Orni 40 anni di speranze e delusioni di Aldo Rizzo

Orni, 40 anni di speranze e delusioni Il 26 giugno 1945, a San Francisco, i capi di cinquanta Stati sottoscrissero la Carta delle Nazioni Unite Orni, 40 anni di speranze e delusioni Doveva essere, secondo Churchill, lo «Strumento Mondiale» per evitare nuove grandi guerre, ma fu subito indebolita dal grande scontro sul diritto di veto - La guerra di Corea e la crisi del Congo i momenti di maggior impegno dell'organizzazione mondiale - La «tirannide della maggioranza» e la disaffezione Usa - Specchio del globo e dei suoi umori, anche perversi, il Palazzo di Vetro rimane il punto di incontro per vedersi e parlarsi L'Onu compie quarant'anni. Nacque infatti il 26 giugno 1945. Nacque in America, sulla costa del Pacifico, dall'altra parte del continente, rispetto a quella che sarebbe poi stata la sua sede, il grande palazzo bianco sull'East River di New York. Oltre il Pacifico c'era l'Asia, dove ancora durava la guerra contro il Giappone, in attesa delle fiammate apocalittiche di Hiroshima e Nagasaki. L'Onu doveva essere lo «Strumento Mondiale» (come lo definì Churchill) per impedire nuove guerre, o almeno grandi guerre, fra grandi potenze. Il luogo di nascita fu San Francisco, e più esattamente il «Memorial Building». Lì, alle tre del pomeriggio, i capi delle cinquanta delegazioni sottoscrissero, uno dopo l'altro, la Carta delle Nazioni Unite, cioè lo statuto della nuova organizzazione. Il presidente americano, Harry Truman, che era succeduto da poche settimane a Franklin belano Roosevelt, era giunto la sera prima, salutato da un milione di persone lungo il percorso tra l'aeroporto di Hamilton Field e il Fairmont Hotel. Dopo la firma, tutti si trasferirono al Teatro dell'Opera, per la cerimonia conclusiva, e Truman disse: «Il fatto di possedere questa Carta è di per sé una cosa meravigliosa. E' pure causa di profonda gratitudine a Dio onnipotente, il quale ci ha condotti fin qui, nella nostra ricerca della pace». La conferenza si era aperta due mesi prima, il 25 aprile, e, dati i problemi in discussione, aveva fatto le cose abbastanza in fretta. Truman era particolarmente soddisfatto perché era riuscito a realizzare l'impegno internazionalista del suo predecessore, il quale, a sua volta, sentiva come un grande dovere dell'America riparare all'errore di un quarto di secolo prima, quando fu un altro presidente americano, Woodrow Wilson, a «inventare» la Società delle Nazioni, senza tuttavia riuscire a farvi entrare gli Stati Uniti. Ne era seguito il ventennio «isolazionista», cosi negativo per la politica mondiale, poi degenerata, per una serie di atti aggressivi, in un'altra grande guerra. Questa che si stava finendo di combattere in Asia sarebbe stata l'ultima? L'idea di un'organizzazione mondiale, capace di preservare la pace, era ormai vecchia di almeno due secoli, cioè dai tempi dell'Illuminismo. L'abate Saint-Pierre e il grande filosofo Immanuel Kant vi avevano dedicato pagine famose. Truman preferiva pensare a un precedente ancora più lontano, a Enrico IV di Francia che, nell'Europa del primo Seicento, prostrata dalle lunghe guerre di religione, aveva introdotto un principio di tolleranza «laica» e aveva coltivato il progetto di una federazione europea di Stati sovrani e pacifici. Enrico, a quel che si dice, intendeva parlarne con gli altri monarchi, «quando fu disgraziatamente assassinato», come annotò lo stesso Truman nelle sue memorie della presidenza. La conferenza di San Francisco affrontò in particolare il problema del diritto di veto delle grandi potenze, chiamate a far parte del Consiglio di sicurezza. Il problema angustiava i piccoli Paesi, che temevano o prevedevano l'inutilità sostanziale del loro far parte dell'Assemblea generale, se poi ogni decisione veniva presa, o bloccata, altrove. Per opposte ragioni, preoccupava i Paesi più importanti, e in primo luogo i due più importanti, gli Stati Uniti e l'Unione Sovicti- ca. Il Senato americano non avrebbe mai approvato uno statuto che mettesse gli Stati Uniti in balia di mutevoli decisioni altrui (e Truman pensava con terrore al precedente della Società delle Nazioni). Quanto a Stalin, che seguiva la conferenza dal Cremlino, c'era un altro precedente, quando la Società delle Nazioni, appunto, espulse l'Urss per l'aggressione alla Finlandia: qualcosa di ancor più inammissibile, ora che l'Urss era una grande potenza mondiale. In