Centinaia di Venezie possibili

Centinaia di Venezie possibili Centinaia di Venezie possibili Al Museo Correr disegni, dipinti e modelli documentano i progetti architettonici e urbanistici rimasti sulla carta dal Quattrocento a oggi - Storie straordinarie, utopie, idee scellerate VENEZIA — Un interrogativo via via più inquietante percorre di sala in sala questa bella mostra, un brivido, con rari sospiri di sollievo, fino alla fine: Venezie «possibili» quelle che stiamo vedendo? Poteva dunque succedere, e forse può ancora capitare, che spuntino a 8. Marco o a Rialto palazzoni megalomani, ponti insensati, viadotti ridicoli, strade sospese, depositi ferroviari... come questi che ci sfilano accanto, indifferenti alle rive, alle calli, alle isole? La Mostra «Le Venezie possibili - da Palladio a Le Corbusier» (a cura del Comune, al Museo Correr fino al 28 luglio) raccoglie con rigore culturale e sottile spettacolarità centinaia di disegni, dipinti, incisioni, modelli, documenti. Un vasto e in gran parte inedito materiale che racconta le straordinarie storie veneziane del progetti architettonici e urbanistici rimasti sulla carta dal Quattrocento a oggi. Un'infinita di «progetti interrotti», un fiume con sempre nuovi affluenti, attirati dall'eccezionalità, dal «ritardo», dalla stessa fragilità di Venezia. Storie che partono dal Filarete e dal Serlio, culminano nel Palladio e nei Palladiani, si moltiplicano nel Settecento, esplodono nell'Ottocento, terminano ai nostri giorni: mentre qualcuno dei moderni si impegna ad anticipare, al solito, il futuro. Occasioni mancate alcune, scampati pericoli gli altri. Tutte queste ipotesi concepite e perseguite come possibili, e tutte cadute l'una sull'altra lungo il filo del tempo, svelano oggi un fascino intellettuale straordinario, non senza il tocco qua e là d'un giusto profumo di morte. Un continuum drammatico e spesso perverso, tra punte di improvvisa bontà: registro delle utopie che è insieme catalogo dei sogni e degli attentati, del capricci e del mostri, di rare bellezze e di ricorrenti fantasmi... con una sua propria continuità e coerenza nel corso dei secoli, una vera Contro-Venezia a forte spessore. Arrivati alla fine — per ora — del filo, viene da ringraziare chissà il genio urbano o lagunare, che sembra aver dato regolarmente una mano — eccetto ai nostri tempi — verso il meno peggio. In realtà non genio né altro, il nucleo della storia è uno solo: l'intimo, sostanziale rifiuto di ciò che appare troppo difforme dal contesto lentamente consolidato, da quell'immagine della città-laguna penetrata nelle coscienze, diventata pietra e mito. Più che di «conservazione» si può parlare d'un motivoguida, che forse è chiaro in tutta la sua logica solo oggi: la prevalenza dei valori dell'ambiente, radicata alle più profonde «compatibilità» psicologiche, etiche, culturali, questo ha creato per secoli la città dell'uomo. Nel continuo rifiuto della «rivoluzione» c'è a Venezia anche parecchio di ottuso, non mancano compromessi, false soluzioni, sclerotizzazioni; resta la sicurezza d'una città «cosi com'è», perpetuata di generazione in generazione: scampata per nostra fortuna ai sempre possibili misfatti dei «maledetti architetti». Qualche esemplo tra i più famosi. A metà del Cinquecento, per due volte, il Palazzo Ducale va in fiamme. Vengono sentiti il Palladio e altri illustri: ci restano relazioni (certe) e disegni (probabili). I disegni palladiani ci mostrano una proposta di palazzone che di Venezia ha ben poco, in confronto al gotico preesistente. Decisione: restauro e rifacimento del vecchio: continua l'immagine del secoli d'oro, nelle più belle pietre del mondo. Altro incendio e altri progetti: i Mercati di Rialto, semidistrutti nel 1514. Fra Giocondo propone un Foro greco-romano, quadrato, chiuso in se stesso, imperfettibile. Il Senato lo respinge: l'architetto «qual è qui Iocho, non capisse». Ancora: Ponte di Rialto. In sostituzione dell'antico ponte in legno, il Palladio presenta un progetto a tempio greco, con frontoni, colonne, statue: del tutto incurante del Canal Grande, nonché delle correnti e delle maree. Verrà ripreso solo nei Capricci dei pittori. Dopo 11 Cinquecento, la mostra si sdipana per temi: 1 palazzi, i teatri, le chiese, i ponti, gli spazi pubblici... Tra le poche felici realizzazioni settecentesche, si arriva ai progetti sempre più colossali e imponenti • dell'Ottocento. Lasciamo «godere» al visitatore gli sventramenti in pieno centro, la stazione marittima proposta fino alla Punta della Salute, gli stradoni in bacino San Marco, 1 viadotti che tagliano in due la laguna e ricordano ohimè tanti progetti dei nostri giorni. La depressione economica fa da deterrente; se no, gran parte di Venezia diventerebbe una qualunque, eclettica città del nostro Ottocento, in ritardo e con poca originalità. Infine il Novecento: i progetti ormai famosi di Wright, y Le Corbusier, Kuhn, Scarpa, e le proposte più recenti di Nicmayer, accanto ai classici, ai barocchi, ai neoclassici... Ma proprio nel moderni la coscienza del dato ambientale si fa più acuta, la città è sentita nella sua irripetibilità ma anche nel suo profondo irriducibile, con cui bisogna fare i conti. E probabilmente qui, tra le ipotesi più recenti, c'è più d'un'occaslone perduta. Il peggio è che nel frattempo, nonostante la presenza di architetti di fama, si costruiscono del mostri, tra le più brutte architetture di Venezia e d'Italia: il nuovo Danieli, l'albergo Bauer, gli uffici delle Ferrovie... Questi ed altri orrori, eccoli divenuti possibili, proprio ai nostri anni, perfino sul Canal Grande. Ma è tempo di passare ai •Capricci»: una sala a sorpresa, che riporta tutto in discussione. Qualche grande nome e -qualche ignoto, la mano di Guardi e di Heintz. Nel fantastici assemblaggi di Heintz il Giovane, o nell'accesa visione di Francesco Guardi, tutto diventa simultaneo, sincronico, Trecento e Settecento, Medioevo e Illuminismo; e tutto possibile: fughe in un altro reale, nuovi territori aperti alla fantasia, avanti e indietro nel tempo. Carichi di suggestione, questi capricci, visioni, bizzarrie (mai «rovine»): peccato non ci sia qualcosa di più in questa sala detta dcll'«Occhio ingannevole», qualche altro disegno, incisione, suggerimento; un accenno, magari, a quelle architetture posticce delle grandi feste, di cui tanto poco ci resta e che pure ci rendono, in quel poco, a distanza di secoli, felici. Da godere, comunque, tutti questi possibili-impossibili, Venezia è anche questa. Paolo Barbaro y Francesco Guardi: «Il Ponte di Rialto nel progetto di Palladio» (Lisbona, Museu uul benkian, pari.)