Volpini, funky e dolcezze sonore

Volpini, funky e dolcezze sonore Volpini, funky e dolcezze sonore IL gruppo dei Volpini Volanti si è formato plU o meno cinque anni fa. Allora inclinavano verso una new-wave dal suono aggressivo e particolarmente composito, troppo composito. Il loro primo album,, pubblicato con il nome di Mercenaries, testimoniava una gran voglia di fare nelle direzioni più diverse e alla ricerca del look spregiudicato, ma riusciva a definirsi solo in modo negativo: Tra not Russlan. E questo già si sapeva. Poi una maggiore attenzione al protagonismo vocale di Betty Vittori ha aggiunto quel di più necessario in omaggio alla moda e alle esigenze discografiche e 1 televisive e il gruppo ha operato una conversione repentina verso il nuovo swing. Il loro approccio è stato assai discusso perché in quel discontinuo mixaggio del meglio americano e del peggio italiano, tra la voglia d'orchestra e i Tulli-tulU-tullipàn. prevaleva un certo indifferentismo di scelte revivalistiche. Il fatto è che i Volpini, come il loro produttore Claudio Fabi, non hanno mai veramente amato né la newwave, né lo swing: se vi si sono accostati è stato solo sperando di trovare una collocazione nel trend vincente delle mode. Così non è stato, per loro fortuna, e i Volpini hanno potuto concentrarsi sulla musica che sentivano autenticamente: un soffice funk, piacevole, discreto, carezza non effimera. Hanno così confermato di non essere né aggressivi né ironici, ma un gruppo di sweet music. L'album inizia con So dose, un brano di tipico taglio britannico nella strofa e super-americano nell'inciso. Eppure già qui si nota l'assenza di quella violenza espressiva unidimensionale che caratterizza il tecno-pop: sintetici e ficcanti quanto discreti, i Volpini preferiscono suggerire temi d'ambiente, fatti per corteggiare la quotidianità e non brutalizzarla, temi palpitanti della loro sensibilità di musicisti piuttosto che del bisogno di classifica a tutti i costi. Più si procede nell'album più si apprezza sul soffice tappeto funky la voce di Betty Vittori, preziosa nuova presenza sulla scena della canzone italiana: finalmente una cantante che canta e non esibisce vacua grinta e discutibile sex-appeal. Da sottolineare che i brani vedono la Vittori anche nel ruolo di compositrice e se il reparto testi mette a nudo qualche ingenuità di troppo, non si può non ammirare la varietà di ispirazione musicale e il rigore sonoro. I Volpini, a dispetto del nome, abbandonano la strada della piccola furbizia a buon mercato, e si mettono alla prova su un repertorio «aito», più gratificante per la loro voglia di musica che per la loro voglia di quattrini. Ed è una nuova, importante, decisiva inversione di tendenza. «Se non si ha qualcosa di diverso e di proprio da proporre, non ha senso fare musica», recita una massima molto popolare e molto poco seguita nel mondo del pop-rock. I Volpini l'hanno voluta applicare rigorosamente segnalando una crescita espressiva che non potrà non dare frutti ancor più notevoli. Qualcuno lamenterà che queste scelte musicali, questi testi in inglese contribuiscono ad affossare quel poco che resta della tradizione italiana. Ma è il caso di intendersi: ormai il linguaggio musicale è internazionale, il .modo, italtqn^ hÈ senso solo come - modo,, cioè come momento formale, estetico; di gusto. E~aa questo punto di vista il raffinato funk dei Volpini mi pare molto più italiano di tanto rock-jazz napoletano fermo ormai da più di un decennio sulla riproduzione in lingua partenopea di quanto si fa assai meglio in inglese, sia nel campo del jazz che in quello del rock, e non solo per questioni di lingua. Una cosa è l'influenza culturale, un'altra cosa è quella coloniale. L'album dei Volpini aiuta a capire questo discrimine tutt'altro che sottile. Gianfranco Manfredi Flying Foxes: «Flying Foxes», CGD.

Persone citate: Betty Vittori, Claudio Fabi, Flying, Gianfranco Manfredi, Vittori, Volpini