Le aquile rapite sul Pollino di Francesco Santini

Le aquile rapite sul Pollino CHI SALVERÀ' LE ULTIME FORESTE ITALIANE? Le aquile rapite sul Pollino 11 massiccio tra Basilicata e Calabria è insidiato dal bracconaggio sfrenato - Scomparsi cervi e caprioli, si fanno sempre più rari lupi e cinghiali - Specialisti tedeschi vengono a caccia delle uova dell'aquila reale, del picchio nero, del nibbio, per ripopolare la Selva Nera - Le grotte, i pini centenari e la speranza di un Parco nazionale DAL NOSTRO INVIATO POTENZA — Oltre la pianura di Castrovlllari, l'ultima foresta appare inattesa e compatta. Nella fascia nordorientale del Pollino i faggi giganteschi si allineano agli abeti bianchi e le cortecce grigie e argentate spezzano il verde brillante della primavera avanzata. Superati i castagni e {certi delle quote inferiori, a quota 1200 ecco i colossi di trenta e quaranta metri, nel silenzio di Piano ìjannace, di Cugno dell'Acero e, più avanti, di San Francesco. Ai margini del sentiero la guardia forestale lascia la jeep. L'allarme è venuto dal versante della Calabria. Segnala un'automobile con targa tedesca e un grande camper attrezzato. Donato Sabia, 29 anni, in servizio da otto, avanza da Piano Visitone. Racconta di automobili con incubatrici a bordo inviate dal Baden-WUrtlemberg a caccia di uova e piccoli di animali in estinzione. «Per ripopolare la Foresta Nera, dice Sabia, organizzano spedizioni nel nostri boschi con specialisti e apparecchiature sofisticate: noi possiamo opporre solo un impegno stressante in queste montagne clic hanno già perduto molto... La fauna è falcidiata. La pressione dell'uomo, il pascolo, il bracconaggio sfrenato hanno provocalo, per il Pol¬ lino e le sue foreste, la scomparsa del cervo. Si è estinto il capriolo. Si sono ridotti, oltre ogni limite, t lupi. E la. caccia è serrata ai piccoli degli uccelli che ancora resistono: dall'aquila reale al picchio nero, dal nibbio al 'gufo reale, sino alla rondine montana, al corvo imperiale, alla coturnice, al colombaccio, nulla è risparmiato per il rilancio nella Foresta Nera assediata dalle piogge acide. •Ogni specie è in pericolo», dice Sabia. L'ultimo capriolo è stato ucciso vent'anni fa, nel '64; pochi sono gli esemplari di lupo die nel Pollino raggiungono i settanta chili. Rari i cinghiali e il rischio è altissimo per gli ultimi gatti selvatici. «L'istrice, la martora, la faina, afferma, sono sempre meno numerosi. Fra i rapaci, l'anno passato, siamo riusciti ad avvistare due coppie di biancone del Sinni, ma in questa primavera, ancora nessun segnale". Paradisi Diviso fra due regioni, cinque comunità montane e, nella sola Basilicata, fra tredici comuni, il Pollino come le sue ultime foreste mostra, nel sogno del Parco nazionale, paesaggi intensi, tra altipiani e rocce, gole e strapiombi, grotte e sorgenti. Il versante meno noto e più affascinante è quello carsico di Sud-Ovest. Raccontano di speleologi incantali da stalattiti e stalagmiti in stanze sempre più ampie nel ventre segreto della montagna sino a un piccolo stagno di ghiaccio. Grotte nascoste, inaccessibili, che nessutio è disposto a rivelare: un simbolo mitico ormai per ecologisti e protezionisti. Paradisi naturali, classificati tra i più importanti d'Europa, templi da tenere al riparo perché non siano violati dal turismo di massa, ma ecologico, esploso sul finire di questo millennio. Rifugio di briganti nel secolo scorso e in questo, di rapiti e rapitori nel versante calabrese, le grotte del Pollino come le foreste intatte sono cartelle di leggende. Raccontano di oro e di argento, di monili e preziosi, di meraviglie e di diamanti di cavalieri antichi e solitari. E i tesori si rivelano una volta l'anno, nella notte di Natale, nelle stanze di pietra pronte a restringersi fino a imprigionare chi si attardi a raccogliere troppe riccliczze. Storie di Rotonda, il primo centro che s'apre sul versante lucano e mostra, nell'abitato povero e lindo, segnali antichi d'emigrazione e di paura per la foresta. Dice il sindaco: «L'istituzione del parco nazionale del Pollino è per noi, ormai, l'ultimo treno della speranza». Giovanni Pandolfi, primo cittadino di Rotonda, presidente della Consulta per il Pollino, invoca con un sospiro: «K urgente per il massiccio e le foreste sterminate una legge istitutiva nazionale. Il sogno del Parco non può essere agitato ad ogni competizione elettorale per poi essere seppellito ad urne aperte: quindici anni di discussioni e di progetti, per un angolo buio della memoria». «Ultima spiaggia», «treno della speranza», «sogno