L'Urss padrona dell'Europa

Com'era nelle previsioni, la Cecoslovacchia è stata battuta nella finalissima Com'era nelle previsioni, la Cecoslovacchia è stata battuta nella finalissima L'Urss padrona dell'Europa L'addio di Sandro Gamba I sovietici si sono imposti per 120-89 dilagando nel finale - Nuovo l'allenatore (Obukhov) e rinnovati i quadri: la squadra si basa soprattutto sull'apporto delle forze fresche provenienti da Kaunas e Riga - Il talento di Sabonis e Valters dal nostro inviato GIANNI MENICHELLI | | STOCCARDA — E', per la storia ufficiale, il 14° titolo europeo di basket dell'Unione Sovietica, su 24 edizioni continentali e su 18 partecipazioni dell'Urss. In realtà andrebbe però ricordato come il quarto titolo delle Repubbliche baltiche, dopo quelli antichi della Lettonia ('35) e della Lituania ('37 e '39). Non per nulla ieri, durante la premiazione, sulle tribune della Schlayer Halle è spuntata, dal nulla, una bandiera lituana, giallo-rossoverde. La vittoria sovietica — anche quella nella finale con la Cecoslovacchia, strapazzata nel secondo tempo senza il minimo problema — si lega Infatti al nomi di Sabonis, Valters, Kurtinaitis, Homtcius, Jovaisha, cioè agli uomini nuovi di Kaunas e di Riga, ragazzi che fra loro non par lano neppure in russo, giunti a rivitalizzare una scuola e una squadra fossilizzatesi per troppo tempo nello strapotere, prima di tutto politi co. del colonnello Gomelsky e della «cricca moscovita dell'Armata Rossa- (la definizione è di fonte sovietica). Per arrivare a vincere in Europa, Sabonis e i suoi compagni dello Zhalgiris Kaunas hanno dovuto prima battere ' l'Armata in campionato, poi prendere spunto anche dagli insuccessi di Gomelsky e del suoi in Coppa Campioni (e, si mormora, dalle disavventure doganali di qualche amico del colonnello), per imporre un nuovo allenatore nazionale, il poliziotto Obukhov, che non fosse legato all'esercito e fosse disposto a lasciare in pan china per tutta una finalissima europea il mammuth Tkacenko, a lasciar mugugnare un Enden o un Tara kanov. Anche il basket nel Stoccarda. Volkov a canestro per l'Urss durante il vittorioso in ispirazione americana. L'Urss di Obukhov non gioca un basket molto più organizzato di ctuello di Gomelsky. Ma ha giocatori tanto migliori che. con quello stesso basket, vince facilmente, anziché perdere come a Nantes. Non sembra un passo avanti per l'Europa dei canestri neppure l'argento, fortunoso quanto meritato, della Cecoslovacchia. Questa squadra pratica la pallacanestro rilassata di ir e nt' anni fa. Usa fondamentali tecnici, còme il passaggio in salto, che fanno l'Urss è un fatto politico, di rapporti di forza, prima che un campo di scelte qualitative. Tutto 11 potere ai baltici, dunque, come mezzo secolo fa. Un ritorno all'antico che non è un passo avanti per il basket europeo, costretto a prendere atto che ancora oggi un pugno di super-talenti individuali, fra i quali due autentici fuoriclasse come appunto Sabonis e Valters, possono farsi beffe di tutte le più rinomate espressioni tattiche collettive di ord italiano del salto con Tasta per Drechsel (5,52) Con la partita di sabato il et ha chiuso con la Nazionale e tornerà ad allenare un club - Le sue sensazioni e gli auguri a Valerio Bianchini che gli succede deve gestirlo considerando le condizioni di stress con cui i giocatori escono dal campionato. Secondo: deve trasformare in gruppo degli individui con educazioni tecniche e comportamentali disparate, deve per esemplo chiedere a gente abituata a giocare quaranta minuti di dare 11 meglio di sé in venti o in cinque minuti. Terzo: deve darsi il coraggio di "tagliare" alcuni giocatori prima della competizione, dopo averli visti sudare in allenamento con gli altri per un mese. Anche prima di questi europei ho dovuto dire a tre ott(rnl giocatori: voi restate a casa. Ogni volta mi si spacca il cuore». «Quando ho ereditato la Nazionale da Giancarlo Primo, mi sono tenuto quel che c'era di buono e poi ho lavorato con i miei sistemi, secondo i miei principi. A Valerlo Bianchini, che mi succede, suggerisco di fare lo stesso. E' un buonissimo allenatore, dia alla sua Nazionale il suo gioco, quello di Cantù e di Roma, si scelga gli uomini più adatti e vada avanti per la sua strada. E a tutti gli altri dico: lasciatelo in pace, non gli rompete le scatole col fantasma delle mie medaglie. Non le ho vinte