CACCIARI: TRAGICITÀ DEL MODERNO di Gianni Vattimo

Un Dio per il 900 CACCIARI: TRAGICITÀ' DEL MODERNO Un Dio per il 900 L'uomo di Kafka — cioè l'immagine dell'esistenza e la visione del mondo che emerge dalla sua opera — ha qualcosa da fare con gli sviluppi della scienza e della filosofìa novecentesca? E questi sviluppi, a loro volta, si possono avvicinare in qualche modo a quel che accade, per esempio, nella musica con Schonberg e Webeni, o nella pittura con l'astrattismo di Klee e di Kandinskij? Il modo di gran lunga più corrente — anche se ormai, per varie ragioni, sempre più contestato — di stabilire un tale collegamento tra questi aspetti salienti della cultura del Novecento è quello che si richiama a una generale idea di alienazione e disumanizzazione: la narrativa di Kafka o di Musil, l'arte asttatta di Kandinskij, la musica di Schonberg appaiono, in varia misura, come espressione di uno stato generale di spaesamento e di angoscia che caratterizzerebbe l'esistenza dell'uomo novecentesco nel mondo razionalizzato della scienza e della tecnica. Una visione alternativa della condizione contemporanea e del senso della nostra cultura si è fatta strada negli ultimi decenni anche in connessione con la ripresa dell'interesse per certi filosofi, primo fra tutti Nietzsche; nei suoi termini più semplici ed essenziali, questa concezione ritiene che il venir meno di molti valori «umanistici» della cultura tradizionale, appunto quelli che risultano minacciati dalla razionalizzazione scientifica, non sia da considerarsi una perdita, ma un fatto positivo di portata emancipatoria. Il «superuomo» sognato da Nietzsche è l'uomo copernicano, che «rotola via dot centro» e riesce ad aprirsi a nuove possibilità di esistenza proprio perché non si mette più nel mezzo, non pensa più alla pura e semplice conservazione della propria piccola umanità. Criticando, e dissolvendo i valori ancora- «troppo umani» della metafisica, cella religione, della morale tradizionali, Nietzsche mette l'uomo di oggi in condizione di appropriarsi di tutte le possibilità offerte dalla visione scientifica del mondo. Nel suo ultimo libro, Icone della legge (edizione Adelphi), Massimo Cacciari riprende e approfondisce questa interpretazione, insieme nietzscheana razionalistica, della modernità, che egli è stato fra i primi a proporre nella cultura italiana. Rispetto alle sue opere precedenti, questa ultima (che è forse la più matura e sistematica) presenta alcune rilevanti novità: anzitutto un'ambizione più globale, quasi enciclopedica (spazia intatti dalla letteratura alle arti, dalla filosofìa alla matematica alle scienze; e poi una più esplicita attenzione al problema della legittimazione, che conduce il discorso verso esiti teologici e religiosi. La chiave di volta del libro è il lungo capitolo su Kafka, che viene assunto come autore emblematico dell'esperienza novecentesca, senza alcuna indulgenza al «kafkismo» di maniera. L'esperienza che fanno i personaggi di Kafka non è tanto quella dell'incombere di una legge misteriosa e inesorabile, come si ritiene per lo più; ma quella del suo carattere incerto, sfuggente, «eventuale». L'agrimensore del Castello, il Josef K. del Processo, domandano incessantemente «dove sta scrìtto che», chiedono, in altre parole, la certezza, del diritto; ma la loro domanda rimane senza risposta: non vi è alcuna certezza del diritto, non c'è un fondamento stabile e naturale delle leggi: né di quelle di cui si occupano giudici e avvocati, né di quelle della logica, della matematica, dell'artc-Pet-un matem«icoL.,cpmc. Brouwer, libera costruzione di mondi formali, senza alcuna «base» in una logica «naturale» della mente umana, né in un qualche ordine del mondo fisico; un processo analogo, di autonomizzazione e purificazione da