratti dell'uomo politico a dimensioni sovietiche. Già quattro anni fa rimanemmo colpiti da quanto, e anzitutto dal come, Shevardnadze aveva parlato di Breznev al congresso del pcus: «Il rapporto del compagno Leonia 1 Iteli Breznev è un avvenimento cruciale del mondo contemporaneo, un documento dell'epoca, un organismo vivo che raccoglie tutte le qualità dell'autore: la profondità scientifica, l'irresistibile determinazione, la perspicacia, la filantropia. La luce è simbolo del futuro e con questa luce Breznev ci sta inondando}). Il suo non sembrava essere solo un omaggio formale al capo del Cremlino, rituale nei congressi del partito sovietico. Anche a Tbilisi il segretario, futuro capo della diplomazia, si era impegnato a fondo nel consolidare i legami di lealtà, per non dire di sudditanza, tra la Georgia e la Russia. Lo faceva in modo personale, molto georgiano, usando argomenti culturali, linguaggio epico e ornamentale, più che polizieschi, propri dei predecessori. Sconfitto Lenin sulla que- stionc georgiana (curiosamente il capo della rivoluzione russa appoggiava nei primi Anni Venti gli autonomisti mentre i georgiani Stalin e Orgionikidze peroravano il centralismo panrusso) dell'espressione autonoma delle particolarità della Georgia non si parlava più in termini teorici e tanto meno in termini di prassi politica. Soltanto con Kruscev la segreteria del partito nella repubblica caucasica veniva assegnata ad un georgiano. E' stato proprio Shevardnadze a risollevare per primo, dopo lunghi anni, la questione nazionale, organizzando a Tbilisi un simposio scientifico politico sui rapporti delle repubbliche e delle nazioni non slave con la Russia. Si era incaricato anche della relazione principale svolgendola su due binari: non cercava più di cancellare o reprimere il senso o l'identità della nazione, sommergendoli nel nuovo patriottismo transnazionale sovietico, ma esaltava l'individualità nazionale dei georgiani come espressione e conseguenza del ruolo liberatorio svolto nella storia non dall'Urss ma addirittura dalla Russia. «L'aquila nera», emblema degli zar russi, aveva «protetto e garantito» l'espressione e lo sviluppo della cultura e dell'identità storica della Georgia. «La Russia — diceva inoltre la relazione di Shevardnadze — ha dissipato le nebbie storiche diventando un inestinguibile faro per il popolo georgiano». Erano i tempi di un rigurgito nazionalistico nelle repubbliche del Caucaso. Nella Georgia l'impulso era dato dal decentramento intrapreso da. Kruscev e, paradossalmente! nella stessa misura, dal rancore sorto nei georgiani in conseguenza della dissacrazione del loro più grande connazionale, Stalin appunto, diventato lo zar delle Russie. Tra autonomia locale e residui dello stali- . nismo (conservando i monumenti a Stalin si sfidava Mosca), era nato sotto l'appena nominato segretario del partito nazionale Mzhavanadze una specie di connubio tra la burocrazia di partito «georgizzata» e l'antica struttura patriarcale del Paese agricolo. Ne scaturì un intreccio di tolleranza e di corruzione che alle soglie del comunismo aveva fatto parlare di «mafia georgiana». Nella repubblica si viveva meglio che altrove nell'Urss, gli stipendi erano più alti da quanto il piano quinquennale avrebbe concesso, ma i proventi superiori venivano anzitutto dal controllo dei mercati kolkhoziani, da Mosca e Leningrado, dalle città della Russia fredda, fino a quelli locali. Il colpo alla «mafia» è stato deciso quando lo stesso segretario generale Mzhavanadze, diventato addirittura membro del Politbjuro sovietico, e molti altri dirigenti della Repubblica si erano scoperti implica- ti nei traffici mafiosi. A fare il Dalla Chiesa della situazione fu designato, appunto, Shevardnadze. Prima, da ministro degli Interni, aveva dovuto scoprire la trama, poi, una volta arrestati o radiati i capi, si era incaricato della gestione del risanamento nazionale nelle vesti del nuovo Segretario generale del partito. La sua nomina fu segnata da attentati di¬ z namitardi ai mercati kolkhoziani di Tbilisi. Erano le ultime vampate della mafia. Ben presto Shevardnadze portò l'ordine. Senza usare tuttavia i metodi di un nuovo go¬ vernatore insediato da Mosca. Anzi, probabilmente con il consenso del Cremlino, ha mantenuto e sviluppato i