Canzoni e poeti: amici o nemici?

Così cambia il rapporto tra musica e versi: successi, «peccati», sconfitte, speranze... Così cambia il rapporto tra musica e versi: successi, «peccati», sconfitte, speranze... Canzoni e poeti: amici o nemici? La condizione della poesia oggi è tragica, quella della canzone invece prospera e felice. Il rock vale molto più dei vagiti di certi cantautori In Russia divennero romanze zigane i versi di Pusfein e Turgenev. Poi arrivò Evfuscenfco. Negli Anni 60 e 70, le poesie-canzoni clandestine del dissenso Tra Brecht eKurtWeill D'Annunzio, per la musica di Francesco Paolo Tosti, scrisse i versi di L'alba separa dalia luce l'ombra, romanza adatta alla voce possente e acuminata di un tenore. A Pasolini e a Fortini, tra gli Anni Cinquanta e Sessanta, si dovettero i testi di qualche canzone, cantata per lo più da Laura Betti: casi rari di letterati di rango intervenuti in questo campo. Cosi rari che la canzone firmata da Fortini, Quella cosa in Lombardia, una divagazione, audace per i tempi, sulla difficoltà di trovare un luogo dove isolarsi a far l'amore nel cuore della regione più industrializzata d'Italia, è divenuta poi, presso un piccolo pubblico, proverbiale. Più recente è il caso dei testi di Roversi scritti per la musica di Lucio Dalla: alcuni, letti cosi, sono delle tirate populiste un po' insopportabilmente datate: altri, quelli di // futuro dell'automobile, sono costruiti intorno a immagini d'effetto: Nuvolari e la sua epopea, per esempio: ma non mi sembra che posseggano l'intera forza simbolica della vera poesia. Il rapporto tra poesia e musica è difficile, i contatti sporadici, i mondi separati. I quattro maggiori poeti viventi nel nostro Paese, e i cui nomi alle platee della società dello spettacolo dicono probabilmente meno del meno votato cantante di qualunque Festival, che cosa potrebbero scrivere, se volessero scrivere per musica? Zanzotto è ricorso al suo dialetto veneto cantabile e colmo di memorie infantili per quel memorabile Pinpidin, che fece parte della colonna sonora del Casanova di Fellini, anzi ne fu una delle cose più belle: l'alto dialogare morale di Luzi, la nuova epica familiare di Bertolucci, la domestica visionarietà di Caproni, che pure è il più «musicale», il più .ritmico», il più controllatamente «popolaresco» tra loro, potrebbero sposarsi con qualche risultato a delle note? Qualcuno dice che i due mondi — la poesia, la canzone — sono separati per l'atteggiamento troppo letterario, inamidato, aristocratico dei poeti. Io sono convinto che il problema è un altro: è la immensa diversità delle condizioni e delle funzioni di poesia e canzone nel mondo d'oggi. La condizione della poesia è tragica. Secondo lo scrittore Milan Kundera, la fine della poesia, l'assoluta perdita di significato della figura del poeta nell'Europa contemporanea è uno dei più rilevanti fatti storici, di cui nessuno quasi si accorge. Anche senza credere del tutto definitivo il giudizio di Kundera, bisogna riconoscere che la poesia in una società di massa perde il suo potere, e tende a vivere in una silenziosa marginalità. Il suo potere è stato quello di sognare il mondo in nuove forme, portare con se nuove visioni dell'amore, del dolore, della gioia, nuovi rapporti con le divinità. Campane a morto per la poesia, vogliono dire campane a morto per la civiltà europea: e io credo che la funzione della poesia oggi sia, dal suo esilio, quella di cercare la strada per la propria resurrezione. La canzone, invece, è prospera e felice: la sua presenza è continua, influente nella società di massa. Il rock si è rivelato il più potente tessuto connettivo del mondo giovanile, riproducendo sulla sua scala quei valori — l'eros, l'eroe, l'ebbrezza, lo struggimento, l'aggressività — che una pietosa morale ufficiale, tutta ragione e niente istinto, vorrebbe ,bandir.e,-.di cui l'uor mo, e l'uonip.giovane soprattutto, non può fare a meno. Se, come ha scritto Mircea Eliade, il massimo storico delle religioni al mondo, i valori possono degradarsi, ma non scompaiono mai, è vero che il rito collettivo del concerto rock esprime oggi, in forma impoverita, degradata, quella tensione corale che in altre epoche si espresse per esempio nel teatro e nella poesia. Dunque trovo più vicino al senso della poesia il rock che la cosiddetta «canzone d'autore«, le cui parole sono troppo spesso cascami dì poesie di secondo piano, e la cui musica è troppo spesso moscia e ripetitiva. Le canzonette in genere mi piacciono, anche quelle un po' sciocche, o quelle che narrano di amori estivi con donne straniere, o quelle che hanno celate malizie da cabaret. Trovo deliziosa da qualche tempo la fatuità con cui un uomo di spettacolo come Renzo Arbore mescola canzonette, ironia al quadrato e cialtroneria: