Addio vecchia Centrale

Addio vecchia Centrale Addio vecchia Centrale MILANO — Con la prossima scomparsa dal listino della Centrale, sostituita dal Nuovo Banco, se ne va un pezzo della storia finanziarla d'Italia degli ultimi sessantanni; non saranno comunque in molti a versare lacrime per questa società che soddisfazioni agli azionisti ne ha date ben poche nella sua lunga carriera. I I cronisti di Borsa sono soliti dividere in tre periodi la storia di questa finanziaria, nata nel 1925 con il compito di gestire partecipazioni nel settore elettrico e telefonico in Toscana e nel Lazio. Per quasi quarantanni, cioè nel primo periodo, ìa Centrale si limitò a gestire con tranquillità i pacchetti delle società controllate senza infamia e senza lode sotto la guida della famiglia Bruno, principale azionista di maggioranza relativa. In soli cinque anni, dal 1957 al 1962, questo idilliaco panorama di certezze cambiò bruscamente: la decisione da parte del Governo di nazionalizzare prima le attività telefoniche e poi quelle elettriche privò la Centrale dei propri cespiti in cambio di 140 miliardi, una cifra enorme che se investita con oculatezza avrebbe potuto lanciare la finanziària verso nuovi settori dinamici Ma In questo secondo periodo della storia della Centrale vennero a mancare le intuizioni di fondo da parte dì chi reggeva le fila: accanto a solide partecipazioni come quelle in Pirelli e in altre società del gruppo Orlando la finanziarla acquistò anche aziende industriali che alla lunga si rivelarono un pozzo senza fondo, come l'Arrlgoni, le Autostrade Meridionali, l'Autovox, la Rexim. Il presidente della società. Luigi Bruno, aveva fatto entrare nel consiglio di amministrazione solidi nomi come Pirelli, Pesentl, Orlando e Anna Bonomi Bolchini (di cui era consuocero) per recuperare idee e forze, ma quando nel 1971 Michele Sindona e i banchieri inglesi Hambro si offrirono di rilevare il pacco di controllo della fi¬ nanziaria, nessuno si oppose. Inizia qui il terzo periodo, quello più turbolento. Dopo poco tempo Sindona, cui non era riuscito di scalare la Bastogi (voleva fonderla con la Centrale per dare vita ad una megafinanziaria) la cedette alla Compendium. holding lussemburghese del Banco Ambrosiano. Nei piani di Roberto Calvi, che allora era direttore generale del Banco, la Centrale doveva fungere da escamotage per aggirare le disposizioni della legge bancaria, che impediscono alle banche di gestire partecipazioni industriali. In breve tempo Calvi si sbarazzò dei catorci trovati nella Centrale e vi immise Banca Cattolica del Veneto, Credito Varesino, Toro Assicurazioni, Fiscambi. Un unico neo. la Pantanella, ma si trattava di rendere un favore ad un amico. Il grosso passo falso Calvi lo commise con la Centrale nel 1981, quando le fece rilevare il 40 per cento della Rizzoli per 190 miliardi sotto forma di debiti a breve termine. Due anni fa l'esposizione della finanziaria era salita a oltre 300 miliardi, di qui la decisione dei nuovi azionisti subentrati allo Ior e a Roberto Calvi nel Banco Ambrosiano di vendere quanto possibile per riequilibrare i conti. Se ne andarono allora la Toro e il Varesino, la Rizzoli venne sterilizzata nell'amministrazione controllata, si dette avvio al riordino della finanziaria con l'obiettivo finale di fonderla o con il Nuovo Banco o con la Cattolica del Veneto perché a quel punto la sua funzione era diventata superflua: si Incastrava infatti tra due banche, il Nuovo Banco c la Cattolica, quando la legge prevede che il controllo tra due banche debba essere diretto, senza,alcun tramite. Oggi la società sparisce dal listino, ma il nome de La Centrale resta sulla scena finanziaria: eredita infatti l'attività della Finquota e con un capitale di 70 miliardi si dedicherà all'attività di merchant banking. Gianfranco Mortolo

Persone citate: Anna Bonomi Bolchini, Gianfranco Mortolo, Hambro, Luigi Bruno, Michele Sindona, Pantanella, Roberto Calvi, Sindona

Luoghi citati: Cattolica, Italia, Lazio, Toscana, Veneto