privilegi georgiani, non più in chiave mafiosa, ma in chiave riformistica: i kolkhoz hanno avuto più larghe facoltà di vendere i residui liberi sul mercato libero, gli appezzamenti di terra lasciati al contadino per la coltivazione in privato hanno raggiunto nella Georgia il triplo del limite vigente nel resto dcll'Urss, che è di mezzo ettaro. Lo Stato cerca di contrattare, a prezzi liberi, la carne, il latte e gli ortaggi prodotti in privato dal contadino (sembra incredibile: da qui arriva il 28 per cento dell'intera produzione agricola). Le imprese poi sono state messe in prevalenza a regime sperimentale, il che significa che la gestione delle fabbriche è più autonoma, la contrattazione orientata verso il mercato, gli impegni dettati dal piano limitati e i salari legati all'effetto complessivo dell'azienda. Nella Georgia è concesso buona parte di quanto risulta vietato nel resto dell'Urss. Un doppione di Kadar nel contesto sovietico. L'arte georgiana si concedeva da sempre, anche sotto Zhdanov, licenze non tollerate altrove. Anzitutto nella pittura, nel cinema e nella carica fortemente patriotica o meglio nazional-folcloristica della letteratura. Shevardnadze non ha introdotto la censura dell'agii prop, anzi, sotto il suo gover¬ no registi cinematografici e pittori sono scesi dal rigido Nord, dove le loro opere erano vietate e perseguitate, nella tollerante Georgia. Ci si chiede come il Segretario generale potesse concedersi tanto. La spiegazione forse la troviamo in un recente episodio tra cultura e partito. Il presidente della Federazione degli scrittori della Georgia, Niscianiadze ha partecipato, su invito di Shevardnadze, alla riunione del Politbjuro della Repubblica. Ai dignitari del partito ha sottoposto una sua «relazione creativa» in cui spiegava la svolta concettuale avvenuta nella sua opera poetica: «Quando il partito era retto da gente che faceva quello che voleva io mi appassionavo per i temi legati al passato della Georgia, per i paesaggi idilliaci, per le atmosfere pastorali, per le nostalgie nazionalistiche». La svolta è venuta con la nomina di Shevardnadze: «Con l'arrivo del nuovo segretario io ed altri artisti ci siamo sentiti mobilitati dal partito. Ho incominciato a scrivere poesie ispirate all'azione delle nostra gloriosa avanguardia'). Il curioso rapporto del poeta al partito, molto pubblicizzato, aveva certamente lo scopo di mostrare come la linea tollerante e flessibile di Shevardnadze negli effetti finali emargina il nazionalismo e porta, per convinzione e non per costrizione, gli artisti e la nazione a servire il partito e la grande patria sovietica. Gorbaciov, portando Shevardnadze al grattacielo della piazza Smolensk, nell'ufficio che fu di Gromyko, non corre rischi, né si piega alle pressioni della periferia inquieta dell'impero, premia soltanto un metodo, credendolo più efficace e promettente per la causa stessa dell'impero. Cosa potrà portare di nuovo il ministro eletto a generale sorpresa capo della diplomazia della superpotenza orientale? Finché il Godot non si presenterà sulla scena, e sarà a Helsinki per festeggiai»; la Conferenza europea, la linea Shevardnadze può essere intravista solo dalle mosse di Gorbaciov. La visione bipolare di Gromyko (si diceva di lui: «Pensa a Mosca, sogna Washington e cerca di costruire un ponte oltre oceano sulle colonne dell'Europa») non sembra cambiata, ma integrata con operazioni differenziate in Europa e in Asia. Una svolta tuttavia è prevedibile con l'arrivo di Shevardnadze sulla scena diplomatica. Reagan aveva inseguito c realizzato un capovolgimento di iniziative. Prima di lui Washington rispondeva appena alle assillanti mosse del Cremlino. Negli ultimi anni il Politbjuro non sapeva invece come rispondere alle esercitazioni strategiche di Reagan. Ora la Casa Bianca di colpo invecchia e perde in dinamismo, mentre il Cremlino si svecchia, per non dire che ringiovanisce, e aumenta in mobilità e in ambizioni. Il misterioso Godot, quando finalmente si presenterà in scena, si farà sentire e darà da pensare. Anche perché le batture di Shevardnadze non saranno scontate e prevedibili come erano diventate ormai quelle di Gromyko. Frane Barbieri . Mosca, 2 luglio. Gorbaciov stringe la mano a Shevardnadze appena nominato ministro degli Esteri