COSI SALVANO KHOMEINI I GIOVANI AFFASCINATI DALLA RELIGIONE-MARTIRIO di Igor Man

L'arma segreta dell'Ayatollah COSI' SALVANO KHOMEINII GIOVANI AFFASCINATI DALLA RELIGIONE-MARTIRIO L'arma segreta dell'Ayatollah «Combattiamo, vìnceremo, giuriamo sul sangue dei martiri» gridano trecentomila persone, che ogni venerdì si radunano in preghiera a Teheran Molti hanno sedici, quattordici, persino dodici anni: a loro si predica il sacrifìcio purificatore della morte in combattimento - Figli dell'immensa armata dei «senza scarpe», partono incessantemente per la guerra - E rafforzano il regime sia sul fronte iracheno sia su quello interno DAL NOSTRO INVIATO TEHERAN — Ogni venerdì nel campus dell'Università di Teheran ha luogo una preghiera collettiva. Fu Khomeini, subito dopo il trionfo della rivoluzione, a istituire questa sorta' 'di 'islamica «messa all'aperto». Una volta la cerimonia si svolgeva all'insegna dello spontaneismo; oltre al predicatore, designato dall'Imam, prendevano la parola uomini politici anche di alto rango e semplici pasdaran (i miliziani) e un giorno, lo ricordo bene, fecero parlare un ufficiale iracheno, prigioniero di guerra, il quale descrìsse (con traduzione simultanea) la gioia della fede ritrovata grazie al «messaggio folgorante» di Khomeini. Ci si ammassava, una volta, nel campo di football, il predicatore e gli ospiti stavano appollaiati su di una trìbunetta traballarne, mocciosi andavano' in giro distribuendo manuali sulla guerrìglia urbana ed. ex sessantottini, richiamati' in Jran dall'ecumenismo apparente della rivoluzione khomeinista, vendevano il Che fare? di Lenin tradotto in lingua farsi e l'intervista-rìssa di Oriana Fallaci con lo Scià. Spirava, allora, un vento inebriante di libertà che coniugava paradossalmente Maometto con Marx. Erano i tempi della grande illusione laica, quando i goscisti iraniani credevano ancora di poter dominare la locomotiva islamica. Di quella stagione perduta non è rimasto più nulla, in compenso la preghiera del venerdì, pur restando un fatto politico, meglio: una assemblea voluta dal regime, ha oggi una carica religiosa che ieri non aveva; invero inquietante e, al tempo stesso, illuminante. La cerimonia comincia alle 11 del mattino, ma fin dalle prime luci del giorno un'area di cinque chilometri quadrati viene chiusa al traffico sicché per raggiungere l'Università bisogna andare a piedi, sotto il sole acuto dell'altopiano. All'ingresso ti perquisiscono, palpano attenti il tappeto da preghiera del mio accompagnatore perché, nell'ottobre scorso, fu proprio un tappetino im¬ bottito di plastico a esplodere uccidendo quattordici fedeli (niente panico, solo un po' di sbandamento e, dopo la raccolta dei resti umani, la cerimonia riprese). Una selva di tubi Innocenti sostiene bianche stuoie a riparo del sole. I fedeli se ne stanno accosciati all'ombra, con le scarpe posate a destra del proprio tappeto e il Corano alla sinistra. Le scarpe: ce ne sono di eleganti, chiaramente di importazione come quelle del primo ministro Mussawi, ce ne. sono di scalcagnate, ma soprattutto dilaga una incredibile distesa di sandali di plastica. E innumerevoli sono le stampelle e le protesi ortopediche nel settore riservato ai feriti di guerra. I fedeli son tutti rigorosamente allineati giacché, per terra, hanno tracciato col gesso corsie entro le quali è giuocofoiza rimanere. Rispetto alla tribuna del celebrante, che questo venerdì é il presidente della Repubblica, l'ayatollah Kamenei, gli uomini stanno alla destra e le donne alla sini¬ stra, separate da teloni grigi contro i quali il nero fondo dello chador acquista la tonalità della