Per fare grandi i Romani ci vollero i Sanniti

Nell'anno degli Etruschi, scopriamo un'altra civiltà italica Nell'anno degli Etruschi, scopriamo un'altra civiltà italica Per fare grandi i R gi Romani ci vollero i Sanniti E, l'anno degli Etruschi? Studiamo i Sanniti! Questo è forse l'invito che viene dal libro, giustamente famoso, di E. T. Salmon («li Sannio e i Sanniti», Einaudi, pagine XVm-464, con 16 tavole, lire 50.000) che vede proprio ora la luce In italiano. E davvero di fronte a tante mostre e libri sugli Etruschi non solo i Sanniti, ma tutti gli altri popoli non Romani dell'Italia antica (con la sola eccezione dei Greci dell'Italia meridionale e della Sicilia) corrono il rischio di essere dimenticati. Ma. come ci ricorda Salmon, il cliché con cui i Romani solevano definire i loro vicini e antichi avversari ormai domati ben distingue fra Vobesus Etruscus e il bellicoso Sannita (belliger Samnis): nessun popolo in Italia minacciò 11 predominio romano quanto 1 Sanniti. Se li vediamo, com'è fatale, dalla prospettiva di Roma, i Sanniti ci appaiono oggi — per contrasto con Etruschi e Greci — come un popolo povero e rude, fortemente ancorato a una regione aspra e montuosa. Ma questo non è tutto: quando Livio racconta che i Sanniti portavano armi d'oro e d'argento non va preso certo alla lettera, ma pure allude a una qualche ricchezza; e certo dal bottino della terza guerra sannitica (298-290 a. C.) venne ai Romani l'enorme quantità di bronzo che forni loro la base per la prima emissione di monete. Al momento della prima guerra sannitica (343-341 a. C), i Sanniti erano un popolo ben temibile, e anzi costituivano la più vasta unità politica dell'Italia di ..quel tempo, estendendosi'0 "dal' Sangro (a Nord) all'Ofanto (a Sud) e spingendosi a Est fino a Lucerà e a Ovest fin quasi a Cassino e a Nola. Un territorio senza sbocchi sul mare, e di cui riesce difficile definire con precisione i confini proprio a causa della stretta affinità (di stirpe e di lingua, che era l'osco) coi vicini. Naturalmente, la sola versione che possediamo sullo scontro fra Romani e Sanniti è quella romana: e perciò il compito che Salmon si è dichiaratamente assunto, quello «di descrivere questi feroci oppositori della Roma repubblicana considerandoli dal loro punto di vista*, potrebbe sembrare condannato all'insuccesso. Al contrario, usando con abilità e filologia ogni possibile documento, egli riesce spesso persuasivo nel ricostruire federali dei Sanniti: non per niente gli Italici insorti contro Roma nel 91 a. C. (l'ultima occasione storica per i Sanniti) scelsero si a capitale una delle loro città, Corfinium, e la contrapposero a Roma, ma le cambiarono il nome in quello di Italia. Al contrario i Romani potevano semmai proporre agli Italici di diventare, a condizione di sottomettersi, cittadini romani. Ma neppure al lettore più disattento può sfuggire il lungo periodo che intercorre fra la fine della guerra di Pirro (272 a. C.) e quest'estrema rivolta sannitica del 91 a. C: a coprirlo, a dare unità alla storia dei Sanniti, Salmon costruisce il suo capitolo certo più teso e tendenzioso, quello intitolato La dominazione romana, in cui l'arroganza dei conquistatori è sottolineata a ogni riga, per mostrare — per contrasto — che il fuoco doveva covare sotto la cenere. La guerra sociale degli anni intorno al 90 a. C. diventa cosi nelle pagine di Salmon quasi una quinta guerra sannitica. E tuttavia, proprio per questa fierissima opposizione ai Romani, i Sanniti di Salmon «li incitarono e spronarono sulla strada dell'impero. Come risultato di quelle grandi lotte l'orizzonte romano si allargò ad abbracciare tutta l'Italia*. Come Annibale, 1 Sanniti possono essere considerati i creatori della grandezza romana, anche se l'uno e gli altri •avrebbero certamente odiato un simile appellativo*. Su questi eventi, lo sguardo di Salmon è, pur nell'altissima professionalità dell'informazione, vivace e appassionato: vi riconosciamo lo stesso storico che nel 1973 parlò nella sua università canadese della •Nemesi dell'imperialismo*, confrontando la fine dell'impero britannico a quella dell'impero romano. Questa immedesimazione è certo una delle chiavi di lettura del libro, ma non la sola: accanto al Salmon «sannita» c'è naturalmente il Salmon «inglese» (o «canadese») che può pensare che «nei Sanniti s'incarnava un fattore costante della vita economica dell'Italia, la spinta ad abbandonare le montagne del Meridione, belle ma improduttive, per emigrare verso regioni più fertili: essi potrebbero quasi venire considerati gli antichi precursori degli emigranti del XIX e del XX secolo verso il Nuovo Mondo*. Salvatore Settis Statuetta bronzea di guerriero sannita una versione «sannita» dei fatti: e anzi, come scrisse all'apparire del libro in inglese (1967) un recensore acuto come M. Frederiksen, nel corso del suo lungo e accuratissimo lavoro Salmon • ha finito quasi per trasformarsi egli stesso in Sannita*. La stessa struttura del libro è studiata, in modo Intelligente e originale, per consentire al lettore di mettersi nei panni dei Sanniti. Dopo un primo capitolo sulle fonti, tutta la prima parte (capp. 2-4) consta di una serie di percorsi convergenti, che delineano la civiltà sannitica da vari punti di vista, a cominciare dal paesaggio geografico e umano, per poi passare alla cultura materiale e alla vita quotidiana, all'economia, alle forme di governo, all'organizzazione dell'esercito, alla lingua, all'arte, all'architettura, e infine alla religione. Solo a questo punto, si passa alla narrazione storica delle tre guerre sannitiche, di quella che potrebbe a buon diritto chiamarsi la quarta (e che è nota invece come guerra di Pirro), e poi della dominazione romana, e della fine dei Sanniti attraverso la guerra sociale e fino alla durissima repressione di Siila. L'una e l'altra metà del li¬ bro sono sorrette da un'attenzione non comune alle caratteristiche fisiche del territorio, e alle loro conseguenze sugli eventi, dall'economia alla strategia degli insediamenti, alla definizione delle vicende belliche. La prima metà usa con determinazione quel poco che gli archeologi hanno potuto recuperare nella regione dei Sanniti (e qui spiccano fra tutti i contributi di A. La Regina); la seconda, che usando tutte le fonti disponibili riannoda 1 fili di una versione sannita dello scontro coi Romani, e sorretta soprattutto, si direbbe, da un'antipatia senza riserve per Tito Livio, che pure è la fonte principale, ma questa fonte è osservata da Salmon col disincanto, e talvolta l'ostilità, di chi sa che i vincitori stravolgono sempre a proprio vantaggio la verità, ma anche con la tenacia di chi confida che quella verità sia pur sempre recuperabile. Forse già al tempo della seconda guerra sannitica, Sanniti e Romani avevano compreso che la vera posta in gioco era il dominio dell'Italia. A scontrarsi non erano soltanto due popoli, ma due modelli organizzativi e istituzionali: al rigido centralismo romano si contrapponevano le tendenze «Satira di sinistra» in due volumi