Lo scandalo in Egitto e le «Mille e una notte» in Italia

Lo scandalo in Egitto e le «Mille e una notte» in Italia Lo scandalo in Egitto e le «Mille e una notte» in Italia »qn8" ,. ' .... jij l bll Shhd Come la bella Shahrazàd incantò il sultano con racconti a suspense gente umile. L'Ulisse omerico qui diventa un marinaio Sindbad. I misteri religiosi si trasformano in magia popolare, perdendo tetraggine dammatica e simbolica, ma guadagnando in estrosità scanzonata, come nell'Asino d'oro di Apuleio. Delle Mille e una notte ho avuto familiari due visioni, quella tradizionalmente orale con cui le madri facevano entrare nella nostra educazione alla fantasia fin dall'infanzia Ali Babà, Aladino con la sua lampada e altri, e la tradizione italiana integrale dall'arabo curata da Francesco Gabrieli e pubblicata in quattro volumi da Einaudi tra il '48 e il '49. Gli Oscar Mondadori propongono ora, in due bei volumetti (1275 pagine, 18.000 lire), -un ampio saggio della classica versione di Antoine Gallona-, tradotta in italiano da Armando Dominicis, già apparsa negli Anni Trenta. Le tre versioni — quella diciamo pure delle madri, l'altra eseguita direttamente dall'arabo e questa degli Oscar Mondadori — battono strade diverse, pur movendo dal medesimo punto. L'ultima, fedele al Gallarla, parte secca secca con -Le cronache dei Sassanidi, antichi re di Persia...-, mentre quella del Gabrieli ha all'inizio tanto di -In nome di Dio misericordioso e clemente... lode a Dio signore dei mondi...-, che ci fa entrare subito nel cuore della civiltà islamica, sotto il cui segno si compi la famosissima summa di racconti e di apologhi. Il feroce Shahriyàr nel francese del Gallanti decapita la moglie traditrice con il sabre, tradotto pari pari 'sciabo¬ Il processo intentato dalla Procura del Cairo contro le «Mille e una notte», e concluso con il sequestro dell'edizione egiziana, ha messo a rumore U mondo della coltura. Su «Tuttolibri» la notizia del rinvio a giudizio era state commentate da Francesco Gabrieli con un «Parliamone». In Itelia le «Mille e una notte» circola In varie edizioni, l'ultima delle quali uscite di recente negli Oscar Mondadori. Abbiamo chiesto un intervento allo scrittore Fortunato Pasqualino, che si è ispirato più volte nella sua opera alla storia di Shahrazàd. IL sultano Shahriyàr, scoperto d'essere tradito dalla moglie, la decapita e decide di sposare da quel momento una fanciulla vergine ogni sera e di ucciderla dopo aver trascorso la notte con lei. La gente inorridita scappa con le figlie. Sicché dopo qualche tempo, il visir, incaricato olla raccolta delle fanciulle, si trova nei guai. Allora la maggiore delle sue due figliole, Shahrazàd, si offre di andare lei dal sultano. Il padre le spiega qual mostro è il sultano, ma Shahrazàd è risoluta. Affronta il mostro con l'arte della parola, chiedendo e ottenendo di potere raccontare una storia, che lei ha l'astuzia di far coincidere e di sospendere sul più bello all'alba, quando arriva il boia con il lenzuolo funebre. Come un telespettatore di oggi, cui la pubblicità interrompe nel momento più delicato il piacere di una visione, il sultano cacciò via il boia e a malincuore sopportò il resto della giornata, impaziente di tornare la notte a godersi il racconto di Shahrazàd, e però non solo quello. Cosi per tantissime notti, mille e una, cioè per un tempo senza fine, durante il quale Shahrazàd narrò -gesta di re antichi e storie di popoli-, è tutto un mondo all'insegna d'una immensa, drammatica, esaltante avventura umana, dove leggende ed epopee orientali, miti greci, racconti biblici, imprese medievali, canno adattati e risolti a servizio di una scatenata vitalità fantastica, essenzialmente popolare o popolareggiante, da uomo della storia. Protagonisti nella letteratura epica, tragica, religiosa in India, in Grecia, a Roma, erano semidei, re, principi. La plebe veniva confinata nelle commedie. Con ebrei e con arabi, in particolare