Riprovando il passaggio in India di Stefano Reggiani

Riprovando il passaggio in India UN FESTIVAL RIPROPONE LA DIFFUSA PASSIONE D'ORIENTE Riprovando il passaggio in India Dice l'indologo: «Guardarsi da una nuova voglia di esotismo» - Mostre e superfeste in Europa e in America, mentre Pesaro discute di cinema -1 registi del rinnovamento: «Non c'è conflitto tra religione e ideologia» - Mrinal Sen come un guru internazionale: spiega come il suo Paese è cambiato e perché molto non è cambiato - Tra mutamento e continuità, pesa una grande tradizione DAL NOSTRO INVIATO PESARO — In fondo a Passaggio in India, il romanzo di Forster, i duepersonaggi contrapposti, l'indiano e 10 straniero, vorrebbero essere amici, ma sentono che non è il momento, dovrà passare prima il colonialismo, col sospetto e la soggezione; la natura e il cielo sembrano gridare: «Non ancora, non qui.. Ma tanto tempo è passato, dopo l'interesse imperiale verso l'India, c'è stato il pellegrinaggio disarmato dei rogassi degli Anni Sessanta, forse il momento del vero incontro è arrivato, forse adesso è in molti luoghi dell'Occidente, da Parigi a New York a Washington, dalle librerie alle sale cinematografiche, alla mostra di Pesaro col suo maestoso fiume di film indiani e la sua ambasceria di intellettuali indiani. Ma si comincia a comprendere che il lavoro sarà lungo. L'altro giorno, in una delle due sale di Pesaro dove si proiettano i film indiani degli ultimi ventanni (piccola scelta in una produzione sterminata) uno spettatore s'è 'alzato imbarazzato per avvertire il regista Shyam Benegal di un particolare: «Scusi, ma a un certo punto del suo film si vede sulla porta di una casa contadina uria croce uncinata. Anzi, la protagonista porta una piccola croce uncinata disegnata sulla spalla. Ho visto bene?». E Benegal, che ha 51 anni e un'adolescenza trascorsa a vedere film americani e italiani, Tyrone Power e Ladri di biciclette, ha sospirato: «Si tratta esattamente di una svastica, un segno nostro antichissimo che ha valore di buon augurio. Capisco che poi l'Europa l'ha cambiato...». In platea i più saputi alzano le spalle in segno di fastidio, oVJOf. rMvUa irt&ófiym i che adesso il confronto è cutturale e non può piùfprp^ar^ si all'esotismo. Uno dei maggiori studiosi europei dell'India, Oscar Botto, che tiene cattedra di indologia a Torino ed è membro delle più esclusive accademie straniere, dà la parola d'ordine: «Le mode sono fenomeno superficiale, bisogna imparare a capire». Lo spettatore di Pesaro fa 11 conto dell'indianità die ha invaso o sta per invadere l'Occidente: a Parigi grandi feste indiane, poesia e cinema i?idiaìio al Beaubourg da settembre, mostra d'arte indiana al Grand Palais l'anno prossimo; a Washington superfesta del folclore indiano con la più completa mostra di scultura indiana; a New "orfc mostra antologica am- Izlosissima dal semplice ti)lo: India!. In Italia si ristampa in fretta Forster, mentre si attende per settembre la traduzione cinematografica di Lean, si traduce il primo libro di The Raj Quartet di Paul Scott, di cui si aspetta la trionfale riduzione televisiva (l'ha comprata Berlusconi?), e intanto la Rai, sollecitata dall'esempio di Pesaro, riprende opportunamente il documentarlo sull'India di Rosseliint che nel '59 volle pur dire qualcosa, come itivito a un modo nuovo di vedere il subcontinente, le sue tradizioni, i suoi monumenti. Impazienze /( problema è il passato, per gl'indiani e anche per noi. Botto ammette: «Questa nuova fase dell'interesse per l'India potrebbe essere solo la sofisticazione di una voglia Inappagata di conquistare e sottomettere una diversità, 11 tentativo di darle veste culturale». Botto, che sta per pubblicare Z'Artasastra di Kautllla, il più antico testo ài economia politica (II secolo à. C.) rappresenta per paraàosso 11 passato, la granàezza solenne della tradizione indiana; i registi, gli attori, l critici che hanno occupato un albergo di Pesaro sono il presente e vogliono divlàere con noi le loro contraààtzlont, i nostri errori. Come è possibile che dia frutti 'equilibrati l'incontro tra una cultura dialettica votata al mito del progresso e insieme alla distruzione, come la nostra, e una cultura circolare che sembra portare da sempre il peso delle sue eterne verità? Il regista keralese John Abraham proclama: «Mf sento un punto di passaggio nella continuità». Afa lui è nato cristia- no e porta le nostre impazienze, non per nulla il /cerala ha una forte componente cristiana, due partiti comunisti e una storia di divisioni. L'altro keralese Adoor Gopalakrlshnan, un regista di grandi qualità che ha reinventato ti cinema politico Ridiano, cerca di spiegare: «Non c'è conflitto, l'induismo non è una