realtà, tutto era stato già risolto a Yalta, nella celebre conferenza di febbraio, quando avevano provveduto gli inglesi a mettere a tacere le preoccupazioni di Stalin. Il presidente Roosevelt, intervenne Eden, non aveva forse sostenuto la necessità di un diritto di veto delle grandi poten¬ ze? Churchill chiuse il discorso osservando che gli Stati membri delPOnu, e a maggior ragione i più importanti, «avrebbero continuato a discutere tra loro ipropri affari». Churchill, in realtà, era fortemente scettico circa il nuovo «Strumento Mondiale». Se il 26 giugno inviò un telegramma di congratulazioni al capo della delegazione britannica, Lord Halifax, per «la qualità dei risultati che si erano conseguiti», contemporaneamente osservò nei suoi diari che meglio sarebbe stato articolare l'Orni in una serie di Consigli, ciascuno competente per una regione del mondo, con un ristretto Consiglio superiore, composto dei loro rappresentanti 45ÌÙ eminenti. L'affollarsi di Stati grandi e piccoli di ogni parte del mondo nell'Assemblea generale gli sembrava la premessa di «una babele». E' da notare che all'Assemblea furono ammesse con un voto autonomo, oltre a!l'Urss in quanto tale, due Repubbliche sovietiche: la Russia Bianca e l'Ucraina. Stalin, a Yalta, aveva chiesto addirittura che vi partecipassero tutte e sedici; al che Roosevelt aveva controproposto l'ammissione dei 48 Stati americani, e Stalin non aveva più insistito. Tornando al diritto di veto, l'Urss pretendeva, a San Francisco, che esso si estendesse fino alla possibilità, per i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza, di bloccare la stessa discussione di un argomento. Questo sembrò eccessivo al segretario di Stato Stettinius, che tuttavia non riuscì a convincere Molotov. Fu necessario che Truman si mettesse direttamente in contatto con Stalin, che alla fine annullò la richiesta. Il Consiglio potè quindi affrontare qualsiasi tema, e l'Urss si accontentò di porre il suo veto al termine della discussione: lo fece 103 volte tra il 1945 e il 1965. Non potè farlo nel 195Ù, dopo l'invasione della Corea del Sud, perché il rappresentante sovietico si era ritirato momentaneamente dal Consiglio, che così fu in grado di condannare l'aggressione nord-coreana. Successivamente il delegato di Mosca riprese il suo posto per bloccare ogni decisione, ma gli Stati Uniti riuscirono a far votare dall'Assemblea generale una risoluzione che consentiva all'Onu iniziative concrete, in caso di crisi grave, anche se il Consi¬ glio di sicurezza era paralizzato dal veto. Cosi fu possibile organizzare l'intervento delle Nazioni Unite in Corea e, in fasi successive, l'invio dei «caschi blu» a Suez e nel Congo. Sono a tutt'oggi i soli atti concreti, di un certo rilievo, compiuti dall'Onu. Nel frattempo, la composizione dell'Assemblea generale è fortemente cambiata, per l'ingresso di una miriade di nuovi Stati indipendenti del Terzo Mondo. Da molti anni, ormai, gli Stati Uniti non dispongono più di una maggioranza favorevole, e accade invece abbastanza spesso che la loro politica sia messa sotto accusa. Questo ha portato a più riprese a una crisi seria tra l'America e l'Onu. Già nel 1974, il delegato di Washington, John Scali, insorse contro «la tirannide della nuova maggioranza». E nel 1983 fu proposto polemicamente che l'Onu si trasferisse, per sei mesi l'anno, a Mosca. Il sindaco di New York, Koch, paragonò addirittura le Nazioni Unite «a una fogna», pur aggiungendo che anche le fogne sono necessarie. Del resto, l'immagine dell'organizzazione mondiale era andata progressivamente scadendo anche altrove, in Occidente: de Gaulle l'aveva sarcasticamente definita «ce machin-là», quel coso. Ora che l'Onu compie quarantanni, tutte queste voci, attive e passive, entrano nel bilancio: le cose che ha fatto e quelle che non ha fatto, le iniziative coraggiose e gli atti di prudenza, o a volte di viltà. Certo, chi aveva sperato, quarantanni fa, in uno strumento operativo di pace, oggi può dirsi francamente deluso. Ma forse quelle speranze erano eccessive. L'Onu è lo specchio del mondo, dei suoi umori, anche perversi, dei suoi rapporti di forza. Non può cambiare il mondo che, tuttavia, sarebbe più povero e più brutale senza l'Onu, senza la possibilità, che essa comunque offre, d'incontrarsi e parlarsi. Aldo Rizzo San Francisco. Il ministro degli Esteri cecoslovacco, Jan Masaryk, firma la Carta delle Nazioni Unite il 26 giugno del 1945