Ultimi bagliori dell'Impero

Ultimi bagliori dell'Impero UN GENIALE STUDIOSO DELLA TARDA ROMANITÀ' Ultimi bagliori dell'Impero Il periodo tra III e IV secolo è comunemente definito della «decadenza» - Vi fu invece una stupefacente vitalità Sulla trasformazione profonda delle arti figurative, della società, dello Stato e della religione, è illuminante il testo dell'archeologo norvegese L'Orange, ora tradotto - La Roma di Costantino come la Russia di Stalin? Il caso dell'archeologo norvegese Hans Peter L'Orange conferma, ancora una volta, come la vera sclema e il profondo sapere (e i radicali mutamenti nella visione del passato da essi sollecitati) crescono e si svolgono nell'ombra, al riparo dello schiamazzo pubblicitario, immuni da quei fuochi della ribalta da cui, invece, sono sostenuti i personaggi della sottocultura. Può anclie accadere che un grande studioso, dopo essere vìssuto per decenni nel silente hortus conclusus del suol studi, cambi d'improvviso il registro della sua esistenza, lanciandosi nella mondanità e diventando un attore che recita il personaggio di se stesso; ma anche in casi del genere (un esempio clamoroso è stato quello di Bernard Berenson) ciò che resta valido dei suoi studi è quanto venne realizzato nel periodo, mi si conceda il termine, monacale. Hans Peter L'Orange non subì dirottamenti del genere; nato ad Oslo nel 1903 morì ottantenne due anni fa, dopo essere stato professore nell'università della capitale norvegese e aver fondato, nel 1959, l'Istituto di Norvegia a Roma. Chi lo conobbe di persona (io lo vidi un palo di volte) era colpito dalla sua estrema riservatezza, dalla sua parola scarsa ma preci¬ sa; e si che egli possedeva tutti i numeri per ascendere alle più alte vette della fama internazionale. Cervellini In un cinquantennio di attività, l suol scritti (pubblicati in cinque lingue) hanno profondamente cambiato la nostra vistone della tarda antichità e del primo Afe-, dfoeuo. Ciò che in essi colpisce (e specie noi Italiani, bersagliati come slamo dai logogrifi sintattici, dalle presunzioni letterarie e dai fumosi contorsionismi ideologici di molti dei nostri luminari dell'arte antica e non antica), ciò che colpisce è l'estrema semplicità dell'esposizione (la semplicità cioè dell'autentico sapere e della buona coscienza) unita a una straordinaria capacita di sintesi storica. E questo, alla luce dei dati economici, sociali, della legislazione, degli avvenimenti di storia diacronica: ma senza ricorrere all'ausilio di quel marxismo volgare che, in taluni cervellini dell'archeologia nostrana, è venuto a sostituire l'altra clavls universale (per non dire apriscatole), quella dellidealismo crociano. Uno dei testi maggiori dell'Orange viene ora pubblicato dalla Jaca Book: è L'Im-' pero Romano dal III al VI secolo, forme artistiche e vita civile. L'edizione che ne ebbi sottomano anni fa, quando lessi questo libro fondamentale, era pubblicata dalla Princeton University Press nel 1965, e tradotta dall'originale norvegese apparso ad Oslo nel 1958. SI trattava di un volumetto di appena 131 pagine, incluse le illustrazioni; l'edizione italiana è diventata un sontuoso libro di 208 pagine, in grande formato e provvisto di un ricco apparato illustrativo. Oltre a un'introduzione, dovuta a uno del massimi studiosi di archeologia oggi in Italia, Antonio Giuliano, il volume include anche un saggio dell'Orange sulla zona floreale dell'Ar& Pacis e sulla fortuna che essa ebbe anche nel Medioevo. Rileggendo il testo, se ne conferma la sua validità, anche se oggi, nel 1985, la visione politica dell'autore risente delle sue esperienze e conoscenze generazionali; nel periodo di profondi sconvolgimenti, seguiti da una ristrutturazione, egli scorge il ' disintegrarsi della società tradizionale dell'Impero, il Principato, che cede ad un nuovo ordine, il Dominato. Alla luce di quel che è accaduto nel nostro secolo, è lecito affermare che allo Stato autoritario segue, con la restaurazione della seconda metà del III secolo, uno Stato totalitario. E' sempre pericoloso fare confronti tra diversi momenti della storia, ma è da ricordare che alla profonda crisi