religione totalitaria, solo un'aggregazione di saggezze e può comprendere nel suo seno anche gli atei e le speranze marxiste». Secondo Botto II Kerala è un caso a parte in India,.la mentalità religiosa viene da troppo, lontano per essere alterata dalla ideologia occidentale nelle grandi masse popolari. Contano piuttosto l bisogni, le Ingiustizie, «anche se la povertà e il senso della morte sono sentiti In modo assai diverso che da noi». In India, dice Botto, si può morire miserabili, ma non infelici, perché si è consapevoli di aver svolto una parte. Gopalakrlshnan non è l'interlocutore Ideale di questa storia già compiuta, però non rinuncia ella tradizione: «E" vero, l'Occidente ha una cultura aggressiva, ma sarà difficile battere 11 nostro antico passato, quasi impossibile distruggerlo. E' una cultura che si rigenera dall'interno e non teme l'atomica, non la vuole anche se può costruirla». Il pensiero va Il regista Mani Kaul, grande studioso di filosofia e di tradizioni Indiane, piacerebbe di. più a Botto e magari al giovani registi europei: •Conta solo 11 rinnovamento del linguaggio, l'analisi formale della nostra storia, appiccicarvi sopra un'etichetta politica di propaganda non serve a niente». Mormora tra sé, irritato: «Non vorrei diventare come certi registi sudamericani». Vuol dire: un campione del Terzo Mondo, incline alla nobile retorica politica, ma quasi sempre sconfitto. Dice un'antica norma della danza indiana: «Dove il pensiero va, 11 sentimento lo segue e dove va 11 sentimento lì c'è il Ousto estetico», il rasa, culmine dell'esperienza artistica. Che Kaul, sotto l'apparenza analitica, sia un mistico? Mrinal Sen, che è considerato il maggior regista indiano dopo Rag ed è comunque il più gran frequentatore indiano di festival, è stato anche più duro con Kaul, sostenendo che su questa via o si diventa mistici o fascisti, magari tutti e due. Kaul si stizzisce: «E' un pericolo che corre lui, semplifica troppo, si sovrappone alla realtà»; ma capisce che per ora Sen ha la meglio. Possiamo considerare Mrinal Sen come uno straordinario esempio di indiano post-occidentalizzato, cioè universale. Nato come traduttore di Capek, studioso di Chaplln, militante comunista è diventato ora, dopo tante opere di realismo so¬ ciale, di cinema politico alla maniera della scuola di Calcutta, una specie di guru cinematografico internazionale. E' bello vederlo nella sua stanza d'albergo, mentre riceve gli ospiti: camicia indiana bianca di bucato, la fedele collaboratrice inglese che prende ordini, l'aria paterna da grande medico dentista, t visitatori come rispettosi clienti. Dice Sen. accovacciato sul •letto coi piedi nudi: «Viviamo in un mondo troppo compresso perché esistano frontiere culturali e si possano teorizzare cinema nazionali. Però può darsi che voi occidentali abbiate verso l'India dei pregiudizi che noi ■non abbiamo nei vostri confronti. Può darsi che vi faccia velo un certo gusto dell'esotismo e che anche la nostra religione vi sembri un fatto esotico». ; Ricorda Sen alcune cose \semplici: che la scienza e la tecnologia sono arrivate tar\dt nel suo Paese, che non c'è mal stata in India una rivolta culturale contro la religione come in Europa, che non c'è stata nessuna rivoluzione, che una nuova cultura sta emergendo ma che le campagne sono molto arretrate, che metà dell'India è senza energia elettrica, che anche l'Oriente conosce la guerra. In queste condizioni Sen si sente autorizzato- a fare il salto radicale verso la cittadinanza del mondo, non il «cosmopolitismo». Racconta il suo nuovo film che sarà una coproduzione europea e offrirà una prova del suo nuovo sincretismo culturale: «SI chiamerà Genesis e sarà una favola sulla civiltà umana che ha sempre riprodotto, a Est come a Ovest, un sistema di sfruttamento in cui t poveri non sono mai stati beati, ma solo sconfitti. Spiegherò che l'arte, come diceva Vittorini, deve cambiare la verità». Sen cita i poveri di Miracolo a Milano che potevano volare anche sulle scope. Certo, molta India, in questo confronto sul metodo, è rimasta fuori. Per esemplo l'India delle tradizioni familiari, l'India delle donne. «Ma che cosa pensa delle statistiche di Nuova Delhi, oltre duecento mogli bruciate' negli ultimi mesi in finti suicidi perchè 1 mariti volevano risposarsi con donne dalla dote più cospicua?». Alla domanda pubblica del direttore della mostra, Micclchè, la quasi unica regista indiana Prema Karanth, meritevole autrice di Pnanlyamma, ha tuttavia sospirato: «La liberazione delle donne deve essere una con- • qulsta interiore». Stefano Reggiani II «Gandhi» di Richard Attenborough ha rilancialo la moda dell'India al cinema: un punto di vista occidentale che gli indiani contestano