ogni «troppo umano» fondamento nella natura o nell'esperienza, si verifica nel campo delle arti, in artisti emblematici come Schonberg o Malevic. E' però limitante e superficiale, sostiene Cacciari, pensare che l'esperienza dell'uomo novecentesco sia il puro e semplice passaggio dalla credenza in una legittimazione metafisica (legge naturale, strutture della mente, autorità divina, ecc.) all'esercizio di un illimitato potere di decisione nell'istituzione di norme, linguaggi, mondi simbolici. Kafka e i suoi personaggi fanno effettivamente un'esperienza tragica; Brouwer non scrive solo libri di matematica, ma anche un Vita Arte e Mistica, che a torto è stato considerato una stravaganza teosofica. E Mann ha avuto ragione nell'immaginare che il sito Schonberg Doctor Paustus, per l'invenzione di quella «tecnica» musicale che è la dodecafonia, metta in gioco il destino della propria anima in un patto con il diavolo. Le avventure «formali» dell'arte, della poesia, della scienza novecentesca non hanno il carattere di puri giochi, ma si vivono come eventi di estrema, tragica serietà, avvertono in sé l'appello di una legalità profonda e ineludibile. Per interpretare adeguatamente questo duplice carattere della cultura novecentesca — la perdita del fondamento e il senso della tragica serietà delle decisioni, infondate e tuttavia responsabili — Cacciari ricorre a concetti teologici. Nella spiritualità cristiana orientale, egli trova la nozione di icona (a cui è dedicata la seconda parte del libro): l'icona è immagine del divino, che però lo rappresenta e comprende solo nella sua inattingibilità. 11 significato teologico dell'icona, secondo Cacciari, sta alla base della scelta astrattista dell'arte novecentesca (esemplare è il caso di Malevic). Ma si può dire che tutto il Novecento, nella lettura tragica che ne dà Cacciari, abbia un carat tere «iconico», in quanto caratterizzato dalla consapevolezza della inattingibilità del divino, o del fondamento, e insieme della portata escatologica, definitiva, di ogni scelta, di ogni «invenzione» di regole, Il fondamento teologico della possibilità dell'icona è però l'incarnazione di Cristo. Solo perché Dio si è incarnato in Gesù, cioè, è possibile interpretare l'esperienza dell'uomo, e dell'uomo novecentesco, come esperienza iconica, o tragica. E' Gesù che rende possibile pensare la storia dell'uomo come icona. L'incarnazione, però, come riconosce an che Cacciari, potrebbe significare che il divino si è calato nel mondo, identificandosi dissolvendosi completamente in esso. Allora tutto sarebbe icona; ma non ci sarebbero più istanti privilegiati, e nemmeno la tensione tragica. Per lungo tempo la modernità ha pensato se stessa proprio in questi termini: cioè come emancipazione dal sacro, che si identifica progressivamente con il mondo, ma anche si dissolve nella sua separatezza. E' il paradigma della secolarizzazione. Cacciari invece ritiene che le esperienze chiave dell'arte, della filosofìa, della stessa scienza novecentesca mostrino che la tensione tragica rimane, non si dissolve e non si secolarizza: Gesù resta la chiave di interpretazione della storia, la storia umana è storia della salvezza, la tragicità dell'esistenza è quella di cui ha parlato la grande teologia dialettica novecentesca, primo fra tutti Karl Barth. Dal libro, non si capisce fino a che punto Cacciari intenda riprendere, in alternativa al paradigma moderno della secolarizzazione, una visione radicalmente religiosa e cri stiana della storia e dell'esistenza. Se però non va fino in fondo in questa direzione, il suo discorso, pur ricco e affascinante, rischia di rimanere sul piano di un tragicismo ed esistenzialismo inconcludenti. Gianni Vattimo Icona di S. Margherita (Bari, Pinacoteca provinciale)

Luoghi citati: Bari