Perché l'evoluzione ha salvato i geni che causano il cancro

Perché l'evoluzione ha salvato i geni che causano il cancro Perché l'evoluzione ha salvato i geni che causano il cancro Ibiologi moderni hanno una mente riduttiva. Anche quando affrontano problemi di enorme complessità sono convinti, che alla loro base vi siano eventi molecolari relativamente semplici. L'esempio forse più chiaro e attuale di questa attitudine — e degli apprezzabili risultati a cui può portare — si trova nell'approccio del biologi al problema del cancro. Il cancro è, a livello cellulare, un fenomeno ereditarlo. Ciò non significa, naturalmente, che il cancro venga trasmesso di padre in figlio come un qualunque carattere genetico (anche se ciò è vero per alcuni rari tipi di tumori), bensì che tutte le cellule che derivano da una cellula cancerosa sono a loro volta cancerose. Quindi, dicono i biologi, il carattere di «cancerosità» deve necessariamente essere scritto in qualche modo sui geni della cellula, cioè sul suo DNA. Se l'ipotesi è vera, allora dovrebbe essere possibile verificarla nel modo più diretto: il DNA estratto dalle cellule di un tumore, inserito in cellule normali, dovrebbe essere in grado di trasformarle in cellule cancerose. L'esperimento, concettualmente molto ovvio, rimase un sogno irraggiungibile per molti anni, semplicemente perché non si conoscevano metodi per far (Marmi 15-25 anni Gli organi più spesso colpiti penetrare DNA estraneo nelle cellule animali. Quando finalmente qualche anno fa l'esperimento divenne possibile, esso diede effettivamente il risultato atteso: DNA estratto da tumori umani era capace di trasformare in cellule cancerose cellule di topo In coltura. Ma quali, tra le decine di migliala di geni delle cellule del tumore originario, erano quelli responsabili della trasformazione? E da dove vengono questi geni micidiali? Nel 1969 due ricercatori, Huebner e Todaro, avevano proposto un'ipotesi secondo la quale tutte le specie animali avrebbero nei loro corredo genetico del geni potenzialmente oncogeni, cioè capaci di indurre tumori. Questi geni, che gli autori dell'ipotesi avevano chiamato oncogeni, sarebbero 25-35 anni 40-45 anni 45-55 anni 60-65 anni 70-80 anni dai tumori nelle varie fasce di età dall'infanzia alla vecchiaia del geni «intrusi», depositati nel corredo genetico degli animali, nel corso dell'evoluzione, a seguito di ripetute infezioni da parte di certi virus (detti appunto virus oncogeni). Questi oncogeni di origine virale, sempre secondo questa ipotesi, resterebbero normalmente silenti all'interno della cellula ospite; tuttavia, eventi accidentali, quali radiazioni o particolari composti chimici, attiverebbero questi geni e innescherebbero cosi il processo canceroso. L'ipotesi, per quanto affascinante e in un certo senso profetica, si è rivelata però sbagliata. E' vero che gli oncogeni esistono e l'analisi del DNA estratto dai tumori e usato nell'esperimento che abbiamo descritto sopra ha permesso di identificarli e di caratterizzarli. Tuttavia quando questi geni capaci di trasformare cellule normali in cellule cancerose furono analizzati in dettaglio, si vide senza possibilità di dubbio che essi non erano affatto di origine virale, bensì di pura origine cellulare. In altre parole, gli oncogeni non sono geni «Intrusi» nel nostro patrimonio genetico: ne sono parte integrante. L'ipotesi originarla di Huebner e Todaro va addirittura ribaltata: 1 virus oncogeni sono divenuti, tali perché hanno «rubato» un oncogene alle cellule degli animali che infettano. A che servono allora questi geni che, se attivati, possono causare la morte dell'animale che 11 porta? A questa domanda un po' inGabriele Milanesi Continua a pagina II In prima colonna

Persone citate: Huebner, Milanesi, Todaro