Sequi: Molto rumore nella Sicilia borbonica

Sequi: Molto rumore nella Sicilia borbonica Monconi e Micol in Shakespeare a Verona Sequi: Molto rumore nella Sicilia borbonica DAL NOSTRO INVIATO VERONA — Vi sono, quasi incastonate nell'aspro diamante del gran corpus shakespeariano, gemme di più fragile, oppur incantevole trasparenza. Sono le commedie che potremmo chiamare d'atmosfera e di parola, come Pene d'amor perdute, fa poco allestita Come vi pare. Tutto è bene quel che finisce bene, e Molto rumore per nulla, che abbiamo visto l'altra sera al Teatro Romano di Verona, regia di Sandro Sequi protagonisti Valeria Moriconi e Pino Micol. Nell'allestimento di Sequi, voglio dirlo subito, v'era, netta e percepibile, spesso, la parola di Shakespeare, grazie ad un'eccellente traduzione di Masolino d'Amico, che dell'originale ci restituiva la prodigiosa ricchezza di «arguzie e acrobazie verbali»; non v'era affatto l'atmosfera di questa fragrante e improbabile fiaba d'amore e dispetto, onore e tradimento. Shakespeare colloca a Messina la doppia storia d'amore di Claudio ed Ero, gentiluomo fiorentino lui al seguito di un don Pedro principe d'Aragona, messinese lei, figlia del governatore locale; e di Benedetto e Beatrice, padovano lui, sempre di quel seguito, matura orfana lei, nipote del succitato governatore. Il pri mo amore sboccia improvviso, rapido s'estingue per una de lozione fraudolenta per poi divampare definitivo; a fatica s'accende il secondo tra due loquacissimi e assai pungenti odiatori dell'altro sesso: ma, una volta innescato, non s'attenua più, è tutto un barbaglio di ardenti lingue di fuoco. Questa struttura (scusate la parolaccia) a chiasmo è già metà del fascino della com media: che tuttavia seduce quanto più viene proposta nella sua inverosimile cornice tardocinquecentesca di un'altrettanto inverosimile Italia insulare, che agli spettatori coevi (e perché non più a noi?) doveva riuscire del tutto immaginaria, e proprio per questo reimmaginabile. Cosa vuol dire ambientare invece la doppia vicenda in una Sicilia quasi borbonica, con ufficiali in alamari e tricorni sulle nere livree e borghesi in lino e panama? Vuol dire offrire un'inutile patina di parodica storicizzazione ad un intreccio che dovrebbe restare ostinatamente metastorico; vuol dire scivolare pericolosamente lungo la china della commedia di costume, con ammicchi alle usanze locali (un paio di proverbi in siciliano in bocca a Beatrice): e vietarsi, tra l'al- tro, di lasciare percepire al pubblico quel che di amaro v'è nella fiaba, soprattutto nella seconda parte, il ripudio di Ero ingiustamente sospettata, la sua finta morte, la sua dolorosa rigenerazione. Tra valzer e galop, con gran profusione di maschere, in una Messina di maiolica blu d'uccelli e palmizi, e quattro semoventi nicchie a cuspide che fan da interno e da esterno, da giardino delle delizie e da salone dei ricevimenti rossodamascato (scene e costumi di Giuseppe Crisolini Malatesta). Sandro Sequi ha soprattutto badato al ritmo della vicenda, a quel parapiglia di seduzioni ed equivoci, di malridotti ardori e ben azzeccati malintesi. Non è poco, ma non è tutto: ' e la prova sta nell'esatto rowscio di codesta Impostazio'te, nei soliloqui di Beatrice e Benedetto, nella doppia, stupenda scena in cui vien fatto credere loro che l'uno è innamorato dell'altra e viceversa: qui s'intuisce che una commedia del genere ha bisogno del silenzio attonito e leggero della pura comunicazione lirica. , La fervono magnificamente, in quegli istanti, una Valeria Moriconi (Beatrice), di lussuosa vitalità e frizzante ironia, un Pino Micol (Benedetto) che inanella, tra stizza e tenerezza, un altro «antipatico» alla sua ormai celebre galleria. Ottimi, nei ruoli di carattere, Ezio Marano (il governatore Leonato) e Donatello Falchi (lo strafaldonatissimo commissario Carruba, servito in punta di fioretto dal traduttore). Gianfranco Varetto è un principe d'Aragona d'assorta eleganza: ma t giovani Stefano Madia e Augusta Gori non hanno l'ardente espressività di Claudio ed Ero: e tutti gli altri scoloriscono in una corretta diligenza. Pubblico folto, vari applausi a scena aperta, molto caldi alla fine. Guido Davlco Bonino masi masi La Moriconi in un momento dello spettacolo: frizzante e ironica

Luoghi citati: Aragona, Italia, Messina, Sicilia, Verona