Un record a prezzo di droga di Furio Colombo

Un record a prezzo di droga SCANDALO IN AMERICA; LA COCAINA NEL MONDO DELLO SPORT Un record a prezzo di droga Il Gotha dei campioni sotto inchiesta - Peter Ueberroth: «D'ora in poi controlli medici senza indulgenze» - Due ricercatori californiani: «Il valore sportivo si è spostato dal gareggiare al vincere» - Una «cultura dell'eccesso, della solitudine, dell'uno contro tutti, del primato ad ogni costo» - La Clinica del tennis e i futuri campioni - Storie esemplari di idoli delle folle NEW YORK — II dramma che in questo momento appassiona l'America ha due personaggi esemplari, il giovanissimo Alan Wiggins, che guida la squadra di baseball dei San Diego Padres e scatena le folle con la sua indiavolata bravura, e un ex campione sul viale del tramonto, Dennis Vale McLaln, detto Dcnny, che fino al 1970 è stato il mito dei bambini d'America. Dcnny McLain è un drogato, condannato a ventanni per spaccio di cocaina. Alan Wiggins è sotto inchiesta per la stessa ragione, rischia molto perché è già stato condannato una volta. Rischia ancora di più la sua squadra, perché Wiggins, da solo, ha segnato finora tutti i punti del campionato. Sul fondo della scena c'è un gruppo abbastanza grande di comprimari. L'Fbl ha aperto un'inchiesta a Pittsburgh, e fra coloro che sono stati chiamati dal 'Grand Jury» a testimoniare sull'uso della droga nella vita sportiva figura il Gotha dei campioni d'America. Ma la scoperta che ha colpito di più il Paese è che la eccellente' squadra di pallacanestro della Tulane University era drogata al completo. Cocaina. Impressiona che si tratti di una squadra universitaria. Impressiona ancora di più che nessuno degli atleti indiziati abbia compiuto ventanni. Spaventa la domanda se la loro incredibile differenza di prestazioni rispetto alle squadre rivali non fosse soprattutto dovuta alla pratica di droga. Al centro del dramma, un personaggio che gli sportivi del mondo hanno cominciato a conoscere durante le Olimpiadi di Los Angeles, che ha organizzato: Peter Ueberroth, avvocato e uomo d'affari, che adesso è il •commissioner» per il baseball, cioè amato. Ueberroth ha fatto sapere di avere aperto una inchiesta, precisa che il suo impegno non è contro i giocatori, ma contro le organizzazioni criminali che si sono infiltrate nello sport. Gli spacciatori, a quanto pare, hanno trovato il modo di agganciare due rami diversi della loro attività in un unico 'business*. Ricattano i giocatori drogati per controllare l'esito delle partite e vincere sulle scommesse. Una volta raggiunto lo scopo, pagano in droga. liiomo chiave dello sport piit Ueberroth ha scelto la strada delle dichiarazioni pubbliche perché, dice, «ho valutato la gravita del peri colo.. HaJpttaato che «(orse slamo all'ultima fermata dell'autobus. O sconfiggiamo 11 'problema adèsso o avremo perduto la battaglia*. Il modo drammatico in cui ha scelto di entrare in campo gli ha consentito di vìncere le resistenze fortissime dei giocatori, dei titolari di squadre, degli organizzatori. D'ora in poi il controllo medico avverrà senza preavviso, nessun nome sarà tenuto segreto, nessun caso sarà risolto •amichevolmente' come sembra sia avvenuto in passato. Ueberroth ha di fronte a sé iti muro di coloro che vedono nella sua iniziativa «una disgrazia per lo sport*. E il muro ancora piti duro di coloro che temono le conseguente economiche. «Si tratta di un mercato di miliardi di dollari*, ha avvertito Michael Goodwin del New York Times. Nel caso di Wiggins, i legali della squadra San Diego Padres già si pongono il problema dei danni — che sarebbero immensi — nel caso che l'assenza forzata di quell'atleta porti il San Diego fuori dalla serie A del baseball, a cui appartiene. Altri temono il crollo dell'intera credibilità dello sport, la contestazione del risultato di ogni partita. Ma c'è chi dice che, per capire davvero quello che sta succedendo, Peter Ueberroth dovrebbe guardare indietro, dovrebbe ripensare ai giorni delle Olimpiadi, in cui l'atleta italiano Pietro Menneaha dichiarato: «Mi ritiro perché non voglio drogarmi per battere un record. Nello sport di oggi tutti usano sostanze proibite pur di vincere*. Due professori della University of Southern California, J. Tillman Hall e John Callaghan, che hanno raccolto dopo le Olimpiadi centinaia di dichiarazioni del genere, hanno suggerito di recente a Los Angeles di concentrare l'attenzione sulla seconda parte di quella frase, •sul fatto che il valore di un evento sportivo si è spostato dal competere al vincere, dal prendere parte a una gara al distruggere l'avversario, dal gareggiare bene al raggiungere 11 primato inaudito e assoluto*. Dicono: *SI è perso nello sport quel senso del gioco collettivo che è un simbolo e una metafora della civiltà umana. La vittoria è un obiettivo naturale, ma il primato è diventato ossessione* e ricordano due