Alla scuola gialloblù «maturano» i torinesi di Gian Paolo Ormezzano

Alla scuola gialloblù «maturano» i torinesi Alla scuola gialloblù «maturano» i torinesi Le strade di Fanna, Galderisi, Garella, Marangon e Volpati partono da dove .Juve e Torino non li hanno capiti DAL NOSTRO INVIATO VERONA — «Veronesi si diventa, cosi come veterani si nasce» (Longanesi). Ma per essere calciatori di questo Verona bisogna non essere nati e-o cresciuti a Verona, bisogna invece avere fatto dei bel giri per il mondo del pallone e anche per il mondomondo. Meglio se si passa da squadre illustri, o ritenute tali. La veronesìtà calcistica si raccoglie in giro, come un'esperienza, anche se si esalta a Verona: perché il club, e con lui la città, rivitalizza calciatori altrove non spenti, no, però non pienamente compresi e assecondati. Così che di Garella a Torino (Toro) si dice «promettente», a Roma (Lazio) si dice «balzano», che per un portiere non è aggettivo tutto negativo, a Genova (Sampdorla) si dice «estroso». E però soltanto arrivando a Verona Claudio Garella — di Torino anzi di San Mauro, torinese dunque di banlieue, veracissimo — si realizza, si completa, si spiega a se stesso e agli altri, e in porta ferma tutto. Come uno die, sempre cantando bene nel suo cortile, dell'Arena abbia avuto bisogno per diventare divo. E Volpati? Nel Torino era centrocampista aggiunto, un «vice» di tutti e anche di tutto, nel senso che non comandava agli eventi, ma da essi prendeva ordini, cercando di adeguarsi con umiltà sofferta, essendo lui intelligente e perciò perplesso di fronte a certe cose assurde. Studiava medicina, dava esamicchi (si è fermato, promette di continuare ma dice: «Chissà...»/, rischiava di diventare più noto come studente. A Verona, Domenico Volpati è diventato: a) marcatore di avversari importanti; b) finalizzatore di azioni importanti; c) ispiratore di trame importanti; d) catalizzatore di un collettivo importante. Ha pure trovato la spinta per sposarsi, fra dieci giorni. Rivitalizzati dal Verona, questi torinesi di Torino o del Torino. E ci sono anche i torinesi della Juventus, di maggior nome anche se di minore torinesltà o almeno piemontesltà calcistica (Volpati è di Novara). C'è Marangon, che alla Juventus passò velocissimamente, difensorino di belle speranze e di brutta grinta. C'è soprattutto Fanna, Pietro Fanna di Molmacco, Friuli, poi di Bergamo, Lombardia juventino, infine di Torino, Juventus, dove però sempre latitò il feeling fra lui e la gente bianconera: Fanna calvo precoce, che delitto, Fanna drtbblomane, Fanna marginale, Fanna emarginato, Fanna al Verona, Fanna azzurro, Fanna campione d'Italia, Fanna — dicono — all'Inter 198S-'SS per fare un megadispetto alla Juventus. Chissà cos'ha fatto il mister Bagnoli a Fanna: o cosa non ha fatto, perché la magia di un allenatore può anche consistere nel non fare nulla, come in fondo Bagnoli sostiene, limitandosi a lasciar giocare da terzino (tersin, dice lui in milanese) chi è terzino, da mediano (mediàn) chi è mediano. E Galderisl? Salernitano cresciuto a Parma e a Villar Perosa, accento fra l'emiliano e il piemontese, Piccolino «nanu» per una Juventus di giganti della fama, è stato immesso come merce nella vicenda di Perno transitato per un anno nel bianconero, è diventato veronese intero soltanto da questa stagione, ed eccolo campione d'Italia, eccolo azzurrato da Bearzot. Il termine «rivitalizzato» è un po' debole per la sua vicenda, nella quale ci devono essere pigmentazioni grandi e strane, anche revanchistiche. Però lui pure, Beppe Galderisl, appartiene grosso modo al gruppo di quelli che per farsi grandi a Verona, e fare grande il Verona, hanno dovuto passare per Torino. Dove «passare» ha un senso di tirocinio quasi dantesco, di espiazione o almeno di purificazione (ma da quali colpe, poi?). Il Verona ha veramente rivitalizzato il Piemonte calcistico, cosi genericamente a ramengo, così poco rappresentato. Nel «lungo» Verona che, anno dopo anno, è arrivato allo scudetto, ha lasciato l'impronta anche Guidetti, di Borgosesta. E d'altronde esiste anche una lombardità (se si dice cosi) del Verona, con Tricella e Fontolan passati per l'Inter, e una toscanità se si pensa a Di Gennaro. Ma con tutto ciò la società veneta non è un crogiuolo di cibi altrui, precotti o decotti o difficili da cuocere: è invece la pentola buona per una «nouvelle cuisine» calcistica. Gian Paolo Ormezzano