Pazzia o commedia guai è il suo gioco? di Roberto Martinelli

Pazzia o commedia guai è il suo gioco? Pazzia o commedia guai è il suo gioco? ROMA — Pazzo criminale o abile commediante? La nuova sceneggiata di Ali Agca sul mistero di Fatima impone ai giudici una scelta e una riflessione. Ali, il turco che sparò a Giovanni Paolo II, può anche essere le due cose insieme, pazzo e commediante; ma allora e legittimo chiedersi quanto vale la sua parola, quella di ('testimone della corona» sulla quale la giustizia ha imbastito un sofisticato processo penale contro i presunti esecutori di un complotto internazionale che porta diritto all'ergastolo. La recita di ieri ha gettato sgomento e imbarazzo nell'aula della Corte di Assise. Per un momento si è avuta l'impressione che tutto il castello dell'accusa, cosi pazientemente cucito sulle spalle degli imputati, si frantumasse. Poi c sopraggiunta la riflessione, si e fatto avanti il dubbio, si è affacciata l'ipotesi che l'uomo stesse recitando una parte, un ruolo combinato e studiato a lungo per imbrogliare ancora le carte, per prendere tempo, per mistificare sacro e profano in quella che per lui è una partita perduta. E se pure fosse cosi, il processo non è ormai compromesso? Quale certezza potrà mai venire da un uomo che dice di essere Cristo e si definisce profeta del mondo? Fino a che punto indizi e «prove» provenienti da una simile fonte possono ancora avere dirittadicirta»'dinanza nella dialettica delle fonti processuali? La difesa dei bulgari ha tutto il diritto di guardare con ottimismo alla sentenza. Alla difesa del turco non resta che allargare le braccia: si aspettava una simile carnevalata e sapeva di essere impotente. Agca è difeso ancora oggi da un difensore di ufficio, al quale ha imposto di non chiedere alcuna perizia psichiatrica. Il giudice attende, prende tempo, aspetta che il turco si sfoghi, poi lo isola dagli altri imputati, lo punisce nel suo protagonismo. E rimanda il suo interrogatorio a tempi migliori. E' una tattica giusta? Nessuno può dire. Una cosa è certa. Il giudice che presiede questa Corte conosce Ali Agca meglio di tutti, gli ha già inflitto il carcere a vita e, per giorni e giorni, ha spiato il suo comportamento, le sue reazioni, il suo modo di agire. Ed alla fine ha tratto una sua convinzione: «Agca — è scritto nella sentenza di condanna — ha sempre palesato riflessi e doli di equilibrio non comuni, che autorizzano la diagnosi di piena maturità psichica e di rilevante pericolosità». Parole che sono pietre, condivise in pieno dal giudice istruttore, il quale ha costruito il processo sul complotto. Di più, il magistrato si è posto subito il problema della sanità mentale del turco. C'è un capitolo dell'ordinanza che affronta questo tema. E vi si legge che mai si è avuto il dubbio, né da parte dei giudici italiani, né di quelli di .altri Stati, sulla integrità mentale di Agca. Sul come si è giunti a tale conclusione si dice poco: che egli ha «constamente mostrato di avere ben conservate ed integre le sue capacità di discernimento sin dal memento del suo arresto». ,Un medico, lp esaminò e ne constatò la «prontezza e la padronanza di sé» e ne apprezzò «la normalità del comportamento reattivo e un sensorio bene ambientato nel luogo e nello spazio». Fin qui la diagnosi di allora. Resta da stabilire se uno psichiatra, vedendo esibirsi Ali Agca nel suo «a solo» di Cristo redivivo e di depositario di misteri divini, possa oggi confermare il giudizio di ieri. Come dire che un simile comportamento non può non incombere come pesante ipoteca su tutto il processo, su una «verità» che l'imputato ha faticosamente affidato alla giustizia italiana chissà per quali scopi o motivi misteriosi. Roberto Martinelli

Persone citate: Agca, Ali Agca, Giovanni Paolo Ii

Luoghi citati: Roma