Bernstein al settimo cielo

Bernstein al settimo cielo A Santa Cecilia ha diretto due volte di seguito il suo Songfest Bernstein al settimo cielo «Prima» italiana del lavoro intero, dodici poemi di autori scelti in un arco di 300 anni, per documentare la storia americana Dal podio, ha spiegato la filosofia della giovane cultura Usa ROMA — Presidente onorarlo dell'Orchestra di Santa Cecilia dal 1683, Léonard Bernstein è tornato a dirigerla In un concerto interamente dedicato ad una sua composizione, il ciclo di poemi americani per sei cantanti e orche-' stra composto in occasione del. secondo centenario dell'Indipendenza degli Stati Uniti (1976) e riunito sotto il titolo di Songfest. Evidentemente al settimo cielo per aver l'occasione di eseguire l'intero lavoro In prima italiana, Bernstein ha voluto, in un certo senso, strafare nel proporlo per ben due volte all'ascolto del pubblico: dapprima interrompendolo con i suoi commenti in lingua italiana, poi, dopo l'intervallo, eseguendolo tutto di seguito. Si tratta di dodici poemi di autori diversi scelti In un arco di trecento anni per do-J cumentare un vasto periodo, della cultura americana.' L'intonazione espressiva di queste poesie (di O'Hara, Whttman, Poe, Hughes, Jordan e altri) cui si aggiune una breve prosa grottescosurreale di Gertrude Stein, è molto diversa e varia, dal canto di protesta a quello d'amore, dall'ottimismo positivo allo scettico sarcasmo, sino all'umorismo e al rapimento estatico in Israfel di Poe che conclude 11 ciclo evocando l'angelo divino che canta cosi «follemente bene» da ammaliare perfino le stelle. Dal primo all'ultimo di questi poemi, ha spiegato Bernstein, corre un filo comune: è il senso relativistico della cultura americana che sa di essere giovane, non pretende di dire cose assolute, ma obbedisce ad un bisogno espressivo che sente come un dovere morale. Tutti gli artisti americani — ha spiegato Bernstein — hanno la consapevolezza di appartenere alla minoranza di una cultura d'emigrazione e operano di conseguenza: fare qualcosa di grande, come recita la prima poesia del ciclo scritta da O' Hara, vuol dire far ••qual¬ cosa di piccolo e importante e non Americano^. In questo spirito Bernstein s'è accinto a celebrare la cultura, più che la nazione degli Stati Uniti: ha immaginato un piccolo Incontro di sei amici che-si alternano da soli o in diverse combinazioni nel canto dei vari poemi. L'atmosfera è quella d'una riunione conviviale, senza toni enfatici o trionfalistici; e l'orchestra sinfonica riesce a mantenere tale clima, anche se talvolta mette in opera tutte le sue risorse di potenza sonora. E' questo, forse, il più riuscito tra i numerosi paradossi, che a detta dello stesso autore, caratterizzano Songfest. Lo stile con cui Bernstein intona i dodici poemi è quanto mai eclettico: va dal Jazz al music-hall, dal Lied tardoromantico a Stravinski. Si sente la profonda cultura sinfonica di Bernstein e insieme la sua capacità di assimilarvi gli spunti più disparati dall'opera lirica alla mu¬ sica pop, da Mahler a Blng Orosby, da Ciakovsky all'Aida presente con una quasl-citazlone in Ztsl's lament e combinata, ha detto Bernstein, con un «tocco di danza del ventre». Questo eclettismo sinfonico può sconcertare l'ascoltatore che rischia talvolta di smarrire l'orientamento nella vltalistica sovrapposizione di tanti stili diversi. Meno vario è, invece, 11 trattamento vocale, seppure anch'esso trapassi dal recitativo declamato al canto spiegato e persino alla coloratura in un'aria del soprano (A Julia de Burgos). Ad ogni modo, Bernstein sa mantenere sempre piuttosto tesa l'attenzione dell'ascoltatore: le singole pagine sono brevi, opportunamente contrastanti sia all'esterno che all'interno. Capita sovente che il colore d'un'orchestra trattata con autentico virtuosismo rompa: efficacemente il monocromo d'un canto uniforme con saettate di luce improvvisa; e sono forse 1 momenti più autentici, quelli in cui Bernstein, lasciati i toni troppo seriosi, si abbandona al vitalismo della sua vena ritmica, al gusto estroverso delle sonorità luminose e squillanti. Il pezzo è piaciuto, e l'orchestra, 11 direttore-autore e i sei cantanti (Lucilie Beer, Oweneth Bean, Charles Walker, Kurt Ollmann, Chester Ludgln, Clamma Dale) sono stati intensamente applauditi da un pubblico meno folto di quanto ci si potesse attendere e ulteriormente diradatosi dopo l'intervallo. Paolo Gallatati Uomini Bernstein con Lucilie Beer e Gamma Dale, applauditi da un pubblico diradilo

Luoghi citati: Roma, Stati Uniti, Usa