nella Bibbia, anche i pastori, i pescatori diventano protagonisti di storia, di drammi che impegnano terra e cielo. Cosi nelle Mille e una notte, fin dalla prima novella, si ha un mercante protagonista, e poi facchini, calzolai, ladri, QUANDO un personaggio si radica cosi saldamente nell'immaginario popolare come Tex miler i giudizi critici rischiano di apparire superciliosi e arroganti. Prima bisognerebbe immergersi in questo bagno di -willerite-, e poi, una volta riemersi, riferire su quanto è stato visto muoversi sul fondo. Ma noi, stranamente, non abbiamo l'età per questo bagno. Avevamo diciotto anni quando Bonelli immaginò Tex e Galleppini lo disegnò: età in cui, almeno una volta, si compiva l'amaro distacco dalla pubertà e dalla primissima giovinezza lasciandosi alle spalle gli spassi ad esse legati. E i fumetti, nell'opinione dei più, erano della partita. Poi fatti adulti e consapevoli che il fumetto ha i suoi quarti di nobiltà, irritati per il tempo perduto, cercammo di recuperare. Ma per Tex Willer era troppo tardi. Il nostro cuore non sarebbe mai più stato capace di battere con il galoppo del cavallo di Tex. Forse l'assenza di questa carica emozionale ci farà essere più lucidi, e quindi più irritanti, nell'offrontare il trionfale volume mondadoriano, «Tex Willer e la piramide misteriosa, (pagine 198, lire 30.000), ristampa di due albi del 79, ideati dall'inossidabile Bonelli e disegnati da Guglielmo Letteli, uno dei padri grafici del personaggio, che adesso, dopo decennali tira e molla, sarà stampigliato sul grande schermo dal volto vagamente tvestern di Giuliano Gemma, con alle spalle un regista come Duccio Tessali che ha i fumetti in tasca, tanto da essersi più volte prenotato per tradurre in immagini cinematografiche Mandrake. Come mai Tex ha spiantato tanti altri tentativi di cow-boy all'amatriciana, cosi come gli eroi di Sergio Leone hanno spiazzato quelli di Marino Girolami & C? Prima di tutto gli autori hanno una vigorosa fede nel mondo dell'avventura, mai dismessa nemmeno quando, negli Anni Sessanta, chi la coltivava veniva murato vivo nel mausoleo squadristico, e insomma rischiava di passare per fascista. Ciò permise al duo Bonelll-Gal-, leppini di non stracciare il Grande Disegno già profilato negli Anni Trenta dai maestri del genere, come Alex Raymond e dai suoi più 0 meno diretti discepoli Charles Flanders (prosecutore delle vicende dell'agente segreto X-9) e Alien Dean la' da Dominicis, cosa che fa pensare a un ufficiale di cavalleria oa un nostro carabiniere in alta uniforme più che a un antico principe dei Sassanidi. Col Gabrieli si traduce appropriamente -spada- e si hanno buoni motivi filologici per confinare in appendice Aladino e la sua lampada, che con gli Oscar Mondadori cade nel bel mezzo delle Mille e una notte, come nella versione del Galland e in quella delle madri. Shahriyàr, alla milleunesima notte mondadoriana, ha una sfuriata di isterica violenza omicida che non trovo né in Gabrieli né nel Galland. Il sultano si dice stufo e stanco dei racconti di Shahrazàd e minaccia di mozzarle il capo. Un arbitrio del traduttore italiano? Presentando le Mille e una notte, Massimo Jovilella tira fuori una simbologia misterìosofìca che, per quanto confortata oggi dalle mode, mi sembra fuori posto. Se qualcosa si vuole che Shahrazàd e gli altri personaggi con il loro continuo narrare e cantare simboleggino, penso sia una certa filosofia o poetica della parola, del logos come umanissima capacità di risolvere problemi vitali e di giungere al cuore degli altri, anche dei mostri: poetica e filosofia antica quanto il mondo. E'presente infatti in Omero, con Ulisse che racconta e innamora presso Alcinoo; è in Virgilio, con Enea narratore delle proprie sventure alla reggia di Didone; sarà nel Boccaccio, coll'allegra brigata che nel Decamerone grazie al novellare, supera la tristezza del mondo appestato.

Luoghi citati: Egitto, Grecia, India, Italia, Persia, Roma