La donna pagò caro l'accesso alle urne. Ora ha un ruolo determinante

La donna pagò caro l'accesso alle urne. Ora ha un ruolo determinante La donna pagò caro l'accesso alle urne. Ora ha un ruolo determinante Quando arrivò ad affermare: «Sono elettori tutti i cittadini che hanno raggiunto la maggiore età», l'Assemblea Costituente senti il dovere di precisare che quel tutti comprende «uomini e donne». Il riconoscimento del diritto femminile di voto risaliva, in Italia, all'autunno 1925: ma ristretto alle sole amministrazioni locali. D'altra parte, la tradizione politica classica aveva sempre pensato che le società dominate dalle Semiramide dalle Didòne.'daHe Erogarle (potevano- mai ■csser'diveree le femmine?) dovessero inevitabilmente finir male. Anche i più spregiudicati fra i Greci e i Romani antichi ritenevano che alle donne toccasse rimanere in casa a filar la lana. L'avvento del cristianesimo, riservando l'ordinazione sacra ai soli maschi integri, riaffermò l'antica tradizione dei culti solari, perpetuati, nel Medioevo, dagli ordini religiosi-cavallereschi: col conseguente monopolio maschile nel governo della società, di cui peraltro i guerrieri portavano il carico maggiore (o almeno il più appariscente). Nel 1793, malgrado il Cahier des doléances des femvies di mademoiselle de Kéralio, la stessa Rivoluzione francese estese il diritto di voto agli stranieri temporaneamente residenti in Francia, ma continuò a relegare le Giuseppine Beauharnais nei salotti. Eppure, le teste ghigliottinate di Maria Antonietta, della principessa di Lamballe e di tante altre pretese reazionarie, non stavano appunto a dire che le donne avevano tanto peso politico da esser considerate un pericolo per la «rivoluzione»? Le rivendicazioni femministe di Olympe de Gouges, alla quale si deve la so¬ lenne Dichiarazione dei diritti delle donne (1793), rimasero però lettere morte, come la Vendication dei medesimi diritti avanzati in Gran Bretagna da Mary Wollstonecraft nel 1792. Fu poi dal pugnace pamphlet d'un maschio — The subjection of women, di John Stuart Mill — che prese avvio la lotta femminista per l'accesso alle urne, simboleggiate dalla leggendaria Emmeline Pankhurst." 'uAljjrtoooosclmento dei-flfc ritto di voto femminile in molti- Paesi -europei non1 si giunse però che all'indomani della grande guerra: dopo che per quattro-cinque anni gran parte delle donne era stata Inquadrata nelle fabbriche e nei campi, in sostituzione di mariti, padri, fratelli, figli, mobilitati e inchiodati al fronte. Il-voto fu dunque una conquista pagata dalle donne a carissimo prezzo. Peggio: esso fu anche la contropartita per un inquadramento coatto che si sarebbe ripetuto tante altre volte nella storia. Non era cioè sempre e necessariamente il segno che le donne erano più libere di dettare le loro volontà. Spesso era solo la ratifica della loro forzata integrazione in una società che continuava a passare da una guerra all'altra e che usava il loro voto per farsi allargare la base del consenso, non per consentire una scelta diversa. Nell'Italia repubblicana dal voto femminile è invece scaturita una dirigenza che nell'elezione di una donna alla presidenza della Camera ha sintetizzato il riconoscimento per il peso determinante esercitato dall'«altra metà del cielo», non solo alle urne ma in ogni settore della vita nazionale. a. a. m. In piena guerra fredda Per ragioni anagrafiche ho votato solo nel 1953, in piena guerra fredda. Ma di quel volo non ho ricordi. Il mio primo vero incontro con la democrazia si era già consumalo nel 1945-'46. Facevo il liceo a Viterbo e c'erano i turni pomeridiani. Quando si apri la campagna del referendum Monarchia-Repubblica arrivavano i grandi leaders. Allora saltavo sistematicamente la scuola per andarli a sentire in piazza o in teatro. De Gasperi, Nenni, Togliatti, Saragat: ogni loro parola era un segnale di luce nella mente di un quindicenne condizionalo a ritenere che qualcuno (uno solo) avesse sempre ragione. La mia provincia era tutta monarchica. Nella mia classe eravamo soltanto in due a pronunciarci repubblicani. Non avevamo l'età per votare, ma impiegavamo le nostre energie in un proselitismo scatenato: non votavamo ma facevamo votare Repubblica. I miei primi sentimenti politici e il mio voto pubblico si sono Insomma espressi cosi. Domenico Rosati Presidente delle Adi

Persone citate: Beauharnais, De Gasperi, Domenico Rosati, Greci, John Stuart Mill, Maria Antonietta, Mary Wollstonecraft, Nenni, Saragat, Togliatti

Luoghi citati: Francia, Gran Bretagna, Italia, Viterbo