Prima che canti il gallo di Mario PiraniMario Pirani

Prima che canti il gallo Prima che canti il gallo MILANO — Viene da un pari d'Inghilterra, Lord l'cnnock, presidente degli industriali della Cee, l'appello ad uno «scatto d'europeismo» di fronte alla guerra commerciale che nipponici c americani ci riserverebbero e alla magia ipnotica delle maxicommesse stellari. Forse se il baronetto avesse letto Curzio Malapartc troverebbe che c il momento giusto per parafrasarlo: (■Spunta il sole I canta il gallo I Ronald Reagan monta a cavallo I o vecchia Europa svegliali I c'è odor di botte...». Ma temiamo che neppure il ricordo del Carroccio e il suono a stormo delle campane di Sant'Ambrogio riuscirà a infondere ai capi di Stato c di governo convenuti oggi a Milano il coraggio necessario alla sfida e, come è noto, c questa una virtù che. se non ce l'ha, uno non se la può dare. Dove manca, però, il coraggio sovviene a volte la prudenza che permette, almeno, di non perdere la faccia, li' quanto debbono aver pensato Mitterrand e Kohl con la loro proposta dcll'ultim'ora i cui contenuti, per adesso, sembrano sostanzialmente incentrati sul rafforzamento della coopcrazione politica europea. In altre parole un maggiore coordinamento intergovernativo — magari con la creazione di un segretariato permanente — per assumere posizioni comuni sul proscenio internazionale. Un modesto passo avanti, soprattutto se raffrontato alle attese che il volo del Parlamento europeo per un nuovo trattato c la decisione di muoversi in questa direzione, presa un anno fa dal vertice di Fontaineblcau, avevano lasciato sperare. L'appuntamento di Milano era sialo visto, appunto, come una tappa verso una rifondazionc dcllT-uropa — ormai a dodici, dopo l'ingresso di Spagna e Portogallo — per renderla più unita, forte e efficiente. Attorno alla convocazione o meno di una conferenza internazionale per la stesura di un nuovo trattato con queste caratteristiche sembrava si dovesse giocare la partila ambrosiana. Un possibile compromesso veniva anche adombrato attorno alla opzione di lasciare i trattati di Roma come sono, codificando invece le materie che questi non comprendono: coopcrazione politica, difesa, cultura, ecologia, sport, sanità, diritti dei cittadi ni, eccetera. Una via d'uscita su cui incombeva l'incognita dell'atteggiamento inglese l'incertezza sulla determinazione soprattutto di Bonn, ma anche di Parigi, di procedere — a parte la scontata ostilità di Atene c Copenaghen — anche senza l'assenso britannico. Ora l'iniziativa MitterrandKohl lascia intendere, quanto meno, una linea di maggiore fermezza verso la Thatchcr, accompagnata però da uno svuotamento nella sostanza. Di qui la possibilità che dopo un dissidio formale Ira Londra, che non vuole sentire parlare di nuovi trattati, e i due partner continentali, propugnatori di un nuovo lesto che cambia assai poco, si giunga ad un punto di raccordo minimalista. Cili inglesi, d'altra parte, non sono più catafratti come ieri in isolano raccoglimento ma, una volta strappati i rimborsi tanto tenacemente rivendicati dalla Thatchcr, si dichiarano oggi pronti a giocare un ruolo attivo, purché pragmatico e non definito in nuovi patti, trattati e codicilli. 11 mutamento non è di poco conto, tuttavia le premesse delle controproposte pratiche britanniche trasudano un ottimismo taumaturgico quanto inaffidabile. Il suggerimento, ad esempio, di aggirare il diritto di veto che blocca la Comunità, attraverso un tacito ricorso all'astensione quando non vi e consenso, non potrebbe funzionare neppure in un condominio dei quartieri alti. Immaginare poi che senza un meccanismo più costrittivo di regole da prendersi a maggioranza sia possibile pervenire, secondo l'altra «proposta pratica» inglese, ad un completamento del Mercato comune entro cinque anni, si attaglia più alio humour che al pragmatismo anglosassone. Basta leggersi in proposito il libro bianco che Lord Cockficld, commissario della Cee per il mercato interno, ha presentato, affermando baldanzosamente che entro il 1992 merci, capitali e uomini circoleranno attraverso l'Europa «come vanno da 1 .andrà ad Edimburgo». Perche questo avvenga occorrono, per altro, almeno 330 misure che vanno da una unica aliquota Iva (che oggi spazia dal massimo del 38 per cento in Italia ad un minimo del 15 per cento nel Regno :cnio nel Regno | Unito) alla liberalizzazione piena del movimento dei capitali, dalla possibilità di aprire studi professionali, sportelli bancari, aziende di assicurazione ovunque in Europa alla piena partecipazione delle imprese ad aste e appalti pubblici senza discriminazioni di nazionalità. Solo il sostegno c l'impegno del Parlamento europeo, dei Parlamenti nazionali e dei governi, in un quadro istituzionale comunitario che renda attuabili scelte tanto incisive, potrebbe pero in effetti rimettere in molo l'inceppalo meccanismo comunitario. Di qui il valore che la presidenza italiana attribuisce alla limitazione formale del diritto di veto nei Consiglio dei ministri e al rafforzamento dei poteri di Strasburgo. Nel caso Milano mancasse questo obicttivo minimo, meglio un'aperta dichiarazione di fallimento che pompose dichiarazioni sulle future quanto inattendibili sorti della costruzione europea Mario Pirani Mario Pirani

Persone citate: Curzio Malapartc, Kohl, Mitterrand, Ronald Reagan