Troppi i «minimi»

Troppi i «minimi» Troppi i «minimi» Giacinto Spagnoletti ha tutte le carte in regola per la lunga consuetudine di indagine e di partecipazione alla vicenda della nostra cultura letteraria del Novecento. Di qui deriva l'impianto dell'opera, che tende alla completezza, nel senso che le reti dello storiografo sono talmente fini da non lasciarsi scappare presso che nessuno che abbia scritto versi o romanzi nel nostro Novecento (le eccezioni sono scarsissime e per lo più trascurabili). Più che il singolo giudizio, contano ti quadro, l'impegno di sitemazione di autori e opere, la scansione dei tempi letterari, lo scrupolo di informazione. Del tutto opportuno è la scelta di Spagnoletti di far iniziar re la trattazione alquanto all'indietro ancora nell'Ottocento, con l'assolutamente necessaria cooptazione di Pascoli e d'Annunzio (e con la meno comprensibile aggiunta della Scapigliatura, di Capuana, della Serao, di Pratesi, di Gualdo, diJNeejry), Il rischio maggiore che Spagnoletti consapeiplri^èntè corre è l'eccesso di presenze-in questa sua carta minuziosissima del Novecento: troppi sonò i minimi che si affacciano dalla sua pagina sempre narrativamente cordiale e accattivante. Molto giustamente Spagnoletti si è preoccupato di quella che credo essere una condizione assolutamente necessaria per una storia letteraria: il racconto, la linearità della narrazione del fatti letterari nel loro svolgersi e verificarsi, con il conseguente rifiuto della monografia. Ugualmente positiva è la scelta di non imporre alla letteratura nessuna costrizione ideologica (che è sempre segno di cattiva coscienza, dovuta a scarso interesse o a ignoranza della letteratura stessa). A Questo punto, è inevitabile che, proprio come omaggio alla fatica di Spagnoletti, venga fuori qualche obiezione. Io pensò a una storta letteraria come occasione, sempre, per rimettere in gioco i dati, rimescolare un poco le carte, interrogarle anche secondo prospettive di poetica, di cronologia, di idea della letteratura capaci di proporne nuove sistemazioni e interpretazioni. In questo modo, forse, si potrebbe evitare quello che è il pericolo più grave che Spagnolettl corre: la sproporzione di indugio su autori e opere, onde c'è chi può contare su pagine e pagine e chi, invece, non ha che un breve accenno. E, come si sa, la vanito degli scrittori è infinita e si misura, per lo più, sulla 'quantità., e non sulla qualità della citazióne. meticoloso eppure limpido, sempre basato sull'acuta osservazione e insieme sui documenti, tipico della migliore tradizione anglosassone. Il contorto linguaggio di molta critica nostrana subisce qui un'esemplare lezione: McAndrew tratta gli argomenti più complessi con magistrale chiarezza. «Un'operazione che gli 'studiosi moderni non sono più in grado di intraprendere» ha scritto James Ackerman a proposito di questa 'Architettura veneziana». Il metodo delle analisi dapprima particolareggiate, poi confrontate e collegate, ha il 'Crescendo» proprio d'un grande talento, dà alla pagina autorità e insieme aderenza: l'autore ha l'intuito d'un narratore, si muove senza una parola superflua. Con le sue 550 pagine di grande formato e le mille illustrazioni, il libro ha un grosso peso, specifico e reale: va comunque messo in valigia partendo per Venezia per capire meglio non solo il fenomeno della città-crocevia, groviglio di architettura e di storia, tra Italia ed Europa, Toscana e Lombardia, Nord e Oriente; ma anche per partecipare a quel lungo incontro che continua ad animare ogni pagina, la serena avventura dell'uomo con le sue pietre. Paolo Barbaro John Me Andrew: «L'architettura veneziana del primo Rinascimento», Marsilio, 552 pagine, 90.000 lire. ndrew Venezia

Persone citate: Capuana, Giacinto Spagnoletti, James Ackerman, Paolo Barbaro John, Pratesi, Serao, Spagnoletti

Luoghi citati: Europa, Gualdo, Italia, Lombardia, Toscana, Venezia