Nel grande sertào Riobaldo a cavallo col diavolo

Il capolavoro di Guimaràes Rosa trova i lettori in Italia dopo 30 anni Il capolavoro di Guimaràes Rosa trova i lettori in Italia dopo 30 anni Nel grande sertào Riobaldo a cavallo col diavolo Misteriosa Agatha di promuovere la candidatura di Guimaràes Rosa, appena pubblicato da Feltrinelli. Erano, infatti, tempi felici in cui le varie case editrici trattandosi di riconoscimenti internazionali si sostenevano a vicenda, ma l'impresa, in pratica, era difficilissima, e non soltanto per mia incapacità. Ancorché tradotto, negli anni precedenti, negli Stati Uniti, in Francia (presso les Editions du Seuil) e in Germania, lo scrittore brasiliano interessava al momento NELLA collana 'Impronte, della Feltrinelli, si ristampa il grande romanzo di Jo&o Guimaràes Rosa, Grande Sertfio: Veredas, che già vide la luce nel 1970, nei •Narratori* della stessa casa editrice (Grande Sertfio, traduzione di Edoardo Bizzarri, con glossario, 499 pagine 22.000 lire). Poiché tale pubblicazione segue quella di Miguillm, primo romanzo dei sette di Corpo di ballo (tradotto sempre da Bizzarri e sempre alla Feltrinelli nel 1964), nella nuova versione di Antonio Tabucchi, sembra riprporsi davvero, per il pubblico italiano, il caso Guimaràes Rosa. Vn caso che, per gli studiosi e appassionati della letteratura brasiliana, è andato acquistando maggiore interesse e profondità con il passare degli anni: Guimaràes Rosa, in/atti, non è soltanto uno dei più grandi narratori di questa letteratura, ma, in assoluto, uno dei valori non discutibili della narrativa contemporanea. Finché visse, Rosa non ebbe i riconoscimenti che meritava o, meglio, li ebbe in forma beffarda. Mori a 59 anni, nel novembre 1967 (e non nel 1968, come è detto nella scheda Feltrinelli), tre giorni dopo aver pronunciato il Discorso per l'insediamento all'Accademia brasiliana di Lettere: una morte improvvisa e, tuttavia, cosi annunciata e presentita durante tutta la cerimonia da conferire retrospettivamente un'aura di drammaticità all'intera vita dello scrittore, e a quella gloria, sia pure limitata al Brasile, che gli era arrivata troppo tardi. Due anni prima, al momento della sua candidatura al Nobel, la stampa internazionale l'aveva dipinto come narratore essenzialmente regionalista, cantore degli aridi altopiani del Brasile profondo, dei suol Dovari e banditi. E, nello stesso 1965, c'era stata anche un'altra occasione mancata: il Prix International des Editeurs, che gli era stato soffiato da Saul Bellow. Quella primavera, al Premio Formentor, nell'ambito della giuria italiana, riunita e sponsorizzata dall'editore Einaudi, chi scrive aveva il compito, con altri colleghi, da albergo di Belle Epoque, {'«oralità paradigmatica, di Guimaràes Rosa, non solo la sua lingua dalle invenzioni molteplici, ma la natura stessa del sertfio, con i suoi pascoli e le sue pietraie, le palme giganti, cioè i buri ti, i sentieri, cioè le veredas, risultava assolutamente fuori luogo: quasi un assurdo. Col passar delle ore, mentre frusciavano sempre piti lugubri i pini marittimi squassati da un mistral violento, salivano le azioni di Saul Bellow e scendevano quelle di Guimaràes Rosa. Ma, a distanza dì tempo, questo non è poi cosi sorprendente. Come osserva Luciana Stegagno Picchio, che dell'universo .rosiano. è uno dei maggiori studiosi, soltanto al momento del Discorso in Accademia e poi della morte, lo scrittore brasiliano à divenuto -tei qu'en lul-meme, enfin.: insomma, se stesso. Si è liberato, cioè, di quella veste rusticana che a forza gli era stata adattata sopra, rivelandosi, al contrario, creatore coltissimo e raffinato della grande invenzione linguistica, ma soprattutto esistenziale, che è il sertfio. Nato a Cordisburgo, nello Stato dt Minas Gerais, nel 1908, da famiglia benestante di origine portoghese, la vita di Rosa ha seguito, in modo tipicamente coerente, due direttrici: quella di medico e di diplomatico (si trovava in Germania durante l'ultima Guerra e fu internato a Baden-Baden) e di scrittore, narratore, discreto, ma esatto e esigente, co-optato, come confessava lui stesso, anche dalla magia o dal sogno che potevano suggerirgli le sue «estorto*», ma ferratissimo sulla documentazione. Proprio in nome dell'esattezza, nel 1952, compi un viaggio a cavallo nel sertfio. Esiste poi un affinarsi della sua oralità che da Saragana, del 1946 (tradotto in italiano nel 1963 da Bizzarri e