Da London a Mailer lo scrittore sale sul ring di Claudio Gorlier

La letteratura americana sulla boxe La letteratura americana sulla boxe Da London a Mailer lo scrittore spesili ring LO scrittore canadese Morley Callaghan, che è oggi un vivacissimo ottantaduenne, si diletta ad arricchire di particolari (lo fece con me l'ultima volta che lo vidi a Toronto) la storia, race contata in Quell'estate a Parigi, di quando il suo amico Hemingway insistette a fare a pugni con lui, venne atterrato e si seccò al punto di togliergli il saluto. L'episodio conferma, se ce ne fosse bisogno, che la lettaratura deve rispettare l'immaginario, pena l'immancabile sconfitta: comunque, ribadisce la funzione davvero centrale che la metafora del pugilato ha esercitato sempre nella cultura americana. Jack London, ci spiega nella sua acuta prefazione a Storie di boxe (ed. SugarCo, pagine 147, lire 6500) Mario Maffi, fu praticamente non privo di doti, almeno in una cerchia ristretta di frequentatori di palestre, e abbastanza competente da scrivere di pugilato per i giornali, ma soprattutto come narratore, avendo tra l'altro il giovane Hemingway tra i lettori più entusiasti. Il primo dei due testi raccolti da Maffi, // bruto delle caverne (in originale The Abysmal Brute), del 1911, non era mai stato tradotto in italiano. La «storia» allo stato grezzo fu acquistata da London: gliela vendette un giovane ancora sconosciuto che si chiamava Sinclair Lewis, l'autore di Babbtf. Pensate, per afferrare meglio i termini della questione, al soldato Prewitt di Da qui all'eternità di James Jones. Ha lasciato la boxe dopo un'esperienza tragica che rammenta The Game di London, potrebbe diventare un campione ammirato e celebrato ma rifiuta e l'esercito, metafora concreta della violenza organizzata e della prevaricazione cieca, lo distrugge fisicamente. Pure, Prewitt, che si chiama Robert E. Lee come il condottiero dell'esercito sudista, esce a suo modo vincitore dal suo stesso annientamento, a differenza del Robert Cohn in Il sole sorge ancora di Hemingway per il quale il pugilato, che in sostanza egli non ama, anche se è stato campione dei medi all'università, diventa un transfert della sua alienazione. Il nevrotico Cohn è senza dubbio uno sconfitto. Se il pugilato diventa un microcosmo americano, la dimensione sportiva rischia di passare in secondo piano o di risultare pretestuosa. Con London e con Lardner, ma ancora con Jones, è vero il contrarlo per almeno due ragioni. La prima, che la loro competenza tecnica, il cordone ombelicale con il fatto sportivo, sostanziano il racconto; anzi, sono il racconto. La seconda, che lo sport e in particolare il pugilato non è mai un fatto esterno, sovrapposto, altro, ma sta, per usare l'espressione di William Carlos Williams, nelle venature dell'America. Il protagonista di II campione di Lardner, torvo e spietato, conserva la sua immagine pubblica positiva grazie alla complicità della stampa, che ne difende a ogni costo l'apoteosi. Il vecchio campione Tom King di London, in Storie di bore (Una bistecca) si batte, al contrario, per sopravvivere come uomo, letteralmente. La presenza della donna, «emancipata e indipendente, ma anche «fragile e volitiva., in London sottolinea Maffi, verifica la misura della favola. Ma è una favola dai contorni tragici tale da riflettere del valori, positivi o negativi, che si formano e si scompaginano, in un universo dinamico ove, lungi dal rispettare delle regole precise, se ne impongono continuamente di nuove, spesso antagonistiche; ecco perché la civiltà del college, la morale cosi caratteristicamente britannica fondata sulle regole del gioco non meno che sullo spirito della competizione di Momenti di gloria non ha molto senso in un simile contesto. Ci rimangono in mano soltanto degli interrogativi, ma la metafora resiste proprio per questo. Andatevi a rileggere Il combattimento di Norman Mailer, sorta di romanzo-veritàcservizio giornalistico. Il protagonista, Cassius Clay alias Muhammad Ali è l'uomo nuovo o un personaggio costruito, autodefinito? Il combattimento con Foreman prepara il suo trionfo o è un affare combinato forse in partenza? E al di là della descrizione tecnica e competente dell'incontro, del suo esito, di Ali confessionale e esibizionista, chi davvero vince, chi davvero perde? Il combattimento costituisce un terminale significativo: la metafora si rovescia, il protagonista vero diventa lo scrittore, trasformista e beffardo quanto il campione, pronto a insinuare che la realtà può essere menzogna non meno della letteratura. Il protagonista del Bruto delie caverne all'opposto del titolo è un giovane sensibile, intelligente e candidamente disinteressato, un onesto provinciale che incarna il mito del sogno americano ad onta dell'immagine muscolare che la stampa e gli organizzatori privi di scrupoli hanno imposto di lui. Qui scatta uno del punti di svolta nella metafora pugilistica grazie a London e al suo coetaneo Ring Lardner. L'epica dello scontro nobile e cavalleresco, esaltato da un poeta come Vachel Lindsay a proposito del leggendario John L. Sullivan, vincitore di Jake Kilrain dopo settantacinque riprese nel 1889, :«j inquina. Il campione dal pugno folgorante del racconto di London, il giovane Pat Glendon, scopre gli inganni e i trucchi di cui non aveva mai sospettato, e nonostante i pericoli e le minacce li denuncia, smettendo poi di combattere. Meno fortunato di lui, il protagonista di The Game, Il gioco, che apparirà tra qualche mese in un secondo volume curato da Maffi, muore sul quadrato in quello che dovrebbe essere il suo incontro di addio prima del matrimonio. La nota populistica si collega al motivo vitalistico in una sorta di sindrome londoniana e istituisce un dilemma esemplarmente americano: si può essere ai tempo stesso vincitori e perdenti in una società che sembra legittimare soltanto i primi? Claudio Gorlier

Luoghi citati: America, Parigi, Toronto