Scandalo per una dea

Scandalo per una dea BUTRINTO: ASPETTANDO L'INCHIESTA Scandalo per una dea Durante la recente visita- in Sicilia, i principi d'Inghilterra Carlo e Diana hanno ricevuto in dono, dal presidente della Regione Sicilia Rino Nicolosi, un vaso greco del V secolo avanti Cristo, già in una collezione privata e trovato nella zona archeologica non lontana da Gela. Pochi giorni dopo, l'on. Nicolosi ha ricevuto una lettera di protesta dal direttore del Bollettino salesiano, dando cosi il via a una polemica che è culminata con un'interrogazione parlamentare. A presentarla al ministro per i Beni Culturali sono stati tre senatori del pei, Crocetta, Valenza e Vitale, i quali si chiedono se il dono «possa mere considerato in sintonia con gli obicttivi di una politica 'azionale volta alla tutela e al recupero del patrimonio culturale italiano». Si è venuti così a sapere che il vaso, già nella raccolta privata dell'on. Zappala, era stato sottoposto all'esame della locale Soprintendenza, e che non era oggetto sottoposto a una speciale tutela. Tutto dunque è 'avvenuto regolarmente. Ma la polemica offre uno speciale interesse, ove la si ponga in rapporto con un altro caso di esportazione di un reperto archeologico, questa volta di ben diversa importanza, e che apparteneva non già a un privato, ma al Demanio della Nazione, sul quale da tempo si cerca di conoscere (tra l'indifferenza dei parlamentari di sinistra) le modalità dell'accaduto. Alludo alla Dea di Butrinto, intorno alla quale già ho scritto per tre volte su La Stampa (1° maggio, 1* giugno, 9 agosto 1984). Il 5 giugno 1984, l'on. Gian Paolo Battistuzzi, del pli, presentava al ministro per i Beni Culturali un'interrogazione a risposta scritta "per sapere... quali siano state le motivazioni che hanno indotto l'amministrazione ad alienare tale importante opera facente parte a tutti g(i effetti del patrimonio artistico nazionale per donazione di un Capo di Stato straniero». L'on. Battistuzzi chiedeva inoltre "di conoscere come si concila l'alienazione all'Albania della Dea di Butrinto con la normativa interna e con gli accordi internazionale in tema di tutela dei beni artistici ed archeologici». La risposta all'interrogazione è pervenuta, da parte del ministro interessato, più di sei mesi dopo, il 17 dicembre 19&.: le argomentazioni addotte per giustificare la restituzione sono di natura tale da lasciar stupefatti. Nel primo paragrafo si afferma che la scultura era depositata presso il Museo delle Terme in Roma; ma in realtà non si trattava affatto di un deposito, al punto che l'oggetto era regolarmente provvisto di un numero d'inventario, riportato da testi scientifici di indubbia autorità, e cioè il 124.679. La Dea di Butrinto era quindi, a tutti gli effetti legali, di proprietà dello Stato; il modo con cui la risposta all'interrogazione presenta la vicenda costituisce un infelice tentativo di annebbiare la realtà. Incredibile è poi l'affermazione che «-l'oggetto da più parli è stato dichiarato dono di Re Zog di Albania a Mussolini ed è per veti uto in Italia tra il 1928 e il 1931... tuttavia nessuna notizia sulla donazione è risultata da ricerche condotte presso l'Archivio Centrale dello Stato e presso l'Archivio del Ministero degli Esteri». Ciò che interessa, sotto l'aspetto giuridico, è che il marmo apparteneva allo Stato italiano, quanto meno sotto il profilo della demanialità di fatto: per essere sdemanìato, era indispensabile un decreto del ministero delle Finanze, debitamente registrato dalla Corte dei Conti. E' sospetto, a dir poco, che nella risposta all'interrogazione non si faccia neppure cenno a tale deaero, non se ne citi né la data né il numero di protocollo. Nasce quindi il dubbio che la restituzione siastata condotta in modo del tutto illegale, alla spicciolata, che cioè la preziosa testa sia stata imballata e portata fuori del territorio nazionale senza nessun crisma; e, accanto a tale procedimento, sorge un altro dubbio, che cioè per nascondere quanto è accaduto si sia voluto travisare la reale appartenenza del marmo, che, nella risposta scritta, viene detto depositato. In realtà, già nel Catalogo della Mostra d'Arte Antica, allestita a Roma nella Galleria Nazionale a Valle Giulia tra l'aprile e il giugno del 1932, alla pagina 60 la testa è detta come appartenente al Museo Nazionale delle Tetme, quale dono del Capo del Governo Mussolini; e tale indiscutibile appartenenza è ripetuta da testi tra i più autorevoli, dal 1932 sino a pochi anni fa. Se i sospetti provocati dalla risposta all'interrogazione sono fondati, avremmo a che fare con una strie di falsità, tra le quali una presa in giro del Parlamento: e la vicenda viene cosi ad assumere colori di tale enormità da rendere indispensabile un'inchiesta. Ma c'è dell'altro. In un articolo apparso sul quotidiano // Tempo di Roma 1*11 ottobre 1984, Cesare D'Onofrio ha riferito che, prima di essere imbarcata sull'aereo per Tirana, la testa della Dea di Butrinto venne presentata (come è d'obbligo per ogni oggetto artistico che lascia il territorio nazionale) all'Ufficio Esportazione Oggetti d'Arte di Roma, dove il suo valore venne dichiarato in lire 250 mila. ■' Se vera, tale scandalosa dichiarazione (relativa a un pezzo il cui valore non è certo in¬ feriore ai 250 milioni di lire) verrebbe a completare, con un ultimo tocco, la pesantissima, inquietante atmosfera che circonda questa anomala vicenda della restituzione. Ho sollevato la polemica non per motivi ostili all'Albania, di cui ammiro la tenace lotta per l'indipendenza (anche se non condivido affatto i principi che ispirano il governo che regge il Paese dalla fine della Seconda Guerra in poi). Credo invece che sia preciso dovere intervenire per far luce sull'episodio, che (ove condotto come tutto fa sospettare) verrebbe a costituire un inammissibile precedente pet altre, illegali operazioni. Ma oltre che per ragioni di principio, è indispensabile far luce piena' sulla vicenda proprio per quegli stessi motivi di «una politica nazionale volta alla tutela e al recupero del patrimonio culturale italiano* di cui parlano, nella loro interrogazione al ministro dei Beni Culturali, i senatori Crocetta, Valenza c Vitale. E lo esige anche il rispetto vetso il Parlamento, al quale (a quanto si legge) è stato fatto credere che- il marmo era «depositato» nel Museo Nazionale di Roma, mentre è notissimo che si tratta di oggetto regolarmente inventariato e catalogato. Qualora il tutto finisse (come al solito) in una bolla di sapone, bisognerebbe dedurrc che da un lato l'Italia esalta l'opera di Rodolfo Siviere e le restituzioni delle opete d'arte acquistate dai nazisti ed esportate dietro pressioni politiche, mentre dall'altra chiude gli occhi sulla indebita alienazione di un oggetto appartenente al Demanio nazionale, cosa che non era avvenuta né per il Discobolo Lance/lotti, né per le altre sculture e dipinti recuperati dopo il 1945, e che erano stati tutti acquistati sul commercio o presso privati. Mi auguro che, una volta tanto, prevalga il rispetto della Legge, del Parlamento e della chiarezza, senza il quale non esiste una società veramente democratica. Federico Zeri Ln testa della «Dea di Butrinto» restituita all'Albania