PA. Janini) a Corpo di ballo e a Grande Sertfio (entrambi del 1956, a breve distanza), si restringe nelle opere seguenti; Primelras estorlas del 1962 e Tutaméia del 1967. Ma il gran fiume è appunto quello di Grande Sertfio, il cui fascino straordinario può riassumersi banalmente così: battaglie, scorrerie, vendette narrate dal vecchio Jagunco Riobaldo (il cui nome può essere inteso come nome di fiume: rio-baldo ma in collegamento con altri nomi, per esempio, Renaldo, prende un suono medievale) a un interlocutore invisibile. Esiste questo interlocutore o ascoltatore? O si tratta semplicemente del lettore o addirittura della coscienza del bandito? Sotto tutte queste storie, vibra infatti l'interrogativo fondamentale sul Diavolo e sul peccato: se esistono o no, e come si presentano e che cosa sono. Può darsi che Riobaldo non abbia peccato mai, e non abbia stretto alcun patto con il Diavolo, ma la domanda si ripropone ugualmente, perché il bandito del sertfio, proprio come Perceval, è costretto a una Prova, che, non soltanto non 'è mai specificata, ma forse non è mai capita. E li, in questa disattenzione, come nel caso del Graal, sta il senso della Quote, della Ricerca, che si identifica poi con la vita stessa. Tra i tanti interrogativi strutturali, linguistici, regionali che pone questa grande vicenda ce n'è uno, percepibile anche da parte di un lettore che del Brasile e della sua letteratura non sappia nulla: è quello dell'amore. Riobaldo, che pure è legato, in modo tradizionale, a una donna lontana, prova un sentimento ignoto, soave, dolcissimo e tormentoso, per un compagno giovane e bellissimo: Dìadorim. E' questo il peccato, è questa la tentazione? E dove comincia l'amore e finisce il desiderio di bellezza, di coraggio, di valore di cui Dìadorim è il simbolo? Lo scioglimento del nodo d'amore trae origine dal poema epico: al momento della sua morte, Dìadorim rivela il suo segreto. E' una donna, è una novella Clorinda. Ma così a ridosso della fine avviene la rivelazione e in forma così poco tradizionale da permeare di senso di peccato, peccato sottile e non decifrabile, tutta la vicenda che sta per chiudersi. Ed è questo uno degli aspetti, uno dei tanti, della complessa creatività di Guimaràes Rosa. Byron inedito LONDRA — Lcslie A. Marchand, il curatore delle lettere e dei diari di Byron, ha trovato un racconto inedito del poeta romantico. Si intitola La storia di Calil e, suggerisce Marchand, potrebbe costituire l'abbozzo preparatorio del Don Giovanni. La storia di Calil racconta, comicamente, le vicende di Tamerlano, sultano di Samarcanda, c del suo assedio di Delhi. L'impresa è difficile, Tamerlano vorrebbe aiuti da Samarcanda, soldi e truppe fresche. Ma la sua Samarcanda si ribella, non ne vuol sapere della guerra. Disegni di Hugo Pratt (da «L'uomo dal Sertào», ed. Cepim) pochissimo. A Saint Raphael, si continuava a ripetere che si trattava semplicemente di regionalismo vleux Jeu, di realismo smaccato e che quei fuorilegge, quei Jagunco erano davvero troppo innocenti: degli ingenui dipinti prima del peccato originale, della chute, come ripetevano i francesi. Sfuggiva a molti dei presenti, con l'eccezione di Roger Caillois e di pochi altri, la matrice romanza di questa quète medievale localizzata in un sertfio che è un universo: mondo, vita, infanzia dell'uomo, vicenda umana. In realtà, in quello sfondo Angela Bianchini Il fantasma di Bettiza Polemica: Caprettini risponde a Davico Bonino che in questa citta, non pochi sono 1 semiologi validi e affermati, e diffuso e crescente è l'interesse per la «scienza dei segni». Gian Paolo Caprettini P.S. Quanto alla «peste», verrebbe da citare appunto la manzoniana Storia della Colonna Infame: .Come mai ad uomini oscuri e ignoranti potè esser concessa tanta autorità?». A distanza di quasi trent'anni, Bettiza riprende Il fantasma di Trieste, un romanzo che gli aveva dato molte soddisfazioni in Europa e poche in Italia. Tradotto in sette lingue, aveva ottenuto buone critiche all'estero, c anche parecchi lettori, sc> prattutto in Francia; ma l'edizione Longanesi era stata accolta cor fred dczza dal nostro pubblico, allora indirizzato verso altri modelli letterari. // fantasma di Trieste esce ora dalla Mondadori; che annuncia, per ì'86, il nuovo romanzo dello scrittore dalmata. Il protagonista è lo stesso del libro precedente; Bettiza ci lavora da quindici anni, dovrebbe consegnate il manoscritto per l'autunno.