mortificazione. Fuori del recinto, entro altre corsie che zebrano tutte le strade intorno all'Università, si ammassano migliaia e migliaia di fedeli. Sono venuti a piedi, in automobile, in autobus dai quattro angoli di Teheran. Saranno almeno in trecentomila. E', questo, tempo di Ramadan, digiuno purificatore. Un urlo La cerimonia segue un copione preciso. Un mullah cantilena al microfono versetti del Corano in arabo (é il latino della liturgia sciita) che la folla gli rimanda salmodiando a mezza voce. Poi, d'improvviso, tutti in piedi: alla tribuna è comparso Kamenei. Alto, fragile nella veste bianca, il turbante nero dei discendenti del profeta. Il sermone di Kamenei si divide in due parti. Nella prima l'ayatollah esorta alla mode¬ stia, scongiurando i suoi fratelli di non farsi tentare dalle suggestioni del consumismo occidentale, «arma segreta e perfida» dell'imperialismo corruttore teso, innanzitutto, alla colonizzazione delle altrui culture, segnatamente di quella islamica. La seconda parte del sermone è politica e conviene riferirne un passo che starebbe a indicare inopinate «aperture» del regime. (La cerimonia che racconto si è svolta subito dopo la visita a Teheran del ministro degli Esteri saudita, Saud Fcisal). «Noi non abbiamo alcun contenzioso con i nostri vicini arabi né con altri Paesi non islamici (...) auspichiamo rapporti corretti, e possibilmente buoni, con tutti». Tranne che, ben inteso, con gli Stati Uniti, accusati, come al solito, di collusione con l'Iraq. «Ilproblema centra-' le del Paese è la guerra. Una guerra che non abbiamo voluto ma che continueremo a combattere con determinazione contro un regime blasfemo per liberare, un giorno, tutto l'Iraq». E qui dalla folla si leva quasi un rug¬ gito e cominciano a scandirsi, si direbbe con spasimo, slogan quali: «Combattiamo • combattiamo • vinceremo - vinceremo»; «Giuriamo sul sangue dei martiri, su Gerusalemme la santa, di lottare fino al sacrificio supremo». Infine, la preghiera vera e propria. Non dura più di un quarto d'ora, ma è d'una intensità talmente lancinante che in ultimo ci si sente non più difesi dall'agnosticismo, ma percossi, stanchi. Forse solo in Polonia e in certi villaggi dell'America Centrale è possibile avvertire tanto trasporto, tanta forza in un'assemblea di credenti. Ancora un'osservazióne e non di poco conto: il numero di giovani venuti a pregare è altissimo. Oramai da cinque anni l'arma più forte di Khomeini si sta rivelando essere la gioventù. Fu l'Imam, contro il parere di Bani Sadr, a volere che i pasdaran guidati da prepotenti mullah, affluissero al fronte. Tuttora Khomeini predica il sacrificio purificatore della morte in combattimento. All'esercito dell'Imam mancheranno gli aerei non certo i fantaccini. Legioni di impuberi volontari, i bassidyi, continuano senza posa a partire per il fronte. L'età media va dai 16 ai 14 anni, ma tantissimi sono i dodicenni che falsificano l'atto di nascita per potersi arruolare. Codesti bambini, dopo un addestramento di venti giorni, vengono avviati in prima linea. (E con loro ci sono anche uomini di 60 anni, anch'essi vo tati al sacrificio). Infagottati nella tuta kaki dei pasdaran, arrivano con la fronte cinta dalla benda rossa di chi «sceglie il martirio per la vittoria dell'Islam». I «mullah » Questi ragazzi bruciati verdi, i combattenti della fede, diseredati figli dell'immensa armata dei mostazafin (senza scarpe), il sottoproletariato iraniano, sono i veri eroi di una guerra che ha stravolto il ricordo.storico di Verdun, della Marna, delle Ardenne. Una capillare campagna di «promozione del sacrificio» tesse tutto l'Iran. L'Imam spedisce mullah