La pierre a Calcutta incontra i poveri felici

«La città della gioia», viaggio in India «La città della gioia», viaggio in India Lapierre a Calcutta i pincontra i poveri felici SUL fiume Hooghly, il ramo più occidentale del Oange sacro all'induismo, sorge Anand Nagar, che significa «Città della gioia», ed è il più verminoso slum, o baraccopoli, di Calcutta, forse dell'intero mondo. Lo scrittore franco-inglese Dominique Lapierre ha preso quel nome per titolo al suo ultimo volume, un nome e un titolo che sembrano un crudele paradosso e aderiscono, invece, alla realtà come una pelle. La «gioia» di cui racconta Lapierre ha un significato che trascende la realtà della baraccopoli e arriva ad essere una cotegoria etno-etica. Oiornali, libri, film, tivù ci hanno raccontato molto dell'India, dalle capocciate occidentali nella filosofia dei guru, come quella dei Beatles, al cultori di yoga e tantra, e ci hanno raccontato la miseria in cui vive quasi un miliardo di esseri umani al limite della sopravvivenza. Però, tutto è sempre stato scritto e filmato come reportage, un'occhiata sulle piaghe purulente dei lebbrosi, un'intervista a Madre Teresa di Calcutta, aluti durante le carestie e tutto finiva 11. Non esisteva una ricerca, un racconto che entrasse nel fondo di quel mondo, putrido solo in apparenza, e ci mostrasse 11 volto reale degli indiani, soprattutto dei più miseri. Dominique Lapierre, già famoso per le opere scritte in collaborazione con Larry Collins come «Parigi brucia?» e «Gerusalemme, Gerusalemme» (pare ne siano state vendute 18 milioni di copie) è partito dà solo, andando alla ventura, nel sub-continente indiano, definito «polveroso cortile di dei», e ha trovato ospitalità nella tana • di- un prete francese, Paul Lambert. E' rimasto con lui per oltre un anno, il tempo per vedere tutto, ma proprio tutto quanto accadeva ad Ananda Na- Un mercatino nelle rie di Calcutta ». la nno taegrci rtà a oni ini he en di ri 1 marierme on te-, 'anióni m, ve rse mca La è et tohe non ha nulla in comune con quella italo-americana. Quegli esseri che non posseggono nulla devono pagare per vivere nel fango, lavorare, fare l'accattonaggio, prostituirsi, persino per morire. Pagano il baeshis per ottenere la le-, gna, per erigere la catasta funebre, per accenderla, per portare le ceneri del defunto nel sacro Gange. Una piovra di sfruttatori succhia il poco sangue che i miserabili riescono a salvare da cimici, scarafaggi, mosche, zanzare, lo spremono finché il reietto ha respiro. Uno dei protagonisti è Hasarl Pai, un contadino cacciato dalla miseria nell'inferno di Calcutta. Fa come tutti; vive e dorme con la famiglia su un angolo di marciapiede, ottiene qualche incarico, finché diventa uomo-cavallo, cioè tralnatore di risciò e trova un buco nello slum, accanto alla capanna di padre Lambert. Per sopravvivere ha venduto il proprio sangue al raccoglitori che girano la città in cerca di miserabili. Poi ha venduto le proprie ossa. gar, la «Città della gioia». Egli ha documentato la sua esperienza raccontando episodi che sembrano creati dalla lugubre fantasia di un necrofilo, o peggio, ed è riuscito a darci l'ampiezza della povertà avvilente in cui, simili a maiali, grufolano milioni di uomini, donne, bambini alla ricerca di qualche buccia di banana, di lenticchie marce, di avanzi di cibi avariati nelle discariche con cui calmare 1 crampi della fame. Mentre descrive l'Himalaya di miseria che opprime quegli uomini, egli cerca di comprendere come possano sopravvivere, non solo, ma persino mante-, nersl onesti e puri nell'animo nonostante le infinite angherie e vessazióni che subiscono. Lo sterminato slum, centomila abitanti dove troverebbero posto forse diecimila, rimane incomprensibile a chi giudica con mentalità europea. La «Città della gioia» è schiacciata da un racket spietato, una mafia autoctona, dice l'autore, che Lo scrittore ci parla del suo «Cromantica» viltà più cieche. Usiamo, troppo gli occhi, indossiamo immagini prèt-à-porter e siamo incapaci di decifrare i simboli. Manchiamo di cultura visionarla». Per i personaggi di Cromantica «cftf non sogna ha vita breve- e tutto il romanzo ribolle di allucinazioni e deliri. Per Manfredi le suggestioni della sapienza anti-. ca, il fascino del pensiero mitologico valgono molto più della scienza, quella diventata senso comune con i mass-media: «Vera superstizione dei giorni nostri, con )a sua farsesca presunzione di spiegare il mondo. Meglio l'alchimista dell'esperto che non ha più curiosità fuori del suo campo specialistico». Ma allora il suo non sarà mica un romanzo filosofico, -impegnato-? «Scrivo divertendomi e per divertire. Un divertimento che valga la. pena, ponga interrogativi e faccia riflettere. Come quando si gioca e via via si scoprono insieme il piacere e le regole del gioco». Sulla tela di Cromantica Manfredi ha sperimentato il piacere di mescolare suoni e colori, storia e sogni, destino e desiderio. E ha seguito le, regole di un abile falsario per ricalcare forme e stili ■ linguistici delle sue letture più amate, incastonando nel racconto brani di memorie ed espistolari, cronache e diari tra 700 e '800. Cosi il romanzo si srotola come un patchwork: variopinto e poliedrico come il suo autore che, oltre a scrìvere romanzi, si dedica a comporre canzoni e incidere dischi, fa il crìtico musicale e là sceneggiatore per il cinema. «Ma nell'industria culturale si deve ' lavorare in équipe, seguire le esigenze del mercato, offrire prodotti di rapido e sintetico consumo. Mi piace e lo faccio, anche per vivere. Poi "scelgo la libertà" e scrivo romanzi. Solo la letteratura consente un lavoro creativo: sei tu solo davanti alla pagina bianca e tutto 11 resto viene dopo». Ladano Genta

Luoghi citati: Calcutta, Gerusalemme, India, Parigi