la sua impertinenza allusiva, la sue eccentricità paesana e libertina, la sua estraneità alle idee per la quale sembra poterle sposare o sbeffeggiare tutte, ne fanno oggi un personaggio uscito da una costola di Dannunzio: un Dannunzio «leggero», da musical mediterraneo. La funzione della canzone, quando è una «bella canzone», è quella di costeggiare la nostra esistenza e di fissarsi a qualche momento per restituircelo, pieno di brividi di gioco o di nostalgia. Certamente non è poco: ma in troppi ormai pensano che questo basti a fare di certe canzoni arte. Non vedo mai un'intervista con il più provvisorio e melenso dei cantautori senza che qualche deferente intervistatrice non usi in punta di penna il termine «poeta». Bisogna mettersi d'accor do: l'intervistatrice può usar lo per dire «uomo che parla di cose dolcemente strane e malinconiche»: ma allora ci dice anche di avere un'idea molto modesta, a buon mercato, e malinconica della poesia. C'è una piccola borghesia intellettuale troppo borghesia per il rock e troppo piccola per Borges: a questa vengano lasciati i vagiti «poetici» di certi cantautori. Quelli bravi davvero — i migliori poi, come Pino Daniele, non si lasciano più nemmeno chiamare cosi — sanno di fare canzonette, e si guardano dai loro stessi devoti. Quando grazie a solerti deferenti compilatori nei libri di scuola si troveranno soltanto le loro canzoni, il giorno che i ragazzi dovranno studiare il testo di Bartali secondo Paolo Conte, il gioco sarà fatto, ci sarà qualche studente ribelle che clandestinamente, con un infinito senso di amore e di sorpresa, si metterà a leggere davvero Foscolo. Giuseppe Conte Il poeta laurealo offre di Intensi e felici, in Russia, i rapporti tra poesia e musica d'intrattenimento. Nel secolo scorso, versi di Puskln, Lermontov, Turgenev, Tjutcev si trasformarono, per opera di musicisti del genere -leggero», in romame struggenti, grazie alle più vitali tradizioni della musica popolare russa e zigana. Anche nel nostro secolo, versi di grandi poeti come Esenln sono stati felicemente musicati, raggiungendo una notevole popolarità: pensiamo alla celebre Lettera alla madre musicata da Lipatov e cavallo di battaglia dei cantanti dell'estrada (teatro leggero) zigana, come il popolarissimo Slicenko. Oggi il rapporto tra poesia e musica leggera è fecondo. La dh'a del rock sovietico Alla Pugaciova (ha timbro e vocalità eccezionali), in uno del suoi ultimi 33 giri (Zerkalo nascosto i suoi versi al cantautor dusci. Lo specchio dell'anima) canta persino un sonetto di Shakespeare, musicato da Boris Gorbonos. Poeti notissimi come Evtuscenko, Voznesenskij, Rozhdestvenski) non disdegnano di scrivere versi per l'estrada: non poche loro composizioni sono divenute canzoni assai popolari. Voznesenskij si è cimentato anclie in un'opera rock. Un altro genere di poesiacanzone ha avuto una notevole fortuna negli Anni 60 e 70, quelli del -dissenso-: presso il pubblico, naturalmente, non certo presso le autorità che l'hanno emarginata e perseguitata. E' stato il magnitlzdat. cfoé le registrazioni su nastro durante -concerti» in case private o in locali usati in modo semilegale, a rendere popolare questo genere, che affronta temi tabù: i lager; \J~* e (Disegno di Marantonio per gli zek (deportati) che ritornano a casa; l'arroganza e la stupidità dei burocrati; l'arte d'arrangiarsi della piccola gente; i tempi di Stalin. Aleksandr Galic (Ginzburg), morto esule a Parigi nel '78, attore formatosi alla scuola di Stanislavskij e autore di commedie di successo, ha scritto una lunga serie di poesie-canzoni in cui prevalgono, sempre con grande misura, la satira e la denuncia: la prima si rivolge contro la burocrazia di partito stolta e arrogante; la seconda contro gli abusi e le atrocità degli Anni Trenta e Quaranta. Le sue liriche più belle (Nubi, Il treno) evocano la tragedia dei lager: Auschioitz e la Kolyma sono i segni di uno stesso secolo terribile. Vladimir Vysotsktj (muore d'infarto nel luglio 'SO a soli 42 anni: i suoi funerali, a Mo- «Stampa Sera del lunedi») sca, si trasformano in una manifestazione popolare cui partecipano migliaia di moscoviti, nonostante il silenzio della stampa e l'imponente schieramento di polizia) è stata una personalità straordinaria: tra i principali attori della Taganka di Ljubimov, interprete di Shakespeare e di Dostoevskij, dotato di una voce aspra e inconfondibile, trascinante (quasi avesse le corde vocali bruciate dall'alcool e dalle sue canzoni urlate), ha cantato la disperazione dei reduci del lager (La stufa incandescente, le Storie d'amore e di coltello; della gente del -sottosuolo» (ladri, prostitute), la durezza della vita quotidiana (La corda tesa). Attore affermato e di grande talento potè incidere in patria pochissimi