Che cosa va cercando il cavalier Agnelli fra le pietre di Torino?

Che cosa va cercando il cavalier Agnelli fra le pietre di Torino? Che cosa va cercando il cavalier Agnelli fra le pietre di Torino? CHE cosa fa il cavalier Giovanni Agnelli per le vie della vecchia Torino, in quel settembre-ottobre del 1920 così decisivo per le sue fortune? Gli operai che provano la rivoluzione lo hanno estromesso dalla Fiat-Soviet, e lui si abbandona a lenti percorsi a piedi e in auto, indugiando accanto ai palazzi nobiliari e agli ospizi, alle chiese e agli opifici, scorrendo con gli occhi le numerose lapidi dove defunti più o meno Illustri si proclamano legati — con fiduciosa ostinazione — a un al di qua di opere e di progetti. Ma perché il fondatore della Fiat si aggira nella scacchiera urbanistica sabauda e proto-industriale, atteggiandosi con l'apparente gratuità dei gesti a protagonista di un romanzo nero? Oddone Camerana cerca la risposta in un libro di racconti intitolato «L'enigma del cavalier Agnelli». E gli mette alle costole un funzionario della Guardia Regia che, pedinandolo per motivi di sicurezza, scopre come nelle passeggiale del -solitario eroe del capitalismo- ci sia del metodo. In realtà, segugio accompagna segugio. Il Javcrt piemontese sembra soprattutto intenzionato a capire se il cavaliere sia rassegnato alla sconfitta, voglia davvero andarsene in Belgio e lasciare la fabbrica agli operai. Mentre il dialogo di Agnelli con le pietre della sua città ha il senso di una complessa e forse turbata appropriazione. Perché il suo itinerario comincia sotto l'androne della Volta Rossa, dove una lapide ricorda gli stentati inizi del Cottolengo? C'è sicuramente una coincidenza, non solo topografica, tra l'insediamento delle fabbriche e quello dei santi sociali torinesi, al crocevia di Valdocco, Rondò della Forca, Consolata: la chiesa in cui perfino gli ex voto stanno là a chiedere un supplemento di grazie per i rischi — progressivamente documentati — della rivoluzione industriale. L'operosità che non si lascia imprigionare da pastoie burocratiche, la propensione pedagogica, l'avversione all'ozio, sono tratti die Oddone Camerana coglie con finezza anclie in chi persegue -una via laico-religiosa del lavoro-. Il gusto della sfida che ama essere temperato e quasi farsi ostacolo della prudenza trova conferma in altri itinerari .vMèi ^cavaliere. Visitiamo allora con lui i '"Yuìigfii di Gobineau e di Nictzsclie, di Salgari e di Lombroso, gli irrequieti e gli eccentrici tenuti a bada da una città che, secondo le parole di Gramsci, non offre spazio all'avventura, al paradosso, al dilettantismo. Inevitabile, e perdente, secondo le inclinazioni di Agnelli, è la contrappostone alla Torino del pionieri (alimentazione, dolciumi, bibite...) tutti segnati dalla loro pietra commemorativa lungo una traccia che si conclude al Regio Parco («l'edificio severo e dickenslano della Manifattura Tabacchi») e alla Barriera di Milano. Camerana immagina, con una felice Intuizione che diventa alacrità di scrittura e tenero abbandono rievocativo, che in quei quartieri popolari, ancora autentici e integri, Agnelli fiutasse perplesso le avvisaglie di una dismisura, di una svolta che avrebbe travolto Torino: la città avrebbe «perso il lusso di sorridere» perché «essere una città pilota vuol dire costruirsi un destino che si paga caro». Venticinque anni dopo, percorrendo ormal vecchio le strade di una volta, troverà nelle statue slabbrate dei viali, nelle lapidi incomprensibili ai cittadini, nel dialogo spezzato con la memoria storica, il senso di una città ammutolita e spettrale, babelica e insieme funeraria. 1 Ma la passeggiata ricorre in altre parti del libro dì Camerana, tende a proporsi come modulo stilistico. Trova un corrispettivo nella -vacanza- dell'ingegner' Matte Trucco, il creatore del Lingotto (e nel viaggio dello slesso autore che cerca a Detroit il fantasma di Celine, sociologo del pauperismo industriale). Matte Trucco nelle escursioni all'estero era fortemente motivato dal suo interesse per l'architettura industriale, per l'organizzazione del lavoro e per una società tecnologica ispirata all'ottimismo del Fourier. Ma i suoi quaderni documentano via via un disinganno che, a quanto suggerisce Camerana, egli finì per trasfondere nel cemento del Lingotto, grande metafora di un'utopia negata. Pagine svelte, quelle di Camerana, piuttosto rare per il tema che affrontano Inventivamente dall'interno: e si apprezzano anche ài più per la mobilità della prospettiva, l'inquietudine problematica, il rifiuto dell'innocenza. Lorenzo Mondo Oddone Camerana: «L'enigma del cavalier Agnelli», editore Serra e Riva, JX8 t pagine, 12.000 lire. • I La luna che cade è forse allegoria di un'illusione che sparisce, della speranza in un mondo nuovo che viene cancellata. O esprime il dissolversi di un potere che, ormai astratto, non rappresenta altro che se stesso. Lunaria è un racconto prezioso e fragile, nel quale Consolo alterna lin-. guagglo erudito e voce popolare, insiste con destrezza di artefice sulla scrittura, fitta nel suoi barocchismi, sempre accesa, carica di umori, spunti poetici (con veri e propri versi incorporati anche nella pro- ni), oscilla tra il grottesco e il canto, omaggiando degnamente r.-Astro immacolato». Maurizio Cucchi Vincenzo Consolo - «Lunaria», Einaudi, 96 pagine, 8000 lire Caro Direttore, toria, c'è sempre chi cita i soliti due o tre editori come se fossero gli unici esistenti. Ci sono anche altri editori, di cui, Invece, si tace o che poco sono citati. E, quanto ai «Classici», ci sono altre collane, come quella dell'Utet, che. oltre gli scrittori italiani che più da vicino mi riguardano, comprende anche scrittori greci e latini, economisti, storici, scienziati, pedagogisti, politologi, filosofi, sociologi, scrittori di religione. • Piangiamo pure sulla triste sorte dei «Classici» di Mondadori, ma consoliamoci, dopo, con il resistere e il durare di altri «Classici», vegeti, invece, e sani. Giorgio Bàrberi Squarotti Lettera lamento anch'io, con tutte le mie forze, la sospensione del «Classici» italiani di Mondadori, ma, in quanto Implicato anch'io in una collana di «Classici», sia pure di diversa impostazione, quella dell'Utet, non posso fare a meno di notare come in tutti gli interventi sul doloroso evento mondadorlano si sia In sostanza parlato d( quei defungendi «Classici» come degli unici' esistenti In Italia, onde per 11 futuro non ci sarebbe più la possibilità di attingere l'italica classicità. Ciò non è, naturalmente, vero: parlo per i miei «Classici», ma anche per le altre collane che continuano a

Luoghi citati: Belgio, Camerana, Detroit, Italia, Milano, Torino