lontano». E, sempre, infine, si ferisce la montagna, con una nuova! stradò imitile e* franosa, con un taglio selvaggio, con riti d'altri tempi. Anche a Rotonda, ogni anno si ripete, un rito fallico e pagano con tredici coppie di buoi impegnate nel giorno di Sant'Antonio a trascinare in paese 51 faggi alti decine di metri sradicati dalla foresta. Il monte die nel nome ricorda Apollo, offre, più in alto, superati i faggi e gli abeti, dopo gobbe lente e ventose, lo scenario delle foreste «fossili-. Nei fianchi rocciosi del Dolcedonne, sui costoni di Serra di Crispo e nello sfasciume detritico dei calcari di Serra delle Ciavole ecco, nei punti impervi della Catena, le foreste spettrali di pino loricato. E' un relitto vegetale dal portamento contorlo ed eretto. Le radici pcnettano nelle rocce. La corteccia, in placche regolari e forti, richiama le «loricliedei cavalieri mediocvali. Le guardie forestali descrivono gli esemplari più anziani. Colossi di mille anni in lotta contro il tempo. Il pino loricato vive sempre più in alto, lje faggete lo insidiano, gli sottraggono spazio. Per riprodursi, il suo seme impiega due anni nella germinazione. La specie si avvicina alla estinzione. Sopravvivono esemplari già anziani. «Perché si riproducano facciamo di tutto», assicura il capo dell'Ispettorato regionale per le foreste. I colossi Vincenzo Margìotta, nella sede di Potenza, appare deciso: «Qualche risultato lo stiamo ottenendo, ma 1 loricati più diffusi hanno seicento é" settecento anni». Racconta dell'esemplare più grande che è quello di Porta del Pollino: «Potrebbe avere mille e cento anni. Un tempo questo dinosauro vegetale viveva nelle valli. La fine delle glaciazioni, le temperature più miti, oltre al faggio, l'hanno portato a salire di quota». / pini loricati vivono distanziati. Il seme germina in un lembo di pietra sfarinato ■ dal gelo. Irrigiditi dalla morte, tendono la corazza bianca. Altri sono a terra, finiti. Decine e decine di colossi che hanno visto la storia giacciono nel silenzio della montagna, nelltncubo di una nuova era. Trent'anni fa, l'ultima mattanza. Mille colossi abbattuti per ricavarne bauli per l'emigrazione. Ora si coltivano, nelle riserve, i piccoli esemplari e il tronco s'accresce di pochi millimetri in un anno. Paolo Moles. lesi di laurea in scienze forestali sul quesito drammatico dell'estinzione del loricato, è l'unico a offrire, per quest'albero, una speranza. Alcuni segnali si colgono oltre le cartacce e la disattenzione del rifugio De Gasperi. Più avanti, lungo la strada di Serra Cappellina che lascia Viggianelto e da Piano Ruggio scende in direzione di Campo Tenese, nei vivai della forestale, gli esemplari di cinque anni di loricato godono buona salute. Duecento metri più avanti, nel versante di San Severino, l'abete bianco sembra stentare. Mostra chiome più forti, sulla destra, protetto dai pini neri e d'Aleppo. «Ma qui, dice Sabia, i cacciatori di alberi di Natale, hanno fatto scempio di molte piccole piante». La guardia forestale ispeziona il vivaio: alberelli tagliati a raso, rami spezzati oltre la riserva del filo spinato. Si consola: «Riusciremo, forse, a restituire il pino loricato al Polli- s no e all'intera regione lucana». L'uomo in divisa racconta del Parco. Dei turisti domenicali a caccia di bucaneve violetti, di rosmarini profumati, di poiane appena lanciate e die ancora non sanno volare. Dice a mezza voce: «Questo paradiso va protetto con una legge dello Stato, ma qui non abbiamo uomini politici di gran nome che sappiano imporsi». «Slamo marginali», ripete il sindaco di Rotonda, Pandolfi, «e tutto si perde In piccoli finanziamenti senza logica e senza plano: piccole piogge di quattrini e di speranza in cambio di pochi voti». E il bilancio di Franco Mattia, amministratore delle foreste demaniali della Basilicata, è molto amaro: il sogno del parco si spezza negli interessi campanilistici e nel fallimento della gestione regionale. Mattia subilo avverte: «Ci perdiamo nei meandri della tensione sociale di due regioni povere e marginali: il resto é dimenticato». Racconta, per la sola Basilicata, di diecimila operai forestali impegnati per assislenza cinquantuno giornate lavorative ogni anno. -Con trenta miliardi di dotazione per 11 settore della forestazione, dice Mattia, ci limitiamo a dividerli per 11 numero delle giornate possibili. Per 11 resto, nulla di più può essere fatto. Miliardi al vento, per una manutenzione ordinarla, con 11 dissesto idrologico che avanza in una regione sconvolta e bellissima nelle foreste». Francesco Santini