Usa, stipendi d'oro per manager-star

Usa, stipendi d'oro per manager-star Punte di undici miliardi e mezzo di lire l'anno, medie di un miliardo e mezzo hanno suscitato una tempesta nel Paese; «Furti legalizzati» Usa, stipendi d'oro per manager-star DAL NOSTRO CORRISPONDENTE NEW YORK — Gli stipendi sono da capogiro. Beone Pickens, presidente della Mesa Petroleum, l'anno scorso ha percepito 4 milioni e 200 mila dollari, circa 8 miliardi e 400 milioni di lire. Barry Diller, amministratore delegato della casa cinematografica Paramount prima del passaggio alla Twentieth Century Fox, ha ricevuto 3 milioni e 416 mila dollari, 6 miliardi e 830 milioni di lire. John Gutfreund, presidente della agenzia di Borsa Phibro Salomon, ha intascato 2 milioni e 338 mila dollari, quasi 4 miliardi e 800 milioni di lire. A Roger Smith, l'amministratore delegato della General Motors, la più grande azienda automobilistica del mondo, sono andati 1 milione 842 mila dollari, poco meno di 3 miliardi 680 milioni di lire. Ma il record lo ha segnato Oliver Boileau, il capo della General Dynamics, il pilastro del complesso militare industriale, multata e temporaneamente privata delle commesse del Pentagono per truffa: 5 milioni e mezzo di dollari, 11 miliardi di lire ncll'84. Il suo braccio destro, David Lewis, che si è dimesso in seguito allo scandalo, ha percepito 1 milione e 820 mila dollari, 3 miliardi e 620 milioni di lire; più 2 milioni 60 mila dollari di azioni, 4 miliardi e 120 milioni di lire, come anticipo sulla liquidazione. Boileau, Davis, Pickens, Diller, Gutfreund e Smith non rappresentano delle eccezioni: i «C.E.O» o chic/ executive officers, i superdirigcnti americani che superano il milione di dollari annui di stipendio, i due miliardi di lire, sono ormai un centinaio. La rivista «U.S. News and world rcport», che ha condotto un'inchiesta sui megacompcnsi nell'industria privata, ha scoperto che la media al vertice è di 780 mila 770 dollari, più o meno 1 miliardo 560 milioni di lire (a livello di vicepresidenti o viceamministratorì delegati si scende, se cosi si può dire, a 402 mila 650 dollari). Dall'83 all'84, l'aumento di questi emolumenti è stato del 15,6 per cento, contro un aumento del 14,5 per cento dei profitti, del 4,8 per cento dei salari, e del 4,3 per cento dell'inflazione. Le rivelazioni del settimanale hanno scatenato una tempesta: i «C.E.O.» si sono trovati sotto accusa. «Va bene che l'America è l'America», ha tuonato Lane Kirkland, il segretario generale della confederazione sindacale (stipendio: 110 mila dollari annui) «ma questi non sono quasi furti legalizzati?». Forse Kirkland parla per interesse di parte. E* innegabile però che negli Stati Uniti sta nascendo una nuova classe che soppianta quella degli imprenditori: la classe dei managers, che col proprio lavoro, senza rischiare capitale, e senza sottostare ai sacrifici che ciò comporta inizialmente, accumula incredibili fortune. Nella so¬ cietà opulenta, come la chiama l'economista John Kenneth Galbraith, si contano addirittura centinaia di migliaia di milionari in dollari, miliardari in lire; persone cioè con enormi patrimoni individuali, accumulati grazie alle proprie virtù di amministratori, ma grazie anche alla sperequazione e a vicende imprevedibili. «U.S. News and world report» le ha ribattezzate «corporate superstarsi), le supcrstelle delle società, e ha ammonito che potrebbero essere causa di fratture nel tessuto sociale americano. La polemica si è acuita quando la rivista ha aggiunto che ai «GEO.» vanno anche compensi ad hoc: una partecipazione azionaria in casi speciali, un'assicurazione contro la perdita del