Sono capolavori quei «souvenir» per milord

Sono capolavori quei «souvenir» per milord IN MOSTRA A ROMA I DIPINTI SETTECENTESCHI DEI FRATELLI SABLET Sono capolavori quei «souvenir» per milord ROMA — La furia delle mostre, collegata nel casi migliori a velleità di politica culturale e nel peggiori a fini clientelar!, imperversa in moltissimi musei e gallerie dipendenti dal Comuni. Ma dove è addirittura stravolto 10 scopo primario di un museo (che è ovviamente quello di conservare e di esporre le cose che possiede) è forse nel Museo di Roma a Palazzo Bruschi, Il cittadino fiducioso che in questi ultimi anni si fosse mosso per vedervi e studiarvi un quadro di Pannini o di Batoni, ne sarebbe stato impedito da esposizioni di fotografi cecoslovacchi o grafici ungheresi, adunanze di centri africani, commemorazioni di Petrolini, giubilei di Dario Fo, da imprese che, anche quando erano In sé buone e pertinenti al museo, ne intralciavano senza riguardi la vita. Sale chiuse o ingombre di masserizie improprie, e poi tutto l'arredo delle mostre effimere, pannelli, tramezzi, paratie volanti, sagome, gigantografie: qui troppe volte ci è apparso quasi tenacemente ricercato quel misto di vetusto e di provvisorio che è 11 senso comunicato da tanti musei italiani, proprio l'opposto di quello che dovrebbero ispirare. Cesseranno questi abusi con il cambio della Giunta voluto dagli elettori romani? O la tendenza a persistere nelle cattive abitudini farà si che muteranno solo di colore? Nel panni del sopraddetto cittadino slamo personalmente creditori verso l'assessore uscente di numerose visite a vuoto e di conseguenti travasi di bile, e tuttavia ài momento del congedo dobbiamo riconoscere che con l'ultima mostra da lui ospitata nel Museo di Roma ce ne ha in buona parte risarciti. Certo anche questa invade sgarbatamente spazi altrui, ma ce lo fa dimenticare la sua importanza perché ci restituisce la 'personalità di un artista che a Roma trovò se stesso e ci dà intera la misura di una poesia sottile ma intensa, maturata in quello straordinario crocicchio internazionale che fu la Roma del '700. A dire il vero la mostra è intitolata a due artisti, i fratelli Sablet, Jacques e Francois, di origine svizzera, vissuti a Roma (soprattutto Jacques) e in Francia (soprattutto Francois). A partire dalla morte di Jacques nel 1803 e fino a poco tempo fa le personalità del due fratelli si sono confuse e persino la firma su alcuni quadri ha dato luogo a malintesi; oggi i lavori di Anne van de Stadt e questa mostra da lei curata sembrano dire in proposito una parola conclusiva. E l'attivo è tutto sul conto di Jacques che viene cosi ad acquistare contorni ben definiti e di notevole rilievo tra i pittori del tempo, mentre Francois diminuisce ad autore di ritratti provinciali e di mediocri paesaggi. Del due, Jacques, nato nel 1749 a Morges nel Cantone di Vaud, era 11 minore. Venne a Roma nel 1775 al seguito di Vien, padre del neo classicismo parigino, col quale aveva studiato all'Académia, e vi rimase quasi vent'arini, fino al 1793, quando gli avvenimenti politici lo costrinsero a trasferirsi a Parigi. Jacques ci offre un eccellente esemplo di come una vera natura d'artista possa, con l'aiuto dello spirito del tempo, trar profitto anche dal propri limiti. I suol erano la scarsa cultura e l'imperfetto dominio del disegno, difetti che gli precludevano la pittura di storia, allora all'apice delle ambizioni di un artista. Sablet dopo alcuni tentativi seppe rinunciarvi per darsi alla pittura di genere. Due quadri, iti uno assistiamo al ritorno a casa d'un povero padre di famiglia italiano che si è fatto salassare per un po' di pane e nell'altro a una tarantella di lazzaroni napoletani, ci mostrano l'intento di Sablet di sposare 11 patetico moralismo di Greuze alla descrizione d'un popolo vicino alla natura quale appariva allora la plebe italiana. Ispirati da Rousseau dal semplice desiderio di un souvenir, 1 turisti ricercavano le scene di costume popolare italiano; quei due quadri furono commissionati da Gustavo III di Svèzia, ma chi non poteva spendere tanto trovava gouaches, acquarelli, disegni e stampe. Sablet rifornì anche questo mercato minore romano che avrebbe avuto più tardi in Bartolomeo Pinelli uno dei suoi più caratteristici rappresentanti. A Roma i «milord!, in visita si facevano fare anche il ritratto: ritratti singoli o di gruppi familiari, «cont'ersaffon pieces-, come si chiamavano in Inghilterra, scene di conversazione. E' in questo genere che un petit maitre. come Sablet arriva alla grandezza. Batoni aveva fissato, se non inventato, il tipo del ritratto per i Grands Tourists, raffigurati davanti a monumenti statue antiche o sullo sfondo della campagna romana: erano ritratti aristocratici, raffinati, nei quali la nobiltà di sangue dei personaggi veniva confrontata da un lusinghiero, prodigioso pennello con la nobiltà spirituale delle statue antiche e del paesaggio classico. Batoni mori nell'86, ma quale abisso di tempo sembra separare i due artisti! Qualcosa di più imperioso e decisivo di una moda ha mutato oltre le fogge i progetti degli uomini, la sensibilità,- lo sguardo. Il fare un po' stentato di Sablet pare averlo colto con maggior prontezza di pittori a lui affini e più padroni del loro mezzi. Non proprio ultima tra le conseguenze dei successi del Terzo Stato è la voga dei ritratti e delle scene di conversazione di piccolo formato, non solo per ragioni commerciali, c'era da soddisfare la richiesta d'una clientela più vasta e meno ricca, ma perché il Terzo Stato detestava allora la pompa. In questa riduzione Sablet trovò la misura del proprio genio, svizzero, borghese e protestante. L'89 spense le luminarle del fasto, Sablet lo sostituì col sole. La ferma luce del suol quadri sorprende le sue figurine prima che riescano a mettersi in posa. Il pingue giovanotto che accaldato e stanco della passeggiata si riposa su un marmo del Palatino non fa in tempo a raccattare il cappello e a rimettersi gli occhiali: resta 11 imbambolato a fissarci con i suoi grand! occhi da miope. Non ce la fa l'ufficiale del dragoni a impugnare più marzialmente la spada o la coppia di coniugi a interrompere la grave conversazione per guardare 11 pittore; e neppure i principi Borghese a prendere un'aHure confacente al loro rango. Questa vita colta con schietta immediatezza ci comunica un sentimento che credevamo appartenere a tempi più vicini, qualcosa che si potrebbe anche chiamare ansia, e quelle scene di conversazione, come frammenti di una storia, sembrano invocare il narratore che ne completi il senso. Forse nessun pittore si era spinto cosi vicino al romanzo. Mario Spagnol Jacques Sablet. «Ritratto di famiglia con il Colosseo» (tela, Museo cantonale di Losanna)