dischi (per giunta, con le composizioni più deboli); notevolissime sono alcune incisioni, durante suoi brevi soggiorni a Parigi (era marito dell'attrice francese Marina Vlady). Il più lirico e delicato dei bardy (poeti-cantori) è Bulat Okudzhova: vive a Mosca ed è un romanziere di successo: ma è più noto in Urss come chansonnier, dai toni a mezzavoce, dimessi, e dal semplicissimo impianto musicale. Accompagnato dalla chitarra canta la guerra con toni diametralmente opposti a quelli ufficiali, senza fanfare o trionfalismi: la guerra è solo sofferenza, morte, dura tonta nanza (La strada di Smolensk, Canzone degli scarponi militari,). Okudzhava canta anche la l'Ite quotidiana, nel suo grigiore a volte disperato, negli inganni e nelle sopraffazioni di cui è intessuta (Il gatto nero). Notevoli le sue liriche su Mosca notturna (L'ultimo Ltrarfll o sui vecchi quartier^ che sqoinpqfonq per i.disseh naii'.'sventramenti (Oh mio ArbaU. Piero Sinatti Se il lettore italiano sfoglia un'antologia della poesia tedesca, scopre che alla fine del volume è presente una «note musicale» che gli consente di fare degli accoppiamenti al quali da solo non avrebbe pensato: HOlderlin e Brahms, Schiller e Beethoven, Goethe e Schubert. Tutti 1 più grandi musicisti hanno lavorato sulle parole di tutti i più grandi poeti. Una tradizione ineguagliabile, che ha fatto della Germania dell'800 11 Paese «musicale» per eccellenza. Nel nostro secolo è toccato al poeta tedesco più noto, Brecht, di vivere, in forme nuove, una proverbiale collaborazione col musicista Kurt Weill (l'Opera da ire soldi). Altrove il fenomeno non è cosi accentuato. Grandi poeti francesi si sono dovuti accontentare di musiche più flebili, In certi casi cucite sui loro testi più tardi, in un clima culturale molto cambiato. Prendiamo Baudelaire: canzoni su testi dell'iniziatore della poesia moderna sono slate composte in piena «moda» esistenzialista, sotto una specie di patrocinio sartriano, accentuandone gli aspetti ribelli, scandalosi. La Francia ha in ogni caso la sua tradizione di chansonniers, dove poesia e musica vanno a braccetto, anche se talvolta per strada perdono entrambe qualcosa. Per esempio, la facile cantabilità delle parole di Prévert non è proprio sempre un pregio. Nel mondo anglosassone, il rapporto poesia-canzone nel dopoguerra ha sullo sfondo una cultura come quella beat. Il verso di Kerouac è tagliato In modo tale da echeggiare il jazz e da preludere al verso lungo, ispido della mlglipre canzone rock. Ginsberg, Corso, Ferlinghettl continuano cott"li*' loW) vocalità direttamente ' comunicativa, non lontana-da quella della musica, una tradizione del canto istantaneo cominciato In America da Walt Whitman. Ginsberg canta le sue poesie: e con una intensità e una grazia tra gigionesca e orientale che può respingere o rapire. Incontrai per la prima volta Ginsberg a Genova, a una festa In terrazza, senza la eelebre barba, vestito come un professore: non aveva quasi nulla di magnetico. Ma il giorno dopo, sul palco del teatro Alcione affollato, lo rividi con una armonica in mano e lo sentii intonare, con la sua voce salmodiarne, una poesia di William Blake: bisogna dire che i versi di William Blake, il visionario poeta inglese tra '700 e '800, il poeta artigiano, popolano e profeta, proprio per una loro interna dimensione si prestano molto a essere cantati. Ricordo che trasalii appena riconobbi le parole incandescenti di The Tiger, La Tigre: -Tigre tigre che splendi che bruci i nelle foreste della notte...». LI Ginsberg cantando riusciva a far capire che la poesia è energia feroce. Anche dopo il tramonto della generazione «beat», il rapporto tra poesia e canzone è rimasto stretto nei Paesi di lìngua inglese. Roger McGough racconta che il pubblico nelle sue letture a Liverpool negli Anni 60 considerava la poesia come -un aspetto del movimento pop», senza più nessun legame con la cultura letteraria. E basta sfogliare un'antologia di giovani autori inglesi, siano essi di Liverpool, come Brian Patten, o di Londra, come Pete Brown: si vedrà che sono quasi tutti coinvolti dal rock, sia come componenti di piccoli complessi, sia come autori di testi di canzoni. Non è detto però che rifiutando la cultura letteraria i risultati siano più freschi: alle volte sono semplicemente più banali e caduchi. Invece sentite come uno dei più grandi maestri di cultura letteraria oggi nel mondo, Jorge Luis Borges, rievoca le canzoni del sobborghi malfamati di Buenos Aires in questa milonga. E' Manuel Flores che parla, un condannato a morte: -E tuttavia mi duole dover dire addio alla vita, questa cosa cosi antica, cosi dolce e conosciuta»: non c'è qui un'immediatezza limpida che vince lo spazio e il tempo, come è sempre quella della poesia e del canto? g. c. « —