storie esemplari. Una è quella del campione di nuoto americano Rick Carey che voleva rifiutare la medaglia d'oro perché, nonostante la vittoria ottenuta per sé, per il suo team e per il suo Paese, non aveva raggiunto, nella gara olimpica, il suo 'personal best', e questo fatto lo aveva gettato in una tempesta di rabbia. L'altro episodio è quello, celebre in tutto il mondo, della signora svizzera Gaby Schiess-A ndersen che verso la fine della maratona olimpica ha rischiato di morire di insolazione, disidratazione, stanchezza, perché nessun commissario di gara ha voluto fermarla. «La cultura dell'eccesso ha avuto la meglio sulla cultura del buon senso*, osservano Hall e Callaghan. Dicono che questa cultura è particolarmente radicata nel comportamento americano. La scelta oscura dei commissari di gara è stata: «Meglio morire che ritirarsi*, affermano i due docenti californiani. «Questo è il messaggio che hanno passato a milioni di giovani in tutto il monda E' un messaggio estremo, stravolto. E' un messaggio che si ambienta bene nella spinta all'eccesso, tipica della droga*. Ma proprio questa è la grande attenuante della squadra di pallacanestro di Tulane. I campioni universitari sono di solito ragazzi poveri e dotati che diventano milionari all'istante. Ma l'incanto ti dissolve se c'è una sconfitta. Perdere, per quei ragazzi, vuol dire davvero morire. A sostegno di questa interpretazione c'è l'altra. Il successo sportivo, nella versione dirompente e assoluta' che l'organizzazione dello sport rende oggi possibile, non vuol dire solo danaro. •il guadagnare tanto a vent'annl non è la cosa che stravolge di piti la personalità di un ragazzo — osserva Barry Rana, capo del "Player Relations Committee", un organismo che rappresenta l giocatori —, quello che cambia la vita è lo stordimento del successo, la celebrità istantanea, l'adorazione della folla, del media, del Paese. Si entra In un tunnel dal quale è terribile uscire*. L'analogia fra cultura della droga e cultura dello sport, spinto ai limiti estremi del culto del campione e del'■la sua 'performance; è elidente. Lo è, almeno, secondo .1 due professori della University of Southern California, che nel loro seminario hanno collezionato e discusso migliaia di dati e centinaia di storie per proporre il dubbio che lo sport del numeri, del records, del vincere a tutti t costi sia drogato prima ancora di toccare la droga, drogato nel comportamento e nella immagine della vita. Hanno ricordato il caso — e il pericolo — degli atleti che a Los Angeles si sottoponevano al cambio del sangue' per avere energie fresche. Hanno discusso la famosa 'Cllnica del tennis, in cui bambini fra i sei e t dodici anni devono allenarsi sette ore al giorno nel tentativo di raggiungere, entro i quindici anni, un livello superiore a quello dei campioni di questa generazione. Il caso è celebre perché giudici e tribunali hanno tentato varie volte di intervenire. Un programma televisivo americano, 60 Minutes. ha filmato sequenze ih cut si vede il modo in cut i bambini vengono spinti l'uno contro l'altro, incitati a «sbaragliare il nemico., insultati in caso di sconfitta, con il permesso e la presenza Cei genitori. n giomc"-ta Rosenberg del Los Angìes Times ha ricordato il caso di Mary Decker, la giovanissima campionessa americana dei tremila metri. «Guardatela, quando compete. Mary si avvicina alla pista come un prigioniero chiamato dai secondini. Nel suol occhi si vede uno sguardo disperato diretto a qualcosa che sembra non voglia vedere. Vive costantemente nella paura del peggio o come se avesse appena ricevuto una tremenda notizia. Io mi domando: non c'è qualche cosa di sbagliato nel modo in cui si spinge la gente giovane a praticare lo sport?*. Ha parlato per ultima Pat Me Cormtck, che è stata quattro volte medaglia d'oro di nuoto. «Ero a Helsinki e sono scesa dalla piattaforma con la mia medaglia d'oro al colla Era come se entrassi in un corridoio nero. In un mondo dominato dalla vittoria, la mia vita in quel momento finiva. Avevo vent'annl. Se ci fosse stata droga intorno, a quel tempo, credete che sarei sfuggita? Il giorno dopo la vittoria è stato il più brutto della mia vita. E sei mesi dopo, un anno dopo. Ho dovuto faticosamente imparare a rinascere come una qualunque normale persona giovane*. La conclusione degli studiosi californiani è questa: «Lo sport e la droga si sono Incontrati quando lo sport, come la droga, è diventato cultura dell'eccesso, cultura della solitudine, cultura dell'uno contro tutti, cultura dello sdegno per ogni condizione "normale", senza solidarietà e senza gioia*. Furio Colombo ■ 1 xis Angeles. Una drammatica immagine dello sport portato all'eccesso: Gaby Schiess Andersen crolla sul traguardo della maratona femminile alle Olimpiadi del 1984. Nessuno l'aveva costretta a desistere, benché abbia rischiato la morte per disidratazione e sfinimento