Per James Stewart il sogno non finisce di Lietta Tornabuoni

Per James Stewart il sogno non finisce PERSONE di Lietta Tornabuoni Per James Stewart il sogno non finisce DAL NOSTRO INVIATO CANNES — Cosa possono avere in comune un divo americano del passato c un ministro italiano del presente? Magari il fatto di vivere nel sogno. Con la facile semplicità con cui le cose accadono nei sogni, il ministro Lagone elenca le cure per il nostro cinema malato: « Primo, un'industria più forte e tecnologicamente più evoluta, con una produzione assai diversificata. Secondo, fare film migliori. Terzo, eostruire o ricostruire sale cinematografiche modernamente attrezzate e confortevoli». Ha appena finito di dire che la situazione è difficile, che gli snettatori sono diminuiti, cne nel 1984 sono stati proiettati nei cinema 350 film mentre i passaggi di film alle televisioni sono slati cinquemila. Eppure: (Bisogna cercare di fare di più e meglio degli americani. L'albero del cinema italiano ha ancora radici molto sane. Aiutatevi, che Dio v'aiuta. Da Cannes, possiamo rivolgere ragionatamente una parola di fiducia alla gente del cinema». James Stewart compie 77 anni lunedi: è bianchissimo, alto, fragile, infinitamente simpatico, a volte profondamente distratto. Il Festival di Cannes, dopo gli americani c i tedeschi, arriva per ultimo a rendergli omaggio, e naturalmente ha scelto l'occasione meno disinteressala, più commerciale: il film di trent'anni fa in cui Stewart recita la biografia del musicista Glenn Mi!- a 1er"nbrt -è" bello, "non" "è" neppure uno dei classici dei grande cinema popolare americano che hanno guadagnato all'attore celebrità, affetti, nostalgie. La Univcrsal l'ha rieditato e rilanciato perché ha visto che i vecchi film di Stewart rimessi in circolazione avevano avuto molto successo: quelli erano diretti da Hitchcock, il che fa una certa differenza, ma la Univcrsal possedeva «Glenn Miller Story» e quello ha ritirato fuori. Cosi James Stewart, nell'ombra di un salotto nell'albergo più bello della Costa, si ritrova a Cap d'Antibcs a parlare irragionevolmente di jazz,' della propria scarsa abilità nel suonare la tromba, di Cab Calloway e del leggendario Cotton Club. 'Parla lentamente («Non sono mai stato capace di parlare bene e in fretta: se no a quest'ora il Presidente sarei io, invece di Reagan»), veste elegantemente (giacca blu, camicia rosa adatta alla tv), tratta galantemente la scssantottenne Junc Allyson, sua partner di allora e di adesso. Vedere i propri vecchi film alla tv, dice, è spesso una novità: «Spesso è la prima volta. Allora ero giovane, e i giovani non danno troppa importanza a quel che fanno, sanno di avere tempo. Allora io non ne avevo: fare l'attore era un lavoro quotidiano di otto ore al giorno, per cinquantadue settimane l'anno; a un certo punto, verso la fine dei Trenta, ho giralo anche tre film diversi contemporaneamente; se non c'era lavoro ti prestavano ad altri, una volta io venni prestato alla Universal in cambio di un terreno che il mio produttore aveva interesse a utilizzare. A Hollywood eravamo dipenden- > ti, però padroni come Mayer o Zanuck avevano grande talento organizzativo e creativo». Gli uomini a cui deve di più, dice Stewart, sono almeno quattro. Suo padre, che gli insegnò quanto fosse importante il lavoro. Joshua Logan, il • teatrante e regista che era 'stalor.j.suo^compagno di/ . scuola, ieìiza il quale fi#*M se non avrebbe mai fatto l'attore. Frank Capra, che lo inventò come immagine cinematografica dell amcricano individualista, ingenuo c ottimista, simpatico c affamato di giustizia; che al suo ritorno a Hollywood dopo cinque anni passati in guerra gli dette subito da lavorare (e per di più il film era La vita è meravigliosa); che adesso è quasi cieco. E Hitchcock, naturalmente. Oggi, dopo cinquantanni di vita bellissima, anche la vecchiaia gli ha portato qualcosa di meraviglioso: «Non sto più in ansia per il futuro».

Luoghi citati: Cannes, Hollywood