Nelle città perdute
Nelle città perdute ASPETTANDO UNA NUOVA CULTURA Nelle città perdute Non convincono le spiegazioni comuniste sul tramonto delle giunte rosse: il «tradimento» socialista, ('«assalto» di Comunione e Liberazione, gli stessi errori imputati a Natta sono solo fenomeni derivati da un processo più profondo. Se, come dice Rossana Rossanda, il pei aveva smarrito già con Berlinguer la capacità di cogliere i mutamenti della società, rifiutando «quel che non slava nelle sue categorie», il motivo va ricercato nella impossibilità di rispondere alle nuove domande dei ceti urbani senza mettere in gioco convinzioni e sentimenti talmente radicati da confondersi con la stessa matrice originaria del pei. Le giunte rosse cadono, infatti, proprio perché è arrivata ad esaurimento una tradizione che ebbe grandissimi meriti e che il comunismo italiano aveva saputo far propria, quella del «socialismo municipale» prefascista, recuperata con slancio dalle giunte di sinistra nella ricostruzione post-bellica e riemersa, senza più quella progettualità e tensione, nel decennio che ora si chiude. La prova venne in questa fase affrontata senza capire che lo schema precedente era sorpassato e che «la questione sociale non è più la questione della città». Come spiega in un attualissimo libro di interviste ad alcuni borgomastri-tipo Michele Dau («Sviluppo economico e governo delle città in Europa», ed. il Mulino), mentre altrove si verifica uno spettacolare salto di qualità, «la cultura politica italiana sembra inadeguata di fronte alla città moderna c incapace di disegnare il suo futuro, quasi fosse destinata ad un degrado tanto continuo quanto inesplicabile, magari addolcito da qualche festa urbana di massa». Il culto della crescita edilizia si è accompagnato frattanto alla difesa a oltranza dell'equo canone per cui a Roma, come scrive Antonio Cedema, il verde residuo viene divorato al ritmo di 2,7 ettari al giorno mentre la città ha già un milione di stanze più degli abitanti. Altri giudizi impietosi si sprecano in questi giorni sull'operato di sindaci e assessori tanto che sembra solo essi debbano ingiustamente impersonare quella «sinistra sciocca» di cui parla il più illustre teorico della socialdemocrazia, Richard Lòwcnthal. Ma non è solo questione d'intelligenza. Schemi ideologici distorsivi hanno provocato un processo di rigetto che impedisce di cogliere la nuova funzione assolta dalle città in Europa, capitali grandi e piccole del capitalismo terziario nell'epoca postindustriale, luoghi dove nuovi servizi, nuovi lavori, nuove opportunità trovano l'ambiente politico, culturale e fisico indispensabile per crescere. E' qui che s'iscrive il fallimento della sinistra marxista: impossibilit|ta a «vivere» la trasformazione capitalistica, gli si è opposta come forza di conservazione. L'esempio più lampante è quello del commercio: mentre in tutta Europa i borgomastri si contendono le iniziative per creare grandi centri di distribuzione, strutture tecnologiche di servizio, ipermercati, irade center, le nostre amministrazioni sono riuscite ad intralciare persino lo sviluppo dei supermercati, negando licenze e spazi, ponendo divieti e vincoli d'orario, imponendo taglie in nome della risibile alleanza fra classe operaia e ceti medi, che ha significato solo la difesa a oltranza di una rete bottegaia ipertrofica e parassitaria. Altri esempi sono ancor più convincenti: così l'«orrorc teologico» con cui il pei respinse l'idea di deviare le centinaia di miliardi sprecati per la inutile ristrutturazione siderurgica di Bagnoli, verso la creazione su quell'area unica al mondo — le rive del golfo di Napoli — di un grande polo terziario e turistico; cosi nelle città marittime quella difesa a oltranza dei diritti corporativi dei portuali che ha impedito le straordinarie innovazioni che hanno fatto dei porti della fascia fiamminga, da Rotterdam ad Anversa, il fulcro di un sistema di trasporti integrati per un mercato di 300 milioni di consumatori europei; cosi l'assenza di una visione manageriale dell'immenso patrimonio artistico, gestito con ottusità burocratica, temperata miracolosamente, malgrado le molte storture, solo dall'effimero di Nicolini. Da tutto questo è conseguito anche un degrado punitivo dei centri storici — come testimoniano le scempiate piazze di Roma — in nome di una «ap- propriazione democratica» delle città, che ha scaricato su secolari equilibri ambientali la pressione di periferie abbandonate, invece, allo squallore. L'avvento delle giunte rosse nell'ultimo decennio, dopo un primo afflato di buongoverno, ha finito in tal modo per saldarsi, senza vera rottura, all'epoca delle speculazioni sfrenate, della crescita senza disegno, dell'oscurantismo clericale che aveva caratterizzato le precedenti amministrazioni di centro destra. All'inseguimento della perduta centralità operaia, impaurite dal timore di «sporcarsi» idealmente in una progettualità capitalistica (che solo a Bologna e Milano 6 stata intuita), profondamente divise per assenza di un disegno aggregante, le giunte rosse si sono suicidate. I successori non è detto, però, facciano meglio. Neointcgralisti papalini e neoriformisti socialisti hanno assai poco in comune: è però possibile che prevalga l'a-ideologia e che le forze dinamiche della società civile riescano ad apporre il proprio segno ad un nuovo ciclo di sviluppo urbano- Mario Piranl
Persone citate: Antonio Cedema, Berlinguer, Michele Dau, Natta, Nicolini, Richard Lòwcnthal, Rossana Rossanda
Luoghi citati: Anversa, Bologna, Europa, Milano, Napoli, Roma, Rotterdam
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