per lasciarle pendere sul capo di chi viene dopo di me». Questo — e molto altro — è Sandro Gamba, milanese di via Washington, 53 anni, scuola Simmenthal, plurit>incitore di scudetti e Coppe come giocatore e allenatore, da oggi e.r et di una Nazionale che con lui ha vinto 110 partite ufficiali su 141 c non è mai finita peggio che 5J tri un grande torneo, collezionando un albo d'oro da ovazione. Un professionista vincente, che ora non inerita d'essere mummificato nel mito: Gamba Alessandro non è un santo né un eroe omerico, è semplicemente un uomo di grande qualità che sa fare magnificamente il suo mestiere, con i tanti pregi conseguenti e anche i pochi difetti dai quali un uomo e un tecnico non può essere immune. Il suo posto resta la palestra, non l'altare. Ha dato al basket italiano la migliore Nazionale di sempre, per sei anni. Ora non si ritira in convento, ma va a tentare di regalare alla vecchia Virtus una Coppa dei Campioni. Buon lavoro, Sandro. E ' «buon lavoro» a Valerio Bianchini. r. men. DAL NOSTRO INVIATO STOCCARDA — L'ultimo Gamba colorato d'azzurro ha una medaglia al collo, la solita impeccabile eleganza e gli occhi un po' cerchiati da una notte sema molto sonno: «Strani pensieri, strane sensazioni — spiega — in un dormiveglia dal quale sono uscito senza voce e con l'Idea che tutto fosse solo un sogno. Mi ripetevo: ho giocato la mia ultima partita in Nazionale, adesso mi danno d'ultima medaglia, poi vado a casa, cambio la valigia e parto per Bologna. Possibile?-. Possibile. L'era Gamba si è chiusa, in clima festoso, come si sperava, come era giusto. E all'insonnia del et avevano certamente contribuito, anche più della vittoria sulla Spagna per il bronzo, le parole che sabato notte i giocatori — sollecitati magistralmente dalla voce rotta di Rino Rubini — avevano dedicato al «signor Gamba», alzandosi in piedi, uno per volta, come tanti scolaretti, nella saletta tappezzata di legno della Greiner Stuben, odorosa di birra, crauti e salsicce. Frasi diverse, più o meno limpide, più o meno profonde, più o meno commosse: ma col comune denominatore della gratitudine e della stima per un allenatore «che ci ha fatto vincere e ci ha insegnato tanto, sul campo e fuori». Ieri mattina, poi, nella stessa sala, in clima più ufficiale, il ringraziamento-addio del presidente Vinci: «Questo è soprattutto il distacco da un amico, un amico che mi ha permesso di essere 11 presidente più vittorioso della storia del nostro basket e di arrivare, col passaporto delle sue medaglie, ai vertici della dirigenza sportiva italiana». E infine il lucido bilancio conclusii'o dello stesso Gamba sulle sue sei stagioni azzurre: un'ora e mezzo di ricordi, analisi, domande e risposte che forse andrebbero raccolte in un volume. Qui limitiamoci a scegliere fior da fiore in questa specie di testamento spirituale, al di là dei grazie (sentitissimo quello a Riccardo Sales, l'assistente di tutte le spedizioni medagliate) e dei rilievi più strettamente tecnici: «Credo di aver fatto un'ottima scelta, sei anni fa, lasciando Torino, dove stavo benissimo, per tentare l'avven¬ contro con la Cecoslovacchia urlare di raccapriccio i nostri allenatori. URSS - CECOSLOVACCHIA 120-89 (54-47). Urss (tiro 48/87, tre punti 8/15, ti 16/20, rimbalzi 41): Valters 27 (voto: 8), Sabonis 23 (7). Kurtinaitis 24 (7,5), Tarakanov (5), Volkov 18 (7), Belostennj 4 (6,5), Jovaisha 6 (6), Homlcius 10 (7), Enden 2 (6), Tikhonenko 6 (6). Cecoslovacchia (tiro 34/75, tre punti 5/15, ti 16/21, rimbalzi 22): Brabenec 21 (7), Havllk 6 (6), Skala 5 (6), Kropilak 23 (7,5), Rajnlak 8 (6), Vraniak (sv), Zuffa 2 (sv), Maticky '6 (6), Krejcl (sv). Boehm 6 (6), Okac 12 (7). Vjloral (sv). tura azzurra: avevo l'ambizione di provare a me stesso di saper guidare una Nazionale. Ci sono riuscito. Non è stato facile. Entusiasmante, ma non facile». «Il momento peggiore è stato nel 1981, agli europei di Praga, quando mi sono trovato in mano una squadra che pareva non aver proprio voglia di giocare e non capivo perché: e mi rendevo conto di non avere l'esperienza specifica per capire. Il momento più bello è questo: come arrivare sano e salvo all'ultima stazione dopo un viaggio lungo e pieno d'ostacoli». •Un allenatore di Nazionale ha problemi diversissimi da quelli di un allenatore di club. Primo: non può fare programmi a lunga gittata, ha poco tempo per lavorare sulla squadra e