Piace ancora il ciclismo eroico?

Piace ancora il ciclismo eroico? Piace ancora il ciclismo eroico? In Francia è sempre l'avvenimento più atteso - Uas-' senza dei «big» italiani può significare disinteresse in casa nostra - Obiettivi di Visentini, Caroli e compagni Comincia domani da Vannes (Bretagna) per concludersi il 21 luglio a Parigi il Tour de France che una volta condizionava abbastanza l'estate degli sportoflli, creando rimorsi da sedia a sdraio, voyeurismo fantasioso da radio o realistico da prima tivù, persino rimpianto: oh non avere scelto per le ferie Brianfon, gran sede di tappa, invece di Alassio. Le gente quasi si vergognava del proprio sudore da villeggiatura, sudore di sole, e appressava assai il sudore da fatica del Tour de France. Dove gareggiavano fortissimi ciclisti italiani. J fortissimi ciclisti italiani non sono al via di questo Tour, il settantaduesimo di una serie cominciata nel 1903, con vittoria di Maurice Garin, valdostano di passaporto francese. Si può anche pensare che i fortissimi ciclisti italiani non esistano: per il Tour, almeno, per le esigerne del Tour. Moser è fortissimo ma anomalo; ansi, secondo noi, è più un fortissimo atleta che un fortissimo ciclista: e comunque Moser non va al Tour de France. Ritenendolo uomo onesto, siamo certi che a gennaio, quando il trentino ha annunciato (a partecipazione, ci credeva anche lui: però adesso questi pensieri non contano nulla. Vanno al Tour due squadre italiane e basta, la Carrera di Visentini e Bontempi, la Santini di Caroli (e di Van Impe, belga). Obiettivo massimo un terso posto di Visentini, un due-tre tappe in volata degli altri. Ma non è questo il tema, almeno oggi, a Tour ancora ••freddo*. Il tema è quello' della proposta di epica che la corsa francese formula, e di come essa ci interessi ancora, o non ci interessi più. Il Tour, che all'inizio del secolo Henri Desgrange, suo -padre-, definì «11 modo più veloce, fra quelli onesti, per fare ricco un povero», adesso non si presenta come grande opportunità di vita, palcoscenico di proficue acrobazie esistenziali, di successi economici. Altri sport, con altro denaro, lo hanno surclassato da tempo. La seduzione eventuale del Tour risiede nella sua premessa-promessa di fatica brutta e bruta, ferina, sporca, terribile. La stessa televisione italiana ogni anno — anche da quando (sono ormai due lustri, ultima maglia gialla quella di Moser 1975, per una settimana) mancano i nostri corridori da classifica al via della corsa — non può esimersi dall'offire un tre-quattro tappe di Grand Guignol ciclistico: quelle montagne assolate, sema nessuno che spinga, e durissime, interminabili; quelle imprese del celebre Hinault, del celebre Fignon o degli sconosciuti colombiani. Il problema è quello di sapere se e quanto la gente recepisce questo messaggio. Non diciamo la gente francese, che ama il Tour come un evento cultural-nazìonalistico imprescindibile. Diciamo l'altra gente, anche la nostra gente. Valgono ancora le suggestioni del Tour? O la gente non si sta invece indirizzando verso sport facili, belli, asettici, puliti, eleganti, carini, dove vengono distribuiti miliardi a chi fa con classe una certa cosa, non milioni a chi fa con sacrificio e masochismo una certa cosacela? Il problema del rapporto fra epica tradizionale e folla, nello sport, è dilatabile, può interessare anche -fuori-. La possibilità di una seduta televisiva davanti alle immagini del Tour assimilata ad una gita allo zoo esiste, va comunque messa avanti: con dolore, si capisce. Specialmente se l'assenza degli italiani da vittoria (con tutto il rispetto per la fatica di Visentini) ci esime dalla partecipazione cosiddetta tecnico-agonistica: e allora viene automatico isolare il Tour, osservarlo come fatica di alieni in un posto amatissimo ma lontanissimo chiamato ciclismo eroico. Gian Paolo Ormezzano Roberto Visentini «numero uno» del ciclismo italiano al Tour

Luoghi citati: Alassio, Francia, Parigi