Gli inganni del re di Luigi Salvatorelli

Gli inganni del re 24 MAGGIO, UN COLPO DI STATO Gli inganni del re Fu Luigi Salvatorelli a definire il 24 maggio 191) come il primo dei tre colpi di Stato del la monarchia. Colpo di Stato il 28 ottobre 1922: non c'era dubbio. Colpo di Stato il 25 luglio 194): era la denominazione comune. Ma quando il compianto studioso lanciò la formula dei tre colpi di Stato sulle pagine del Potile calamandrciano, nell'aprile 1950, la storiografia liberale era ancorata al senso della prima guerra mondiale come ultima guerra del Risorgimento, nel solco della identità fra valori liberali e valori nazionali. Il giolittiano integrale e fedelissimo si scostava dal mito, lanciava un preciso capo d'accusa. E come? La rottura costituzionale dell'Italia liberale era identificata dall'antico direttore della Stampa nella frattura fra la maggioranza parlamentare e la corona sull'intervento. Giolitti, il kaaer della maggioranza parlamentare di cui lo stesso governo Salandra era espressione, era stato ignorato 0 aggirato durante il doppio negoziato con l'Intesa e con la Triplice, non era stato mai preventivamente informato dei termini e delle scadenze del patto di Londra. Nella famosa giornata del 10 maggio 1915 la maggioranza parlamentare si era espressa a favore della neutralità e della trattativa con gli Imperi centrali attraverso i trecento biglietti da visita dei deputati lasciati alla residenza privata di Giolitti (più cento senatori). E proprio in quanto tutti, la maggioranza e il loro leader, ritenevano che sopravvivesse una libertà d'azione sufficiente a tenere l'Italia fuori dal conflitto, che la corona non avesse impegnato i destini della nazione al di fuori degli orientamenti prevalenti nel Parlamento. Si può discutere all'infinito la tesi di Salvatorelli, stimolante come tutte le sue tesi. M» •un-'punto è certo: nessun intervento nella guerra mondiate" '14-18 passò attraverso un travaglio costituzionale e di anime cosi profondo come quello che lacerò l'Italia fra il luglio 1914 e il maggio 1915. A settantanni da quel giorno ricompaiono tutte le antinomie insolute della nostra storia, tutte le contraddizioni irrisolte di un paesaggio civile e politico che subì da allora una duplicità insanabile. Una vicenda pirandelliana. All'inizio unanimità sull'interpretazione, condivisa da tutti, Giolitti in testa, dell'ultimatum austriaco alla Serbia come atto offensivo che usciva dai limiti difensivi degli obblighi della Triplice Alleanza. Un Consiglio dei ministri prolungatosi per due giorni interi senza soste, fra il 1° e il 2 agosto, che decide la neutralità: aggiunge «vigile», ma neutralità. Cadorna, il capo di stato maggiore dell'esercito, che ha preso da poche settimane ii posto di Pollio, austrofilo e germanofìlo come nessun altro, che prepara subito, privo com'è di contatti col governo, 1 piani d'attacco a fianco degli austro-tedeschi. Il 1° agosto egli è pronto a mandare un corpo di spedizione sul Reno, secondo le decisioni comprese nel testo recentemente rinnovato della Triplice (si veda la bella biografia di Gianni Rocca). Neutralità? In poche settimane tutto cambia. La monarchia, sempre incerta sulla sua legittimità ideale, sente salite 11 grande moto neutralista delle masse socialiste e cattoliche, ma avverte anche come le ilites risorgimentali, compresa quella repubblicana, si orientino verso l'intervento a favore delle potenze occidentali. E' una carta che non può essere lasciata all'opposizione democratica e tanto meno a quella istituzionale: sarà il chiodo fisso di Sonnino, non appena s novembre arriverà al ministero degli Esteri. L'Italia medita il rovesciamento delle alleanze ma lo avvia con la tecnica ambigua del piccolo Piemonte del Settecento. Il paese, per molti mesi, è distratto e svogliato. Giolitti lo interpreta perfettamente quando punta alla neutralità. La vera svolta è nell'ottobre '14, e in quella svolta ha un peso non secondario un esponente rivoluzionario del socialismo dagli occhi allucinati che aveva spaventato fino a quel momento la borghesia italiana e che diventerà il campione post-bellico della riscossa nazional-borghese, Benito Mussolini. L'ambasciata francese finanzia // popolo d'Italia. Le grandi industrie si orientano verso lo sforzo bellico, una volta accortesi dell'impossibilità di portare l'Italia in guerra a fianco degli Imperi centrali. In settembre l'offensiva della Marna è arrestata dai francesi e da ottobre a novembre comincia in Italia l'attacco interventistico che parte da quel piccolo varco nel partito socialista (il quale resterà in grandissima maggioranza ancorato alla neutralità), abbraccia tutte le forze che mettono in discussione la monarchia c lo stai» quo, a cominciare dal partito repubblicano. Nell'interventismo si riconoscono la sinistra democratica italiana, coi repubblicani e i radicali, la massoneria, le forze del liberalismo più inquieto, i movimenti anticipatori di opinione (a Firenze La Voce e Lacerbà). Si prepara il 24 maggio attraverso una rete di intrighi e di inganni. Le trattative condotte con gli Imperi centrali si interrompono a febbraio; ma quando riprendono nel marzo '15, l'Italia ha già iniziato il negoziato su due tavoli: mentre discute con Berlino e con Vienna sottoscrive il patto di Londra. 26 aprile 1915: è previsto che entro un mese l'Italia debba scendete in campo a fianco delle potenze dell'Intesa. Lo sa il Re; lo sa il presidente del Consiglio; non lo sa Giolitti,che vive da qualche mese, diffidente e accigliato, a Cavour, più che mai convinto delle conseguenze disastrose della guerra su un organismo impreparato come l'Italia. La commissione bilancio della Camera taglia i fondi ne¬ cessari per I» difesa; l'impreparazione militare è somma. Tutte le conseguenze della spedizione di Libia si fanno ancora sentire (tanto maggiori del previsto per perdite umane e per impieghi di mezzi). Cadorna in pochi mesi ha dovuto rovesciare tutto lo schieramento, ma ormai lavora, con l'ostinazione e la caparbietà che lo distinguono, per il piano che pagheremo con centi-, naia di migliaia di morti. Il paese reale è fuori. Lo interpreta ancora una volta Giolitti: ma con quali possibilità di incidere sul corso della storia? E' vero. L'ex presidente del Consiglio si decide a andare a Roma, il 10 maggio incontra il Re. Esige di essere preso dalla vettura reale per dimostrare che non ha sollecitato rincontro. Espone al Re tutte le sue obiezioni alla guerra. Il Re lo ascolta preoccupato ma non gli dice la verità Non gli dice che ha già firmato un'intesa automatica con i futuri alleati, che dovrebbe abdicare nella migliore delle ipotesi se non la potesse rispettare. In quel clima si arriva alle dimissioni di Salandra a metà maggio. Giolitti è incaricato di fare il governo, ma egli ha capito che ormai la monarchia è prigioniera. Rinuncia all'incarico, consente che tutti i JJQrJ teri "sìanó'conferiti al governò» Salandra che era minoritario nella coscienza nazionale e negli equilibri parlamentari. E si aprirà cosi quella guarà che giustamente Fortunato chiamerà «sovvertitrice». Sovvertitrice degli equilibri parlamentari non meno che dello Stato liberale; destinata a concludersi nel fascismo, smentendo le idealità risorgimentali che l'avevano ispirata. Non guerra o rivoluzione; ma guerra c rivoluzione. Giovanni Spadolini