dall'eloquio facile, accattivante, veterani di guerra nelle moschee, nelle scuole dove costoro esaltano le gesta dei giovani guerrieri che, guidati dalla mano del Profeta AH, si infiltrano nelle linee nemiche seminando terrore e morte. I reclutatoli raccontano' come nei momenti più difficili della battaglia il dodicesimo Imam (quello nascosto), Sahib al Zaman e la figlia dell'Imam AH, Harzatt Zeinab, scendano coitgiuntamente dal cielo per salvare i combattenti in pericolo, per sanare le loro ferite. Compiaciuto, Khomeini ebbe a dire qualche tempo fa che «i figli della rivoluzione islamica abbandonano la casa natale attratti dal martirio. E i familiari sono orgogliosi dì loro. Genitori di ben cinque figli mi hanno espresso il rammarico di non averne altri da avviare al paradiso attraverso la guerra». Le famiglie dei caduti hanno assicurato un premio pari a 15 milioni di lire italiane e ricevono una «tessera del martirio» che dà diritto a razioni extra di cibo, alla precedenza nelle assunzioni in uffici governativi. C'è da dire ancora come, in pratica, la struttura portante dei servizi di sicurezza, affidati ai pasdaran, sia composta di giovani dai 16 ai 18 anni, da adolescenti reduci dal fronte. Sono loro che pattugliano giorno e notte le strade e gli edifici pubblici, che scortano i vari ayatollah, che montano la guardia alla stessa modesta dimora di Khomeini. Oggi il regime appare consolidato se non altro in termini di ingegneria del potere. La mullahcrazia con le sue moschee, con i suoi comitati di quartiere, con i suoi uomini a sorvegliare tutto e tutti tiene il Paese saldamente in pugno. Lo scontento si palpa nell'aria, tuttavia la partecipazione dei giovani è forte, visibile, e in Iran all'incirca metà della popolazione ha meno di vent'anni. Anche l'opposizione armata puntava sui giovani, ma dopo gli attentati del 28 giugno e del 30 agosto del 1981 che de- capitarono il vertice sciita, i mujahidin di fronte all'implacabile repressione del regime esaurirono la loro spinta. Oggi conservano una struttura di base, ma è un velo pieno di buchi. E, poi, il vertice rifugiato a Parigi ha perso credibilità proiettandosi verso l'Iraq e a causa di poco edificanti storie sentimentali. Ma il grande errore dei mujahidin è stato quello di lanciare i ragazzini nei combattimenti di strada. Ragazzini privi di preparazione militare, politica o ideologica. Mentre Khomeini — tocca riconoscerlo — è riuscito a salvare il suo regime sul fronte iracheno e su quello interno proprio arruolando i ragazzini. Come c'è riuscito? La risposta è tanto semplice da sembrare incredibile: in forza della religiosità. Certo, qualcuno potrebbe chiamare la religiosità sciita fanatismo, ma un fatto è incontestabile: oggi in Iran il religioso si fonde con il sociale e con il nazionale. La preghiera del venerdì, a metà tra il comizio e il rito iniziatico, afferma, in definitiva, il primato della religione ridi-» ventata «l'anelito della creatura oppressa dall'infelicità, l'anima di un mondo senza cuore e lo spirilo di un mondo senza spirito», come ha scritto non l'Imam Khomeini bensì molto prima di lui un grande laico: Carlo Marx. Di fronte al fenomeno dei giovani che non desistono dall'arruolarsi sotto la bandiera di Khomeini, affascinati dal richiamo della religione-martirio, non è facile capire perché questo, e come, possa accadere alle soglie del Duemila, ma non è difficile riconoscere nello Sciismo l'espressione religiosa dell'identità nazionale del popolo persiano. Igor Man e L'ayatollah Khomeini in una caricatura di David Levine | (Copyright N.Y. Revlew of Books. Opera Mundi e per l'Italia .La Stampa.)