economica, sociale, religiosa, culturale che sconvolse l'Impero Romano dal 230 al 270 circa si intrecciarono fermenti di identità nazionale in diversi tra i moltissimi popoli sui quali dominava Roma. E' il caso di Vittorino e di Tetrico in Gallio, seguito più tardi da Carausio in Britannia, per non dire di Odenato e Zenobla a Palmira. Che questi personaggi vengano chiamati usurpatori o che li si battezzi con altro nome, resta il fatto che essi furono sollecitati da forze centrifughe e di distacco dal corpo dell'Impero, secondo modi molto simili a quelli che, nell'Impero Russo tra l'Otto e il Novecento, portarono alla secessione della Polonia, dei tre Stati della Transcaucasia, della Finlandia, degli Stati Baltici. Sia nella Roma di Aureliano, Diocleziano e Costantino, sia nella Russia di Lenin e di Stalin, la restaurazione dell'Impero è avvenuta in modi affini, con la ristrutturazione, strettamente centralizzata, dell'organismo statale, la soppressione delle autonomie locali, il controllo ferreo delle idee e della loro circolazione, il promuovere a infrastruttura ideologica un sistema religioso o laico che da minaccia rivoluzionaria si trasforma in strumento di potere; è quanto accadde con il Cristianesimo a Roma e con il Marxismo in Russia. Mutatls mutandis il parallelo non è abusivo, anche considerando che i fondamenti primi della società e della cultura russe derivarono da quelli della Roma restaurata e totalitarizzata nella sua versione finale e più completa, cioè la Costantinopoli bizantina. Ma su questo argomento si potrebbe scrivere un enorme libro; meglio rilevare come il periodo tra il III e il IV secolo, che nell'accezione comune passa come decadenza, vede invece il risorgere dell'Impero con una stupefacente vitalità, tale da farlo esistere per altri undici secoli: la caduta finale dell'ultimo lembo, la capitale dell'Impero d'Oriente, Costantinopoli, avviene il 29 maggio 1453. Sulla trasformazione profonda che, in architettura e nelle arti figurative, si riscontra nell'epoca della transizione, il testo dell'Orange è davvero illuminante, tale da non consentire, per la ricchezza di spunti, un riassunto neppure dt sfuggita. Ma i suoi punti essenziali vanno ravvisati nel progressivo prevalere dell'effetto d'insieme sulla qualità del dettaglio. Un prevalere che (combinato con l'importanza assunta negli edifici dalla struttura simmetrica e dalle proporzioni grandiose) risente del sempre maggiore ruolo che tocca ora alla cerimonia, all'etichetta di corte, al carisma simbolico di cui viene investito l'Imperatore, che da Costantino in poi è l'intermediario tra Dio e l'Impero. Alla componente simbolica va fatto risalire anche il tramonto del ritratto naturalistico: in monete, marmi e porfidi i tratti fisionomici cedono al gesto, all'impostazione della figura, agli attributi che essa reca, sì che (sino ad almeno il Duecento) tutti i ritratti dei potentati si rassomigliano, tanto a Costantinopoli quanto (per l'enorme influsso esercitato dall'Impero d'Oriente) nell'Europa Occidentale. Spiritualità E infine, è questa l'epoca in cui il dato visibile cede all'invisibile, specie nel corpo umano, che non viene più descritto secondo i principi dell'anatomia bensì quale veicolo della spiritualità, accentuata dalla ripetizione (come sarà nei mosaici ravennati) o dalle litanie liturgiche. Ma, ripeto, questo dell'Orange è un testo di tale complessità da doversi leggere con estrema lentezza e attenzione. Consiglierei di accompagnarlo con l'esame del catalogo della splendida mo-> stra allestita nel Metropolitan Museum di New York tra la fine del 1977 e l'inizio dell'anno seguente, sotto il titolo Age of Spirituali!,}'. Mostre e Catalogo furono realizzati sotto la direzione di un altro grande storico dell'arte tardo-antica e altomedioevale, Kurt Weitzmann; nessun commento al testo dell'Orange (che stranamente non faceva parte neppure del Comitato d'onore della manifestazione) è più valido di questa raccolta, eccezionale e unica, dei tesori lasciatici dalla fine del mondo antico. Federico Zeri

Persone citate: Antonio Giuliano, Bernard Berenson, Federico Zeri, Hans Peter, Kurt Weitzmann, Lenin, Odenato, Stalin