posto, supcrliquidazioni. Qualche esempio. Lee Incocca, che ha salvato la ca>a automobilistica Chrysler dalla bancarotta, ha ricevuto 4 milioni e 300 mila dollari in azioni. William Haselton, della St. Regis, ha intascato circa 11 milioni di dollari alla fusione della azienda nella Champion International, fusione che lo ha lasciato momentaneamente senza impiego. Andando in pensione, Philip Caldwell ha preso 2 milioni e mezzo di dollari dalla Ford, e Howard Kauffmann ha preso 3 milioni di dollari dalla Exxon. Ai livelli più bassi le liquidazioni non esistono, e le pensioni sono cosi esigue che neppure Reagan osa toccarle per ridurre il deficit del bilancio. Kenneth Galbraith, che nel corso degli anni è passato da una crìtica spietata a un elogio condizionato delle «corporations», definisce il fenomeno «una recrudescenza del peggiore capitalismo)). L'economista osserva che Paul Volcker, il governatore della Riserva Federale, l'uomo su cui ricade gran parte della responsibilità delle finanze occidentali, percepisce uno stipendio di 72 mila dollari annui, 144 milioni di lire: e che il presidente Reagan, l'uomo più potente della terra, ne percepisce uno di 200 mila dollari, 400 milioni di lire, «anche se è completamente spesatoti. «L'equilibrio dei valori, l'importanza delle funzione vengono stravolti», dice. «Non per nulla gli azionisti incominciano a ribellarsi: di questo passo, la nostra industria si trasformerà in una succursale hollywoodiana, e i managers diventeranno divi». La nuova classe tende a proteggere i suoi membri, e le cadute sono rare. Tra le più rovinose, si segnalano negli ultimi tre anni quelle del presidente delle linee aeree Braniff, Howard Putnam, e della American Motors, la quarta casa automobilistica Usa, Gerald Meyers. Putnam, che ha 47 anni, fa ora il consulente finanziario in una cittadina di provincia del Texas, e Meyers, che ne ha 56, insegna all'università di Pittsburgh, in Pennsylvania. Entrambi hanno dichiarato di non risentire tanto della perdita del megastipendio quanto della mancanza degli altri benefici: l'aereo e l'auto della società, le segretarie, i conti spese, la villa o l'appartamento gratis, l'assistenza sanitaria, le vacanze, «tutte cose, ammettono, che rendevano la vita facile, divertente, principesca». Per difendersi dalla protesta popolare, le «corporate superstar» hanno diffuso un comunicato sostenendo di non essere più pagati dei loro colleghi europei o asiatici. Ma la Arthur Young, specializzata in ricerche di mercato, li ha sconfessati con un'inchiesta tra 2462 managers in 22 Paesi. Nell'industria tedesca e nalla finanza svizzera, le più vicine al costume americano, gli emolumenti sono la metà, e non si riscontrano le punte degli Stati Uniti: altrove sono ancora più bassi. L'unico termine di paragone possibile, come afferma Kenneth Galbraith, è rappresentato da Hollywood, dove i grandi divi possono ottenere 5 milioni di dollari per film, o dallo sport, dove la tennista Martina Navratilova può arrivare in un anno a 4 milioni di dollari. Ma la loro carriera in genere è assai più breve. Significativamente, gridano allo scendalo più di chiunque altro le donne americane che lavorano. Quasi nessuna di loro fa parte della nuova classe. La «C.E.O.» meglio pagata è Katherine Graham, presidente e principale azionista del quotidiano «Washington Post», del settimanale «Newsweek» e di una piccola catena di altre pubblicazioni e stazioni radio tv: «la grande Caterina», come è chiamata, ha avuto circa 550 mila dollari nell'84, 1 miliardo e 100 milioni di lire. Sotto questo e altri profili, le donne americane sono ancora cittadine di serie B. Ennio Carette