L'ultimo sogno americano

Parlare Parlare con l'acero L'ultimo sogno americano Il re del rock and roll è un giovanotto alla buona che ha conquistato il pubblico internazionale Si sa che le maledizioni bibliche perdurano e farsele amnistiare non c semplice, ma questa della Torre di Babele proprio non molla mai. Già non si capisce perché i figli d'Adamo che parlavano tutti la stessa lingua, anziché scambiarsi ricette e cruciverba, si siano messi «a far mattoni e cuocerli sul fuoco», ma neppure la Genesi 6 chiarificatrice sul perché Lui se la prese tanto. Al punto di scendere <a confondere il loro linguaggio in modo che non s'intendano più», calcando la mano <fmo a disperderli su tutta la Terra» e insistendo ancora adesso in televisione dove, all'occorrenza, gli fa da tramite addirittura il Iliscardi. Aldo Biscardi infatti, per tutto l'inverno e passa, dal << Processo del lunedì» ha impunemente parlato agli sportivi in quell'italiano aulico e ridondante dei libri di scuola del deprecato ventennio che sta all'altro italiano come fare l'amore sta alla questione delle farfalle che volano di fiore in fiore. Non pago di questo (e del senatore Viola spesso invitato ad esprimesi in violese) l'arcangelo partenopeo si è fatto confortare da un faccendiere brasiliano noto, come José Altafini, che ha portato la celebrazione di Babele a fasti davvero impressionanti. Trovandosi ad intervistare unr sfilata di parenti, sponsor, e giocatori brasiliani che ringhiavano soavi cose di calcio cui neppure Vinicius de Moraes avrebbe trovato un nesso logico, l'Allafini si è adeguato ruminando complici risposte ovviamente portoghesi. Ogni appello per ottenere una qualche traduzione, sia pure in mostruoso biscardcsc, è stato vano. Tanta fede nel perpetuare un fatto biblico, trova un fulgido esempio solo nei telecronisti di boxe ufficiali. Infatti, chi è preposto alle telecronache (il concorrente Rino Tommasi è per loro Savonarola), non si inteiessanuii alle umane cose che avvengono intorno ai due che si scambiano pugni; soprattutto mai e poi mai si abbassa a farci capire che cosa gridano, imprecano, implorano i secondi di un pugile durante gli intervalli di un match mondiale. Per loro messicanesc, salvadoregno, californiano, anglosassonico restano solo suoni concitati e magnifici di una sontuosa colonna sonora destinata ad altri babelici. Tale mistica del suono, adottata dalla Rai-tv e dagli amici delle piante da giardino e appartamento, è ferocemente avversata da Canale 5. Dimenticandoci che anche il più umile possessore di un acero giapponese a foglia scarlatta, prima di innaffiarlo, gli parla con l'aiuto di un manuale turistico senza badare se gli sta chiedendo l'orario dei traghetti per Kobe (bastano il suono e la parola a confortare), Berlusconi tenta di ricostruire una sua Babele uniformando all'italiano le sue repliche di «Shogun». Nella prima versione, Thosiro Mifune e conterranei parlavano esclusivamente in giapponese c il telespettatore si trovana a vivere, a distanza di secoli, la stessa avventura del protagonista occidentale Richard Chambcrlain che, solo attraverso gli interpreti, tra esitazioni e contraddizioni, scopriva un mondo completamente nuovo. Su Canale 5 parlano tutti italiano, con grotteschi risultati che rafforzano la maledizione biblica anziché mitigarla. Alla Genesi, perlomeno sul video, non si sfugge. Se n'é reso conto chi credeva di comprendere perfettamente l'inglese e ha preteso di guardare il ciclo di film dedicati a Laurencc Olivier ascoltando nel contempo la colonna sonora originale trasmessa dal terzo programma radiofonico: un disastro. Al punto da dover controllare sul giornale se slavano guardando «Zio Vania» o erano già passati a «I ragazzi venuti dal Brasile». Dalla Torre di Babele si salva soltanto il musical, perlopiù di lingua inglese che, anche nelle versioni più libertine tipo «Rocky Horror Picture Show»; porta didascalie che non temono di tradurre ansiti, fremiti e discorsi d'alcova. Annotazione ipocrita questa, dal momento che si era capito comunque tutto, alla faccia della maledizione. Emio Donaselo MILANO — Immaginate la fine di una giornata idilliaca, perfetta; un crescendo di danza, emozioni, un'atmosfera di pura gioia. Questo era San Siro, 11,20 di venerdì sera. Settantaclnquemila persone e una Rock'n'roll Band alla fine di una feste Irresistibile, che In partenza sapeva di evento, e ormai era solo delirio. La, piccolo sul palco, e riprodotto a dimensioni colossali sullo schermo, 11 ragazzo del New Jersey, grondante sudore e felicita, sudore e passione, contemplava l'ennesimo rito celebrato. La visione che ogni cantante al mondo ha sempre sognato. E per di più in una terra che in dieci anni di tournée mondiali aveva sempre evitato, anche se il nonno materno veniva proprio da 11. In un attimo Bruce Springsteen si è definitivamente sciolto. Uno stadio illuminato a giorno, e stracolmo, coloratissimo. Ha ringraziato per l'accoglienza avuta: la famiglia Versace per l'ospitalità privata, e i suol fans per averlo sempre sopportato In tutti questi anni. Si è guardato intorno, mentre la E St. Band, deposti gli strumenti, stava già avanzando per l'ultimo inchino. Commosso. • Oraste, Italia. Io... tornerò. Arrivederci'. Il gruppo lo aveva ormai circondato, e Bruce ha guardato gli amici di sempre, poi ancora la muraglia umana che lo sovrastava, fino al cielo. Ha lasciato che il coro di invocazione impazzito gli desse l'ultima spinta, ha scosso la testa con 11 solito ghigno con scucchia, simpatia Irresistibile — e non è riuscito ad aggiungere altro. I vari «Ora cominciamo!*, •Non posso più fermarmi!*, eccetera, se li era già bruciati durante le finte conclusioni del terzo bis, un Medley di • T\oìst and Shoul*, mezz'ora di pura energia positiva, quella che aveva fatto del Beatles 11 fenomeno più rilevante degli Anni 60. Senza una parola, si è girato, e si è ripartiti, con un ennesimo inno di r'n'r, «Rockin all over the worid*, Creedence Clearwater, d'annata. Il mito delle 3 ore e mezzo di concerto stava per essere rispettato, e si capiva che anche per lui era una nottata ed emozioni che avevano lasciato un segno profondo. Tredici anni di compendio esistenziale, tanti pezzetti di sé, .tante sceneggiature da cantare a memoria ammantate da quel fascino segreto che ha la musica dei Orandi: esprimere quello che è dentro tutti, ma che non tutti sanno comunicare. Bruce Springsteen sapeva, e rendeva felici decine di migliaia di persone ogni sera. Era sicuramente un uomo felice anche lui. Aveva tutto quello che un artista può sognare e, incredibile a dirsi, se lo meritava tutto. Perché era un onesto, che credeva in poche cose ma buone. Sempre le stesse, non cambiavano mai negli anni. L'unica differenza era che le suonava sempre meglio e a sempre più gente. Cose semplici, vere. Della sua città, di come era scappato via, e di come invece quegli amici e quel posto ti rimangono dentro tutta la vita. Di come aveva vissuto, giovane e romantico selvaggio suburbano, capelli al vento e promesse strette fra i denti, correndo fra Boulevards e Backstreets. DI come aveva sempre sognato donne ideali, di come si era sempre ritrovato al fianco disperate compagne di fuga; e di come, nelle parole e nella melodia dolcissima — uno stacco da tutto 11 resto — del primo Re, Elvls, «non aveva potuto evitare di innamorarsi*, questa volta per sempre. E scorreva una galleria lunghissima di volti, compresi Rosalita e il papà diffidente che non la faceva uscire: ma non era più una serenata sotto casa, alla Martin Scorsesi era in piedi con passi di danza latinegglanti, su un pianoforte nero, pronto a unirsi a ragazzi là sotto, sul grande palco, per fare un treno di cinque finti ubriachi suonatori vaganti nella notte, saltante, insieme giù dai gradoni del palco incontro al pubblico con una cascata di suono. «Roste, esci, sto cercando some ammore.'*,. Molti momenti, troppi da ricordare. Ma èra strano, pensare che questo tipo che alla fine era caduto in ginocchio, urlando -sono solo un prigioniero del rock'n'roll!* avesse calamitato l'interesse di una nazione intera. Strano ma cosi. Un coro-boato saliva al cielo, e scuoteva dentro: -Rockin all over the u>orld*\ Chi esibiva sorrisi estasiati, chi si abbracciava e baciava, chi piangeva e tutti, o quasi, continuavano a ballare. Sapete, era molto bello: il rock'n'roll continuava non solo ad essere una ragione di vita, o per lo meno qualcosa che aveva cambiato la vita di molti, ma anche una grande forza positiva, e lo stava dimostrando proprio nel posto dove migliala di poliziotti armati ricordavano altre paure. Era cominciato come un concerto, ed è finita come una legione di grandissima civiltà. Raramente ho visto un rapporto d'amore cosi intenso, immediato e reciproco, fra un performer e la sua gente. 81, è stata veramente una nottata storica. Una notte da favola, con principe azzurro rocker, in canotta, e 75 mila persone innamorate. Bruce Springsteen, «The Boss», ha convinto ed entusiasmato anche i fans italiani sottolineava che non è fondamentale l'obiettivo finale. Perché l'obiettivo finale non esiste. Ma era molto importante, per lui, come ci si arrivava, se lui si sentiva bene durante il percorso, se il tempo speso a raggiungere i tanti obiettivi della vita era stato impiegato lealmente, e divertendosi. -Conte ci si arriva, non solo cos'è»... E cosi erano i suoi concerti pieni di tanto;tappe che sapevano di viaggio nella memo 'Ha e nella coscienza, che ti ri' cordavano come eri cresciuto e in cosa avevi creduto, in tutti quegli anni. Per molti era 11 momento di aprirsi il cuore e sentirsi cantare frasi tuono, sembrava ricordare che, certo, non tutti possono diventare il' numero uno, ma a farcela può essere uno qualunque, in jeans e maglietta — senza nemmeno i soldi per vestiti costosi alla moda. Non sembrava mica una star, come andavano di moda allora. Sembrava proprio un coatto, un simpatico bullo di provincia, stivaletti e bicipiti da body-building, che avresti scambiato per il garzone o il meccanico. Ma era un£ che nelle interviste, Dio solo sa sé per geniale intuizione o per serenità acquisita, faceva luccicare gli occhi, e regalava frammenti di saggezza. Ne ricordo una, in cui, più o meno, importante. Una di quelle da raccontare ai nipotini. Sapete, c'era questo cantante di rock'n'roll, e un giorno arrivò in Italia; tutti, ma proprio tutti, cominciarono a parlarne, anche se non tuUfj lo conoscevano, né sapevano bene cosa aspettarsi, anche se si diceva che era il più grande. Un tipo piuttosto semplice, un ragazzo americano di provincia. Porse per questo di lui vedevano l'finv, blema del mito americano più grande, quello buono. Ogni sera, dal suo grande palcoscenico, con 1 suoi amici pittoreschi fra un omone nero con smoking tricolore che suonava il sax come un

Luoghi citati: Brasile, Italia, Laurencc Olivier, Milano, New Jersey